Nel primo pomeriggio Matteo Berrettini è letteralmente sopravvissuto a Denis Kudla, riuscendo ad imporsi in rimonta dopo due ore e 46 minuti di grande battaglia. Continua così la striscia vincente del numero uno d’Italia, al sesto match giocato (e vinto) negli ultimi nove giorni. Considerando che arrivava da tre mesi senza tennis difficilmente ci si poteva attendere un rientro migliore. Berrettini è poi intervenuto in conferenza stampa al termine del match, rispondendo anche a due domande del nostro inviato a Londra Paolo Di Lorito. Di seguito quanto evidenziato dalla nostra redazione.
Paolo Di Lorito, Ubitennis: Sin dai primi game si è vista un po’ di difficoltà da parte tua. Quando un match prende una piega un po’ negativa lo senti prima di scendere in campo, dipende dai primi colpi che impatti o magari da come reagisce l’avversario?
Berrettini: “Dipende un po’ dalle giornate, storicamente con lui (Kudla, ndr) ho sempre fatto partite un po’ strane. Però lo si capisce quando comincia la partita, sicuramente non prima. Dall’inizio ho sentito che avevo un’energia un po’ diversa, anche a livello di prontezza fisica. Ho dovuto accettarlo e andare avanti, ad un certo punto mi chiedevo un po’ di più, ma poi ho capito che oggi sarebbe andata così. Dovevo solo accettare la situazione e lavorare con quello che avevo“.
Paolo Di Lorito, Ubitennis: In una conferenza a Roma avevi detto che da giovane ti chiamavano “Radio Matteo” perché parlavi sempre, oggi ti sei sentito più vicino a quel giocatore?
MB: “Sì, sicuramente, non mi piacevo ed ero pronto a lamentarmi un po’ di più. Però secondo me questo è un segno che ci tengo alla partita, se non ci tenessi non mi arrabbierei. Però bisogna trovare il giusto equilibrio, se diventa una lamentela continua poi dopo perdi energie e non riesci ad essere troppo concentrato. Ho provato a passare al silenzio, ad essere più tranquillo cercando di recuperare. Ma oggi sì, oggi ero un po’ più ‘Radio Matteo’ rispetto al solito“.
James Spencer, Ubitennis ENG. Dicono che i migliori tennisti trovano sempre un modo per vincere e tu l’hai dimostrato. Come sei stato in grado di influenzare l’incontro nei momenti chiave?
MB: Sapevo di non star giocando il mio miglior tennis e che era un incontro difficile per diversi motivi. La chiave è stato accettare quello che stava succedendo. Accettare che, anche se amo giocare sull’erba, non stavo giocando bene. Non avevo buone sensazioni, il livello di energia non era buono. Ma ho lavorato con quello che avevo durante il match. Mi chiedo di essere un giocatore, uno capace di vincere e, se non di vincere, di stare in campo con quello che ha in quel momento. Ti permette di essere solido anche se non sei al meglio, se hai un problema fisico o ti senti stanco. Stamattina mi sono alzato sentendomi un po’ stanco, ma credo sia normale. Sto giocando parecchio e non è facile rientrare dopo tre mesi e fare sei o sette incontri di fila. Così l’ho accettato e sono felice di avercela fatta.
D. Quindi, non giocando così a lungo e poi affrontare diversi match ti aveva già condizionato o è stato solo oggi?
MB: No, ricordo che, arrivato a Stoccarda, avevo detto di aver bisogno di giocare il più possibile e sta andando proprio così. Ne sono felice e mi sento bene, ma ovviamente non siamo dei robot. Non so perché, ma stamattina ero un po’ più nervoso per tutto quello che mi circondava. A volte devi lottare contro te stesso ed è quello che successo oggi. Lo accetti, dici ‘okay’, dai tutto e vedi come va.
D. Sei sempre stato bravo ad accettare le tue condizioni?
MB: [Ride] No davvero. Sono migliorato perché sono rimasto scottato, mi sono fatto male da un punto di vista mentale. Perdere un match quando senti di non aver dato tutto ti fa sentire molto male. Oggi avrei digerito la sconfitta, ma non il fatto di non averci provato fino alla fine. Così mi sono detto di provarci in modo che domani, al risveglio, ti vorrai un po’ più bene.
D. Rientrare nella parte di stagione dove hai dato il meglio lo scorso anno ti mette pressione, anche considerando la questione Wimbledon?
MB: Certo, sento la pressione a prescindere dai punti o non punti perché qui sono il campione uscente e a Wimbledon il finalista, in più torno da un infortunio. Ma sono contento di avere la possibilità di lottare. Quando ero a casa alle prese con la riabilitazione, guardavo i tornei e soffrivo. A volte dai per scontato di poter giocare, difendere i punti, ma capisci quello che ti perdi quando non puoi farlo.
D. Oggi è stata dura, ti abbiamo sentito ruggire un paio di volte, a volte in senso positivo, altre quando le cose andavano male, come un nastro sfortunato. Cosa ti passa per la testa in quei momenti? Gridare ti aiuta?
MB: Ovviamente, se lo fai troppo, non aiuta e sprechi energie. Ma di solito sono piuttosto calmo in campo quando perdo dei punti e mi carico quando li vinco. Per girare il match o cambiare il tuo atteggiamento, a volte devi gridare, fare qualcosa che ti entri nel corpo. Non sono a mio agio nel lanciare racchette o palline, ma gridare può essere d’aiuto, è un po’ espellere la negatività e concentrarsi sulle cose buone. Ne ricordo uno al cambio campo, ho guardato il bicchiere, mezzo pieno, ho detto, ok, sei qui, un sacco di gente ti sta guardando, due mesi fa nemmeno riuscivi a muovere il mignolo, quindi non lamentarti. Combatti e goditela.
D. Oggi hai salvato sette palle break su nove, contro Evans tutte e sette. Quanto è importante sentirti al massimo, non solo fisicamente ma anche mentalmente, così presto dopo gli infortuni?
MB: Sono piuttosto arrabbiato per non aver salvato quelle due. No, certo che è importante. Òa parte principale è essere pronti per quei punti. Sull’erba ho fiducia che il servizio mi darà una mano. C’è anche l’avversario e ci sono momenti in cui la racchetta diventa un po’ più pesante. È qualcosa su cui lavoro da sempre perché, quando hai una palla break o la devi difendere, è il momento più importante dell’incontro e vincere quel punto è una dichiarazione forte nei confronti del tuo avversario.