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Il torneo femminile del Roland Garros è finito come tutti avevano previsto. Con la vittoria-passeggiata di Iga Swiatek, la dominatrice di quest’epoca post-Barty, con 58 set vinti e 2 persi, con l’ennesima finale, l’ottava, in cui le avversarie di media non vincono più di 4 game. Negli ultimi 58 set ne ha persi solo 2. Impressionante. Con 35 vittorie consecutive, la stessa striscia record di Venus Williams (senza contare le 74 di Martina Navratilova nell’84, e altre preistoriche, dalla Divina Lenglen in poi).
La vittima di turno, l’americanina Coco Gauff, ha finito distrutta, affranta e in lacrime sulla sua seggiolina, dopo aver rimediato un pesante 6-1, 6-3 senza storia, senza una minima suspence, e nonostante tutto il pubblico scandisse a più riprese il suo nome “Cocò, Cocò, Cocò!” che a Parigi non aveva fatto altrettanto furore dai tempi della Chanel, nella speranza di assistere a una parvenza di lotta. Che purtroppo nella finale a senso unico non c’è proprio stata.
D’altra parte Coco giocava la sua prima finale, a 18 anni. Ha fatto quel che poteva, lei che non aveva perso un set in tutto il torneo. Ma non è stato granchè, purtroppo per lei e per lo spettacolo. Sono quasi certo che la vedremo impegnata in altre finali in avvenire, ma certo ieri ha un po’ deluso.
Giocherà altre finali sia perché dopo i 18 anni tutti migliorano, sia perchè il panorama del tennis femminile non sembra attualmente in grado di offrire grandi variazioni al dominio della ragazza polacca che è talmente più forte di tutte le sue avversarie da farmi ricordare i primi anni letteralmente dominati da Steffi Graf: il 1988 ad esempio… quando Steffi fece il Golden Slam, conquistando tutti i 4 Slam più l’oro olimpico a Seul. E i suoi Slam ve li ricordate?
Iga è talmente concentrata sul tennis che di tutto il resto non si cura. Oppure conoscete forse un’altra ragazza che scopre come affrontare per la prima volta il problema del proprio make-up soltanto sei mesi prima del ventunesimo compleanno?
Lo ha confessato lei stessa, anche se le è certo capitato di apparire sulle “copertine” di diverse riviste, perché allora sono stati altri a occuparsi del trucco. D’altra parte il padre, ex canottiere, è un tipo molto severo, molto “strict” come mi spiegano i giornalisti polacchi Adam Romer e Miroslav Zukowski che vedo più spesso in giro per tornei, anche se di questi tempi i giornalisti polacchi che seguono il tennis si stanno moltiplicando – così come quelli norvegesi per via di Casper Ruud – dal momento che non c’è notiziario televisivo che non dia in continuazione, anche 10 volte al giorno, a cadenze di mezzora come fa la CNN, qualche notizia su Iga, ormai il personaggio sportivo più popolare polacco insieme al calciatore del Bayern Munich Robert Lewandoski (che era ieri al Roland Garros per vedere Iga: “Non sapevo che ci fosse…e meno male – ha detto Iga – avrei aggiunto stress a stress!”).
“Sono più che felice di questa vittoria e sono ancora più orgogliosa, perché ne 2020 pensai di essere stata fortunata, mentre stavolta sento che ho davvero fatto il lavoro che dovevo e me lo merito”.
Certo che se lo merita. Nessuna altra tennista si avvicina neppure lontanamente al suo tennis. Merito suo e del suo team, in cui il ruolo leader è esercitato dalla psicologa Daria Abramovich e nel quale, dopo 5 anni di brillanti successi con il coach Piotr Sierzputowski, si è improvvisamente proceduto lo scorso novembre fra lo stupore generale – tre giorni prima c’era Piotr accanto a Iga che riassumeva la sua annata 2021 – ad avvicendarlo con un altro noto coach, Tomasz Wiktorowski.
Questi era stato per 7 anni il coach di Agniewzka Radwanska _ ehi, se non faccio nemmeno un refuso è un miracolo!- e poi era diventato il direttore del torneo di Gdnynia, un WTA 250 che ora si sposterà su Varsavia e che appartiene al papà di Iga, Tomasz.
A quest’ultimo riguardo, con una famiglia di un tennista che diventa proprietario di un torneo, sembra un po’ di raccontare la analoga storia della famiglia Djokovic che, fra fratello Djordie e padre Srdyan gestiscono il torneo di Belgrado che io mi sono trovato a “coprire” da inviato recentemente: la sola differenza è che mamma Djokovic, Dayana, è ben presente al Novak Tennis Club, mentre la mamma di Iga, la dottoressa Dorota, da un lustro separatisi da Thomasz, da qualche anno è sparita completamente dal giro… Non la si vede da nessuna parte, non concede interviste, apparentemente si congratula con le vittorie della figlia solo via email, se devo dare credito alle mie fonti di informazione. Anche ieri Iga ha pubblicamente ringraziato il suo team e suo padre – che molto ha fatto per spingerla a giocare a tennis, cercando ogni dove i finanziamenti necessari quando invece la madre era assai scettica, avrebbe forse preferito che studiasse… – ma non ha detto una parola riguardo a sua madre, quasi non esistesse. Strano no? Che sarà successo? Diciamo che sono fatti suoi e chiudiamola qui.
