Poco prima dell’inizio delle semifinali al Serbia Open di Belgrado il direttore Ubaldo Scanagatta ha intercettato Nikola “Niki” Pilić, ex tennista iugoslavo divenuto famoso per il boicottaggio di Wimbledon nel 1973. Sostanzialmente, a causa della mancata partecipazione alla Coppa Davis Pilić venne escluso prima dalla squadra iugoslava, quindi dal torneo di Wimbledon. Molti suoi amici tennisti (ben 81!) decisero così di boicottare il torneo, sia per appoggiare la sua situazione che, soprattutto, per sperare di ottenere più voce in capitolo nella neonata ATP.
Di questo, ma anche di altro, Niki Pilić ha parlato in esclusiva ai nostri microfoni: “Djokovic è stato quasi cinque anni nella mia accademia e mi ha invitato qui (Pilić è stato il primo allenatore del serbo, ndr). Mi fa molto piacere essere qui e vedere come si gioca oggi, sicuramente in maniera molto più rapida rispetto al nostro tempo. Poi oggi c’è anche mia moglie: la conosco dal 1959 e siamo sempre stati insieme”.
Pilić ha vinto la Coppa Davis da capitano di tre squadre diverse. Proprio la Coppa Davis è stata il fattore scatenante del boicottaggio di Wimbledon del 1973, nato per un suo problema con la federazione iugoslava: “Tutto nacque per un mio problema, ma quello era una situazione che non riguardava solo Niki Pilić, ma l’ATP e la federazione internazionale del tennis. Nella stessa settimana c’era il master di doppio e la sfida di Coppa Davis tra Iugoslavia e Nuova Zelanda a Zagabria. Io dovevo giocare il master, ma non potevo giocare la Coppa Davis per la Iugoslavia anche se ci avevo giocato per 12 anni: venni escluso. Quattro ore prima della finale contro Nastase mi è arrivato un telegramma che diceva che non potevo giocare a Wimbledon. Così, molti altri decisero di non partecipare e, dopo il boicottaggio, le cose sono finalmente andate sulla strada giusta, dove in realtà dovevano già essere da tempo”.
Un problema simile, curiosamente sempre con Wimbledon protagonista, riguarda l’annosa questione dell’esclusione dai Championships dei tennisti russi e bielorussi. Una scelta di stampo politico, dettata ovviamente dalla tragica situazione russo-ucraina: “Boris Johnson è matto! Rublev e Medvedev non c’entrano niente con Putin, vogliono solo giocare a tennis esattamente come tutti gli altri. La politica si è addentrata troppo nello sport e io credo che questa situazione potrebbe essere molto simile a quella del ’73. Nel senso, qualcuno potrebbe dire: “se questi tennisti non giocano, non giochiamo neanche noi!” e, a quel punto, sarei curioso di vedere quale sarebbe la reazione di Wimbledon”.
Per concludere, una considerazione su Djokovic e la sua scelta di non vaccinarsi: “Novak è un giocatore formidabile. In questo momento non posso dire se lui sia il numero uno, tre, undici o diciassette, però è sicuramente un giocatore speciale. In lui ho visto una componente che nella mia vita non ho mai visto in altri giocatori, e io sono stato al fianco di Boris Becker, Michael Stich o Goran Ivanišević. Novak, però, aveva qualcosa in più degli altri. Ha sempre avuto una forma fisica che gli permetteva di stare sei ore al campo senza stancarsi: questo è incredibile. Per quanto riguarda il vaccino, lui ha un carattere molto forte: se vuole fare una cosa (o non vuole in questo caso), è difficile smuoverlo dalla sua posizione. Ha sempre detto di non volersi vaccinare, questo è il suo carattere e la sua idea. Per me però è un peccato, nessuno poteva sapere che sarebbe arrivato il Covid. In ogni caso, quello che è successo in Australia è una cosa che non voglio vedere più con nessun giocatore: non è possibile che non venga fatto giocare un tennista che ha vinto nove volte l’Australian Open“.