Il percorso di Holger Rune verso il consolidamento ad alti livelli è tutt’altro che lineare. Dopo le settimane luccicanti del Roland Garros – si è spinto fino ai quarti di finale, perdendo il ruspante derby nordico con Casper Ruud con annessa polemica nel post-match – il danese ha lasciato per strada sei partite consecutive tra erba e terra, l’ultima ieri a Umago contro lo spagnolo Bernabé Zapata Miralles. Il diciannovenne numero 27 del mondo non è riuscito così a onorare la terza testa di serie in Croazia, prolungando la scia di risultati negativi aperta a giugno. Tre sconfitte in altrettanti incontri sull’erba: ad Halle con Pablo Carreno Busta, a Eastbourne contro la wild card Ryan Peniston, a Wimbledon spazzato via in tre set da Marcos Giron. Il vento contrario non ha cambiato direzione al ritorno sulla più familiare terra: prima di Umago, è uscito a testa bassa dal primo turno di Gstaad contro il qualificato svizzero Huesler (108 ATP) e poi ad Amburgo ha combattuto invano per due set con Tallon Griekspoor. Il Roland Garros e la lezione (3-1) rifilata al finalista uscente Stefanos Tsitsipas sembrano lontanissimi.
La primavera è stata sicuramente la sua stagione migliore, essendo riuscito anche a centrare il primo trofeo nel circuito maggiore con il successo da wild card a Monaco (battendo Zverev e poi approfittando del ritiro in finale di Van de Zandschulp) e la semifinale a Lione. Tutto prima della cavalcata parigina. C’è da dire che anche in apertura del 2022 – quello che rimane l’anno della sua dirompente esplosione – Rune era finito in un tunnel di negatività: tra Australia e Sudamerica sono arrivati cinque k.o. consecutivi (Adelaide 1 e 2, Australian Open, Cordoba e Buenos Aires) prima di tornare a respirare l’aria europea. Cali fisiologici di rendimento che possono starci a 19 anni, ma vanno a segnare una differenza in termini continuità rispetto al coetaneo Alcaraz. Il percorso di crescita di Rune è stato infatti spesso associato a quello dello spagnolo, spingendolo – il carattere non gli manca – ad allontanare anche con forza il paragone: “Penso che Carlos meriti tutta l’attenzione che sta guadagnando – le parole del danese, qualche tempo fa -, ma ognuno ha il proprio viaggio e questo è il mio. Credo in me stesso e nelle mie capacità e il mio obiettivo è diventare un domani numero uno al mondo“.
Rune tornerà certamente a infilare risultati positivi, continuando a perfezionare il suo tennis e a smussare anche gli angoli di un carattere che è stato a volte ingombrante. La costanza di rendimento è però complicatissima da mantenere a 20 anni (o anche meno, nel caso del danese). Considerazione che vale da filtro per leggere anche quanto succederà da qui in avanti a Lorenzo Musetti. Che rispetto a Rune è in vantaggio di quasi un anno (marzo 2002 il carrarino, aprile 2003 il danese), ma gli sbalzi di umore e rendimento da crescita li ha già vissuti nel labirinto del circuito. E potrà capitargli ancora. Senza che ciò significhi perdere la strada giusta.