Invece non si può chiudere il fatto che questo dominio esagerato, eccessivo, di Iga, fa bene a lei, ma nuoce al circuito WTA, perché non ci sono alternative, non ci sono rivali in grado di impensierirla.
Le grandi rivalità sono il sapore di uno sport, di qualsiasi sport. Nel tennis maschile non sono mancate. Per non risalire alle calende greche nel tennis open ci sono stati Borg, Connors e McEnroe, Lendl, Becker e Edberg, Sampras, Agassi, Courier e Chang, finchè nel terzo millennium ecco Federer, Nadal e Djokovic (e pure, un gradino sotto, Murray e Wawrinka).
In quello femminile dopo la più grande rivalità per antonomasia fra le due extraterrestri Navratilova e Evert, ecco Graf, Sabatini, Sanchez e Seles, poi Hingis, le Williams, Mauresmo, Capriati, Henin, Clijsters, Sharapova. Altra roba.
Ash Barty e Iga Swiatek, ecco, questa sì che avrebbe potuto essere una grande, grandissima rivalità oggi. Ma purtroppo l’australiana ha deciso di fare la baby pensionata. E buonanotte allora se non sorgerà una nuova stella che finora non si intravede proprio. Ok, Coco Gauff ha solo 18 anni, diamo tempo al tempo, è giusto aspettarla un po’ anche se non mi sembra un assoluto fenomeno come quelle ragazze che ho citato poco fa. Certo è che per ora e per quanto si è potuto vedere ieri, ancora non sembra da Gran Premio.
Voglio ora aggiungere una cosetta riguardo a quanto ho scritto ieri su Rafa e che ha suscitato vivaci reazioni contrarie. Avevo scritto di un Nadal stanchissimo contro Zverev e sul fatto che parecchi qui che hanno visto il match dal vivo avevano la mia stessa netta sensazione: e cioè che man mano che il match fosse andato per le lunghe, le chances di vittoria del pur fragile Zverev sarebbero aumentate. Anche se opposto a un fenomeno di resilienza come Rafa Nadal.
Non mi riferivo soltanto all’opinione di alcuni colleghi, ma anche di alcuni ex campioni, Proisy, Pioline, Wilander, Leconte…Tutta gente che conosce bene il tennis, ne capisce, e conosce bene anche Nadal. Sa quanto lui sia un formidabile lottatore, un irriducibile guerriero, uno che non si arrende mai e un tal fenomeno che guai a darlo per sconfitto, soprattutto se è in vantaggio di un set e alla vigilia di di un tiebreak che avrebbe potuto anche portarlo avanti per due set a zero. Ma, attenzione, anche sul set pari con altri due set di un paio d’ore da giocare ancora. Non era scritto da nessuna parte che Zverev avrebbe dovuto perdere quel secondo tiebreak, sebbene avesse perso il primo per un soffio, con 4 setpoint consecutivi a favore.
Ebbene, una gran parte dei lettori che hanno espresso i loro commenti su Ubitennis hanno sostenuto che era fuori di ogni logica sostenere che Nadal fosse stanco. Così stanco da poter finire la benzina.
Ovvio che manca la controprova. Però vi dico che un conto è guardare le partite in tv e un altro conto è guardarle dal vivo. Lo schermo rimpicciolisce. Un metro diventa pochi centimetri. Se dal vivo si vede un giocatore che arriva in ritardo su una palla, per mezzo metro o uno, ci se ne accorge e lo si sottolinea. In tv invece quel metro sembra roba da niente. Il metro sembra un ritardo irrisorio, ininfluente. Roba di centimetri.
Concludo: potete non fidarmi di me, o di quei giocatori che ho citato e intervistato sopra, ma vi assicuro che la stanchezza di un tennista non la si giudica soltanto dagli errori. Ma anche da come arriva sulla palla. E in tv credete di poter capire tutto e invece non è così.
Chi poi non ha capito neppure che stare in campo due ore in più non sarebbe stato un vantaggio per Nadal, im vista della finale odierna con Ruud, beh… mi arrendo. Ho detto e lo ripeto, che aver risparmiato due ore di fatica sul campo è stata una fortuna, buena sorte por el senor Nadal.
Per quanto fenomeno c’è un limite fisico ed atletico anche per Nadal a 36 anni. Non è che se uno ha fatto una rimonta strepitosa a Melbourne contro Medvedev, è scontato che possa farne altre all’infinito, ogni piè sospinto e comunque, con qualunque condizione di freschezza, sia arrivato a giocare la finale. Se pensate che sia bionico, e cioè che avere giocato 11 ore in 6 giorni oppure 14, sia la stessa cosa, beh – di nuovo – mi arrendo all’illogicità dell’assunto.
Quindi riguardo a oggi penso che il fattore esperienza e il fattore pubblico, oltre all’indubbio fattore classe e diversa personalità di Nadal, gli dovrebbero permettere di vincere il suo quattordicesimo Roland Garros. Però … se mi voleste convincere che sarà più avvantaggiato se il match andrà per le lunghe, beh, io non ci sto, dico contre come nel bridge, anche se so bene che di certo ha giocato molte più maratone importanti rispetto a Casper Ruud.