Gruppo D (Glasgow)
Olanda b. Gran Bretagna 2-1
E’ ancora il doppio a rivelarsi l’anello debole della squadra britannica di Coppa Davis, dopo che già nella scorsa edizione della competizione non era riuscita a confermare la semifinale ottenuta nel 2019 perdendo proprio al doppio decisivo contro la Germania, si è ripetuta quest’anno nonostante potesse sfruttare il fattore campo a sua disposizione. Prima il KO con gli Stati Uniti, poi la definitiva resa sotto i colpi dei Paesi Bassi. In entrambi i casi, l’incontro si è deciso al terzo rubber e con la sconfitta patita nel parziale finale. Un problema, quello del doppio, paradossale per la Gran Bretagna se si considera che può contare su due dei primi quattro giocatori di specialità, i quali fra l’altro si sono scontrati, con compagni diversi al seguito, nella recente finale dello US Open; tuttavia Skupski non è mai stato preso in considerazione preferendogli sempre Murray. Ma oggi l’altra grande nota negativa è stata rappresenta dal n. 1 Norrie, autore di una prestazione al di sotto delle sue possibilità. Ciò nonostante grandissimi meriti alla compagine orange, che ha dimostrato tutto il suo valore e che certamente a Malaga sarà una mina vagante ed un avversario che tutte vorranno evitare: due singolaristi solidi, ed un doppio più che collaudato. Però la copertina di oggi se la prende indiscutibilmente Matwe Middelkoop, che a 39 suonati – anche l’Olanda non scherza per quanto riguarda la disciplina del doppio, visto che ha lasciato a casa un altro veterano come il 41enne e n. 5 di specialità Jean Julier Rojer, campione in tre prove dello Slam tra cui il Roland Garros di quest’anno in coppia con Arevalo – ha fatto vedere cosa vuol dire essere un doppista con la D maiuscola. Adesso l’Olanda nella sfida di domani contenderà agli USA il primato, mentre per Sir Andy e compagni la magra consolazione di battagliare domenica per il 3° posto del raggruppamento.
Quinta giornata di gare all’Emirates Arena di Glasgow, con in campo i padroni di casi chiamati al riscatto dopo la sconfitta subita al debutto per mano degli Stati Uniti d’America. Il team guidato da Leon Smith non può più sbagliare poiché a causa del successo maturato ieri in Scozia, che ha visto la seconda affermazione in fila della squadra capitanata – per l’occasione – da Bob Bryan ai danni del Kazakistan, qualora incassasse un ulteriore KO avrebbe matematicamente perso qualsiasi possibilità di qualificarsi per la Fase Finale della Coppa Davis 2022, di scena a fine novembre in quel di Malaga. Dunque uno scenario di questo tipo garantirebbe al Team USA e ai Paesi Bassi – avversari odierni di Murray e soci, dopo il successo sui kazaki – di potersi giocare nello scontro diretto di domani il primo posto del girone, affrontando la sfida con la consapevolezza e la tranquillità di sapere che anche un eventuale sconfitta non metterebbe a rischio l’accesso ai quarti della competizione. Questo perché un trionfo della nazionale orange porterebbe gli uomini di Paul Haarhuis a due ties vinti, così come gli Stati Uniti, mentre lascerebbe sul fondo del raggruppamento ancora a 0 incontri vinti sia il Kazakistan che i britannici.
Perciò il peso sulle spalle con il quale i membri del Team di Sua Maestà, hanno approcciato alla sfida contro l’Olanda è stato certamente non indifferente. Mettiamoci pure che l’avvicinamento non è stato dei migliori – dopo le lamentele per nulla velate di Sir Andy, che si è scagliato contro l’organizzazione -, e ci si rende conto come il compito per la squadra di casa non era per nulla semplice. Inoltre a rappresentare un altro fattore di pressione, l’ovvia spinta del pubblico nel cercare di sostenere al massimo i loro beniamini affinché potessero omaggiare degnamente la scomparsa di Queen Elizabeth II, attraverso il pass per l’Andalusia.
