L’ultimo Slam dell’anno, che ha segnato l’inizio di una nuova era, – anche rappresentata dal fatto che per la prima volta nella storia dell’ATP hanno detenuto il primo posto della classifica, nella stessa stagione, tre giocatori nati in altrettanti decenni differenti: Djokovic classe ’87, Medvedev classe ’96 e Alcaraz generazione Z – è stato ormai salutato. Prima però di concentrare tutte le attenzioni sui gironi di Coppa Davis, con la squadra azzurra pronta ad incendiare gli spalti della Unipol Arena di Casalecchio di Reno, è tempo di autoinfliggersi un’ulteriore “coltellata” riesumando i freschissimi ricordi scaturiti da quella strabiliante, magnifica, dirompente, sublime – scegliete gli aggettivi che più vi aggradano – sfida, che è stata la quinta puntata della saga Val Pusteria versus Murcia, destinata in futuro ad occupare le prime pagine delle cronache sportive per diverse stagioni. Un duello che tuttavia ha delineato una vasta e profonda ferita nel cuore “tennistico” di Sinner, raffigurata da quel match point mancato sul 5-4 del quarto set con l’aggravante del servizio a diposizione.
La speranza è che quel lacerante dolore possa presto affievolirsi, cicatrizzando la ferita e facendo ripartire il nostro Pel di Carota più forte di prima. Per aiutare, e consolare, il giocatore italico nel suo percorso di ripresa; ci addentriamo in una disamina statistica che dimostra come Jan non sia stato l’unico nella storia di Flushing Meadows – e Forrest Hill prima ancora -, ad essere vittima del perfido sacrilegio di dover perdere contro un avversario che poi avrebbe alzato al cielo la coppa di New York. Nel tennis per un giocatore questa è la punizione peggiore, che lascia quel senso di incompiutezza e di rimpianto difficilmente scalfibile, al contrario è il sollievo più grande nonché la gioia più limpida per chi riesce ad uscirne incolume. Due facce di una stessa medaglia che, a seconda di dove si collochino i protagonisti assume sfumature diverse, il tutto in questo caso enfatizzato dal raggiungimento dell’Eldorado tennistico.
In 142 edizioni dello Slam di scena nella Grande Mela, fondato nel 1881, sono stati ben sette, prima di Alcaraz, i tennisti capaci di ottenere il “colpo grosso” del trionfo all’Open degli Stati Uniti, raggiungendo tale traguardo dopo aver cancellato almeno un match ball durante il loro cammino nel torneo. Sette atleti della racchetta, per un totale complessivo di 15 punti partita frantumati – 16 considerando anche quello non sfruttato dal 21enne di San Candido. Svisceriamo, dunque, tutti i nomi di quelle leggende che hanno mostrato sangue freddo e abilità nel raffreddare l’emozioni e la tensione, nel momento per antonomasia in cui sono più palpabili, cominciando dal tennis maschile e seguendo pedissequamente l’ordine cronologico.
M. Orantes b. G. Vilas, semifinale US Open 1975 (cinque match point)
Il primo di sei a compiere un’impresa di cotale importanza e rilevanza fu un altro spagnolo, in quella circostanza un andaluso, nativo di Granada: Manuel Orantes. Correva l’anno 1975, semifinale dello US Open, Manolo incrociava la racchetta con l’argentino Guillermo Vilas, di tre anni più giovane. L’albiceleste da Mar de Plata, si portò avanti di due set con lo score 6-4 6-1. Ma ecco materializzarsi l’imponderabile, il sudamericano – testa di serie n. 2 del torneo – dopo la reazione di Orantes che aveva vinto il terzo parziale per 6-2, non sazio decise che era arrivato il momento di azzannare la partita: così salì ferocemente sul 5-0, 0-40 con tre match point consecutivi sulla racchetta per chiudere la contesa. Ad un solo punto dalla vittoria, però, il mancino inventore del tweener subì una surreale ed inspiegabile rimonta cedendo il passo per 7-5 6-4, e mancando oltre ai tre match ball in fila del sesto game anche due nel successivo settimo gioco. Nonostante in seguito dichiarò di aver sofferto di una lesione addominale accusata alla fine della terza frazione, quella remuntada rimane tutt’ora una delle più grandi imprese della storia del tennis. In finale Manolo sublimò un torneo eccezionale sconfiggendo la prima forza del tabellone, un altro mancino, Jimbo Connors per 6-4 6-3 6-3. Il tennista di casa nel penultimo atto aveva estromesso l’orso svedese Bjorn Borg con un triplice 7-5. Per Orantes quella fantastica cavalcata si concluse con il suo primo titolo Major, l’unico di tutta la carriera.
