Hostalric è un comune della Catalogna di neanche 3.000 abitanti, ed è probabile che a molti non dica nulla, ma per Tommy Robredo vuol dire tutto. Il paesino dove è nato, ormai quasi quarant’anni fa, a cui è legato tantissimo, così com’è legato al torneo di Barcellona (campione nel 2004 e finalista nel 2006), dove nel prossimo mese darà il suo addio ufficiale al tennis. Certo, lo spagnolo non si è mai realmente ripreso dopo l’infortunio al gomito patito ad inizio 2016, ma formalmente è ancora un giocatore professionista, e vuole chiudere la sua gloriosa carriera davanti alla sua famiglia e alla sua gente, come ha raccontato ai microfoni di PuntodeBreak: “Sono entusiasta di quest’ultima fatica, l’ultimo torneo che giocherò a Barcellona, anche se cercherò di giocare a Murcia per prendere un po’ di ritmo. L’ultimo sarà a casa, così ho voluto salutare il circuito dopo un po’ di assenza. Il mio sogno era dire addio al pubblico, alla mia gente, l’anno scorso sarebbe stata un’opzione ma con il COVID non ci ho nemmeno pensato. Non potevo immaginare un addio senza che i miei genitori fossero sugli spalti, così abbiamo deciso di prolungarlo per un altro anno“.
Robredo è sempre stato uomo prima ancora che giocatore, uomo passionale, istintivo, genuino (come la celebrazione in cui si strappò la maglietta di dosso dopo aver vinto il Masters di Amburgo nel 2006), e soprattutto attaccato e molto grato al tennis: “Il tennis mi ha dato molto, mi ha insegnato tutto, mi ha cresciuto, mi ha dato l’educazione e i valori che ho. Il tennis ti porta a cadere e rialzarti ogni settimana, a sapere vincere e sapere perdere, a raggiungere la fama, a guadagnare soldi essendo molto giovani, a raggiungere i tuoi obiettivi… quello che vive una persona normale a 70 anni, gli atleti lo vivono in 20” .
Una carriera, come sappiamo e come possiamo vedere dalle parole, piena di momenti da incorniciare e memorabili, per uno dei tennisti spagnoli più importanti del XXI secolo (12 titoli ATP in carriera e la quinta posizione raggiunta nel ranking); ma è curioso vedere come molto spesso la carriera di Tommy Robredo venga ricordata più per una celebre sconfitta che per una vittoria: 26 ottobre 2014, finale 500 sul cemento indoor di Valencia, epica e agonismo allo stato puro, persa contro Andy Murray 6-3 6-7(7) 6-7(8) in 3 ore e 20 (mostrandogli entrambi i diti medi al momento dei saluti).
E lo stesso Robredo la elegge a partita della sua vita :” È la partita più crudele della mia carriera ma, allo stesso tempo, è una delle partite di cui ho i migliori ricordi. Quella partita è stata spettacolare, l’ho vista diverse volte e mi viene sempre la pelle d’oca, abbiamo giocato entrambi ad un livello straordinario, nello stile di Djokovic-Nadal agli Australian Open. Un match, con cinque match point che mi sono sfuggiti, per di più con Andy, qualcuno che apprezzo molto. Dopo la partita siamo andati insieme a Parigi-Bercy nel suo aereo privato: lui festeggiando con champagne e io dietro a bere acqua. È una partita che ho perso ma a cui sono molto affezionato “.
E non è stato facile selezionarla, tra tutte le maratone che ha giocato lo spagnolo, nella sua carriera, forte della sua mentalità e prontezza: “Devi essere molto forte fisicamente e poi essere molto duro mentalmente, non mollare fino alla fine. Quando raggiungevo il quinto set, mi ha sempre dato una possibilità perché vedevo che l’altro non era bravo come me, fortunatamente ho potuto godermi un tennis di alto livello in molte occasioni della mia carriera. Questa è la base in quel tipo di partite, il fisico e la testa” .
In fondo, in linea con la sua carriera da lavoratore, umile, senza mai cercare la prima pagina, chiude facendo un bilancio onesto di una carriera partita nel 1998 e che finirà nel 2022, e senza grandi rimpianti, che solitamente al momento dell’addio vanno sempre ad accompagnare i campioni, come un vecchio amico ritrovato: “Cambierei tutta la mia carriera. Quando avevo 17 anni, ho iniziato a giocare senza esperienza, non sapevo nulla di questo mondo. Oggi sono preparato, ora con quello che so potrei fare una carriera molto migliore. Ma ovviamente, non lo sapevo prima a causa della mancanza di esperienza. Con il Robredo di 17 anni mi siederei per molto tempo, spiegandogli tutto quello che faceva che non avrebbe dovuto. Gli direi quali cose allenare, quali migliorare, dov’è diretto il tennis, quali tornei giocare, se deve assumere o meno un preparatore fisico, se viaggiare per più o meno settimane… ma non mi pento di niente. Nessuno fa le cose perfette“.
E in fondo, si concede una nota dolce, mettendo al centro le sue qualità, facendo capire come niente nasca per caso: “Ho dato il massimo, questa è una delle cose di cui sono più felice. Anche se avessi preso decisioni diverse, posso incolpare me stesso di pochissime cose, pochissimi giocatori sono stati più professionisti di me su un campo da tennis. Ricordo che i miei amici d’estate andavano alle feste e che io andavo a letto a mezzanotte, ma ero molto chiaro su quello che volevo, quella fatica non significava pagare alcun prezzo. Sono sempre stato molto disciplinato sotto questo aspetto, mio padre mi ha educato in quel modo, mi ha concentrato sul lavoro ogni giorno per raggiungere gli obiettivi“. E questi obiettivi, stanne certo che li hai raggiunti eccome Tommy, specie nei cuori di chi ancora costudisce in sé i tuoi ricordi. Barcellona ti aspetta per un’ultima, grande salsa.