Pamela Shriver, cinque volte campionessa in doppio di Wimbledon, rompe il silenzio e decide di raccontare una pagina atroce e dolorosa della propria vita, risalente agli inizi della sua carriera. Il dialogo con Simon Briggs, del Telegraph, è struggente. La 59enne di Baltimora ha finalmente trovato il coraggio per far riemergere dalla scatola dei ricordi un momento drammatico della propria esistenza, riguardante il dannoso rapporto che ebbe con il 42enne allenatore australiano Don Candy, quando aveva soltanto diciassette anni.
L’ORIGINE – Un viaggio introspettivo nei meandri della memoria di Pam, per far sì che la su storia sia un monito, per le generazioni future, sulla gravità delle relazioni malate che si instaurano nel mondo del tennis, specialmente tra coach e giocatrice, ma non solo come vedremo più avanti. L’ex n. 3 del mondo, parte dalle origini, descrivendo come e quando avvenne la conoscenza con Candy: ” Tutto è iniziato con una calza di Natale, nell’inverno del 1971. Lo trovai un buon regalo per una lezione di tennis all’Orchard Indoor Tennis Club. Quando mi sono presentata, l’allenatore era un ragazzo di nome Don Candy, australiano. Un ex grande giocatore, che aveva vinto il titolo di doppio dell’Open di Francia a metà degli anni ’50. All’epoca lui aveva 40 anni, mentre io solamente 9. Ricordo che Don era molto divertente, a volte esilarante, con quel tipico senso dell’umorismo australiano. Mi sono divertita molto e anche se non sono tornata li ad allenarmi per un paio d’anni; abbiamo iniziato a lavorare insieme quando avevo 11 o 12 anni. Così è iniziato un viaggio decennale che avrebbe plasmato la mia vita sotto tanti punti di vista“.
UNA RELAZIONE MALATA – La tennista statunitense poi fa un balzo in avanti, nel racconto della storia, concentrandosi sull’episodio in cui effettivamente comunicò al coach australiano di essersi innamorata di lui. Secondo Pam, ciò fu anche influenzato dal fatto che i due passarono molto tempo insieme, sia in campo che fuori; visto che quando iniziò la sua carriera nel Tour a quindici anni, i genitori non poterono accompagnarla, in particolar modo per via della giovane età della sorella. Dunque fu Candy il suo unico accompagnatore nei vari viaggi e nelle diverse trasferte, e fu al fianco di Shriver anche in alcune tappe tra le più significative dei suoi successi; ma anche nelle fasi più buie: “All’inizio del 1978, ho iniziato giocare nel Tour, all’età di 15 anni e mezzo. I miei genitori non potevano realisticamente viaggiare con me, perché mia sorella era molto piccola e mio padre gestiva una compagnia d’assicurazioni che dava sostentamento a tutta la famiglia. Così Don è diventato, non solo il mio allenatore, ma anche il mio unico accompagnatore. È stato accanto a me, praticamente in ogni partita che ho giocato nei successivi sette anni. Era nel mio angolo, per esempio, quando nella mia stagione d’esordio ho battuto Martina Navratilova nelle semifinali degli US Open del 1978. Nella finale, contro Chris Evert, poi persi 7-5 6-4. A quel punto, sono tornata al liceo per completare il mio ultimo anno. Ma è stata dura per me nel 1979, tornare all’attività scolastica, come finalista degli US Open. Era successo tutto troppo rapidamente. Infatti dopo Wimbledon non vinsi una partita nei successivi cinque mesi. Nel bel mezzo del mio periodo negativo, Don e io ci siamo trovati seduti in un auto-noleggio, vicino a Minneapolis. Avevo appena perso l’ennesima partita al primo turno e Don mi stava parlando di cose che avrei potuto fare diversamente, insomma la solita classica conversazione allenatore-giocatore. Ad un certo punto, però, cominciai a singhiozzare. Ricordo di aver detto molto chiaramente: “Sta succedendo qualcosa”. Lui disse “Cosa?” e io dissi: “Mi sto innamorando di te”. Avevo 17 anni e lui 50.”