B. Becker b. D. Rostagno, 2°T US Open 1989 (due match point)
Compiamo un balzo di quattordici anni, e voliamo al 1989. La cornice è sempre la stessa, ma questa volta il “più grande spauracchio che esista per un tennista” giunse già nei primi giorni dell’evento: 2°T, in campo il tre volte vincitore di Wimbledon Boris Becker. Dall’altra parte della rete lo statunitense Derrick Rostagno, di famiglia italiana che dopo il tennis ha abbracciato la vocazione di avvocato. Bum Bum, anche se per Clerici era una definizione da incompetenti, partì a rilento andando sotto 6-1 7-6. Tuttavia riuscì a ritrovarsi in tempo per completare la rimonta, vincendo gli ultimi tre set dell’incontro 6-3 7-6 6-3. Quel successo, arrivato dopo essere stato sull’orlo del baratro, diede lo slancio necessario al tedesco per raggiungere la finale, dove superò in quattro set Ivan Lendl – il ceco era alla sua ottava finale consecutiva dello US Open, record a pari merito con Bill Tiden – e conquistò il quarto Major della carriera.
P. Sampras b. A. Corretja, quarti di finale US Open 1996 (un match point)
Passano altre sette stagioni, prima che la storia si ripeta. Quarti di finale dell’edizione del 1996, uno di fronte all’altro Pete Sampras e Alex Corretja. Colui in possesso del servizio più devastante di sempre aveva già messo in bacheca la metà dei suoi 14 titoli Slam, trionfando in tre occasioni nello Slam casalingo – ’90, ’93, ’95 -. Un match point salvato da Pistol Pete, che s’impose sul catalano 7-6(5) 5-7 5-7 6-4 7-6(7). In seguito l’ex n. 1 del mondo si aggiudicò l’ottavo successo in un torneo del Grande Slam, il quarto a New York, maramaldeggiando in tre partite sul campione del Roland Garros 1989 Michael Chang, in un confronto a tinte states tra un greco e un taiwanese.
A. Roddick b. D. Nalbandian, semifinale US Open 2003 (un match point)
Chiuso il capitolo degli anni novanta, entriamo nel nuovo millennio e l’anno da evidenziare con il circoletto rosso è il 2003. Ancora semifinale, David Nalbandian ha fatto il carico di fiducia eliminano il n. 2 del seeding Roger Federer – che arrivava dal primo trionfo Major, nonché primo di 8 Wimbledon -. E questa piena consapevolezza nei propri mezzi lo fa partire a razzo, scaraventando Andy Roddick ad un solo set dalla sconfitta – 7-6(4) 6-3 -. Ma l’allora 21enne del Nebraska non ci sta, e dà fondo a tutte le sue energie per compiere il rimontone portandolo a compimento con il punteggio di 7-6(7) 6-1 6-3, regalandosi grazie a quel match point sventato la su prima finale Slam. Ultimo atto che lo vide vittorioso su Juan Carlos Ferrero, che in semifinale eliminando Andre Agassi aveva impedito lo scontro tra connazionali in un derby generazionale.
N. Djokovic b. R. Federer, semifinale US Open 2011 (due match point)
Arriviamo ad un’epoca tennistica più recente, undici stagioni orsono: si danno battaglia per la 24esima volta, in un romanzo che finora – e probabilmente ormai giunto ai titoli di coda – conta un cinquantello di capitoli, Novak Djokovic e Roger Federer. Una delle grandi classiche del nostro sport, in quella che è stata forse una delle versioni più al cardiopalma. Nel penultimo atto dell’Open americano del 2011, il cannibale serbo che in quella stagione si era già assicurato due titoli Slam in Australia e a Londra, dominando in lungo e largo il circuito in quei mesi, con la sua solita resilienza mentale annichilì alla distanza il Re svizzero. Roger vinse 7-6(7) 6-4 i primi due set, per poi subire la furia da Belgrado che rimontò per 6-3 6-2 7-5 in quasi quattro ore di match frantumando le due possibilità di mettere la parola fine avute a disposizione da Federer. Si trattò del quarto titolo Slam per l’uomo di gomma.
S. Wawrinka b. D. Evans, 3°T US Open 2016 (un match point)
L’ultimo prima di Alcaraz a potersi fregiare di una simile “navigata” negli Slam, è Stan Wawrinka. Il 37enne di Losanna si laureò campione per la terza volta in una prova Major nel 2016, quando superò Nole Djokovic (1)6-7 6-4 7-5 6-3, tuttavia la vera impresa di Stan The Man fu quella messa a segno nel 3°T quando uscì indenne da una maratona, e un match ball contro, al cospetto di Dan Evans perdendo il tie-break del terzo per 7 punti a 5 ma facendo suo quello del quarto per 12 a 10 – 4-6 6-3 (6)6-7 7-6(8) 6-2, il punteggio finale.
M. Navratilova b. S. Graf, semifinale US Open 1986 (tre match point)
Tra le donne, una sola regina è stata capace di vincere lo US Open riuscendo a fronteggiare abilmente una palla della partita per l’avversaria senza rimanerci scottata. Il suo nome è Martina Navratilova, a 30 anni aveva già trionfato per 14 volte in un torneo del Grande Slam, due anche a Ne York nel biennio ’83-’84. Ma dall’altra parte del campo si presenta una rampante 17enne tedesca, “miss dritto” Steffi Graf, tuttavia Martina è implacabile e rifila alla collega un ko per il secondo anno consecutivo nella semifinale dello US Open. Tre i match point cancellati dalla ceca, naturalizzata statunitense, che vinse 6-1 (3)6-7 7-6(8) prima di sigillare il suo terzo trionfo nella Grande Mela sulla connazionale Sukova