LE CONSEGUENZE DEL DOLORE, UN ABUSO EMOTIVO – A questo punto la 21 volte campionessa Slam, in doppio, è stata colta dall’emotività dei fatti che stava narrando, affermando come quella relazione durata poco più di cinque anni, abbia rappresentato un’esperienza traumatica per il resto della sua vita, contraddistinta da un abuso non sessuale, bensì psicologico. Una vicenda che non gli hai mai più permesso di vedere nell’amore qualcosa di sano e di positivo. Un’infelicità che l’ha spinta, sempre costantemente ad essere attratta da uomini anziani e a non poter più avere una storia d’amore normale: ” Il mio rapporto con Don è stata un’esperienza traumatica per me. I postumi sono durati ben oltre il tempo che abbiamo trascorso insieme. La nostra relazione ha plasmato tutta la mia vita romantica successiva. Ho avuto grandi difficoltà nel formare relazioni normali, la mia continua attrazione per gli uomini più anziani mi ha impedito di mantenere confini sani nelle mie relazioni. I successivi cinque anni sono stati un periodo in cui tutto è diventato drammaticamente doloroso, quando quei confini invalicabili sono stati attraversati. Ero così giovane che non sapevo come chiedere aiuto. Non capivo in cosa stavo entrando. La relazione ha iniziato a diventare fisica, a diventare intima. In realtà non abbiamo avuto rapporti sessuali fino all’età di 20 anni, due anni e mezzo dopo la nostra conversazione nell’auto-noleggio di Minneapolis. Ma abbiamo condiviso le camere. Abbiamo fatto praticamente tutto il resto che fanno due persone che sono attratte l’una dall’altra. Don non ha mai abusato di me sessualmente, ma direi che c’è stato un abuso emotivo. Ho provato così tante emozioni orrende e mi sono sentita così sola“.
LA FINE DELL’INCUBO – L’ex finalista dello Us Open del 1978, ha continuato il dialogo con Briggs, parlando di quello che è successo dopo la fine della relazione con Candy. Gli anni successivi alla rottura, sono stati i migliori della carriera di Pamela, ormai libera da ogni reminiscenza di dolore. La quale, però non è mai stata in grado di raccontare questa vicenda sentimentale, che gli ha procurato tante cicatrici nell’anima, a sua madre; mentre è riuscita a scovare dentro di se la forza per dire tutto al padre:” Le successive quattro stagioni, dopo aver rotto con Don, sono state le migliori della mia carriera. Ho collezionato 15 titoli in singolare e ho vinto oltre l’80% delle mie partite. Nel frattempo, tornata a casa a Baltimora, ho iniziato ad uscire con alcuni ragazzi. È stato interessante vedere cosa succede quando concludi una relazione che ti sta causando così tanto stress. Alla fine, stavo iniziando a sperimentare una certa normalità nella mia vita personale. Molti anni dopo, raccontai a mio padre del mio rapporto con Don. Non l’ho mai detto a mia madre. Ma ora sto rendendo pubblica questa storia perché spero che faccia la differenza”.
IL SILENZIO E’ IL MALE DA SCONFIGGERE – Infine a chiusura dell’intervista, Shriver affronta il delicato argomento della diffusione di tali storie di dolore e sofferenza nello Sport; auspicando che non riaccadano. Per fare ciò, secondo la grandiosa compagna di doppio di Navratilova, bisogna combattere la cultura del silenzio e avviare anche un percorso educativo per coach, i fisioterapisti e per tutti coloro che gravitano attorno ad un tennista; ed uno, invece, psicologico per i giovani atleti, affiancandogli delle figure esperte in materia. Tutto deve essere portato avanti con l’ausilio delle organizzazioni di governance: “ Il nostro primo e più grande ostacolo è la cultura del silenzio. Se vogliamo proteggere gli atleti di domani, più persone devono parlare delle loro storie. Stiamo parlando di insidie che colpiscono molte, molte persone. L’intera questione deve uscire, permettendo l’eliminazione dei luoghi oscuri dello sport. Per quanto riguarda le soluzioni, non ho tutte le risposte. Penso che sia possibile educare i giovani atleti, ma probabilmente bisogna iniziare prima ancora che raggiungano l’adolescenza: magari quando hanno 11, 12 o 13 anni. Mentre quando entrano nel Tour principale del tennis, ci sono già tanti modelli che sono stati impostati. E poi ci sono gli allenatori. il modo migliore per proteggere accuse successive nei loro confronti è quello di sottoporli ad un processo educativo prima che arrivino al professionismo. Lo stesso vale per altri possessori di credenziali: fisioterapisti, istruttori di fitness e così via. Il punto deve essere individuato molto chiaramente. Questo tipo di relazioni non sono appropriate e ci saranno conseguenze per coloro che attraversano il limite. Questo è un problema diffuso e abbiamo bisogno di un’alleanza ad ampio spettro, se vogliamo affrontarlo. Una delle organizzazioni più importanti, in tal senso, sarà la ITF perché organizza gli eventi junior. Ma tutti devono unirsi, la WTA, l’ATP e i quattro tornei del Grande Slam, per migliorare i processi di salvaguardia del tennis“.