D. Evans b. T. Griekspoor 6-4 6-4
A varcare per primi l’ingresso dell’imponente impianto scozzese – teatro nel recente passato di diversi memorabili scontri di Davis, specie in quel magico 2015 – sono come da regolamento del nuovo format, i rispettivi numeri due delle formazioni impegnate: Daniel Evans e Tallon Griekspoor. Era il primo confronto diretto in assoluto tra i due giocatori, i quali venivano da uno scorcio di stagione sul cemento americano diametralmente opposto. Il 32enne di Birmingham, oltre al 3°T ottenuto allo US Open – eliminato da Cilic -, aveva brillato particolarmente tra Washington e Montreal conquistando prima i quarti e poi soprattutto la semifinale in Canada, nel torneo ‘1000’ delle sorprese si arrese soltanto al futuro vincitore Carreno Busta. Ciò nonostante difendendo i colori del proprio Paese ha racimolato una sconfitta all’esordio contro Paul, pur disputando un ottimo match perso solo al terzo set. Mentre al contrario il suo avversario odierno aveva ottenuto una vittoria, seppur molto sofferta, ai danni del veterano Kukushkin. Dunque arrivavano al duello odierno con sensazioni completamente differenti, ma come si sa in Coppa Davis l’esperienza conta e non poco.
Ebbene se si va a spulciare il kilometraggio di Dan e Tallon in questo evento, si può osservare un netto divario di abitudine nel giocarlo: Evans, anche per via dei suoi sette anni in più, ha esordito nel lontano 2009 ricevendo in totale 16 convocazioni e prendendo parte a 21 incontri, con un bilancio di 10 vinti e 19 persi – match disputati tutti in singolare -; il 25enne di Haarlem invece ha debuttato nel 2019 ed è stato chiamato dalla propria nazionale nove volte, scendendo in campo in 7 ties con un bottino di 3 partite vinte e altrettante perse. Quindi nonostante il peso di un intero Regno sul groppone, Evans ha mantenuto fede al suo ruolo di favorito proprio in virtù dell’esperienza accumulata, in questi anni, da Davisman. Un doppio 6-4 in 1h42’ portato a casa dall’istrionico Daniel attraverso una sviluppata capacità di gestire, e di trascinare verso poli favorevoli, i diversi momenti che un incontro di questo tipo propone. Il n. 25 ATP ha saputo disinnescare, con i suoi malefici tagli e il suo inconfondibile stile d’antan, la maggiore potenza dell’olandese. Quest’ultimo, tennista dotato di grande solidità da fondo e di un servizio di primo ordine oggi è stato tramortito non potendo fare pieno affidamento alla propria cilindrata superiore.
Saper leggere le varie fasi di un match, non è qualità comune poiché presuppone di riconoscere – ed in particolar modo di accettare – quand’è il momento di premere sull’acceleratore attaccando con coraggio e quando invece – contrariamente – bisogna mettersi lì, soffrire ed essere in grado di mostrare quell’umiltà necessaria e propedeutica a far passare la marea riemergendo indenni. Ed è proprio seguendo questo monito interiore che il n. 2 di Gran Bretagna riesce prima a sventare l’insidia dei vantaggi sul 4-4, per poi trovare alla seconda chance utile – aveva avuto una palla break nel game d’apertura – la zampata decisiva nel successivo gioco, con il break prontamente confermato che ha posto fine al parziale. Nel secondo set, tuttavia, il primo ad offrire opportunità di break, sullo 0-1, è stato il nativo di Birmingham; il quale però ancora una volta si è dimostrato più cinico cancellando l’occasione al n. 48 del mondo e ottenendo lo strappo finale nel settimo game. Chiusa, dopo un po’ di suspense conclusiva, la partita al terzo match point: Evans ha potuto liberare tutta la sua gioia, ripagando la scelta del capitano di averlo riconfermato nonostante la sconfitta patita con gli USA.
B. Van De Zandschulp b. C. Norrie 6-4 6-2
La palla adesso passava di testimone, al n. 1 del Team di casa Cameron Norrie. Il mancino giramondo da Johannesburg ha sulla propria racchetta la possibilità di chiudere il tie e regalare il punto che terrebbe vive le speranze british di qualificazione. L’altro protagonista del secondo rubber è il n. 35 del ranking Botic Van De Zandschulp, capofila del movimento tennistico d’Olanda. Un solo precedente, ma assolutamente degno di nota sia per la superficie sulla quale si è materializzato che soprattutto perché disputatosi pochissime settimane fa: poco più di un mese fa sul cemento nordamericano di Montreal ad imporsi nei sedicesimi di finale in maniera nettissima, lasciando per strada tre miseri game, fu il campione d’Indian Wells 2021. Un’affermazione che diede il là ad un grande percorso da parte di Cam, che si spinse addirittura sino alla semifinale battendo il – futuro – n. 1 mondiale Alcaraz e dovendo inchinarsi solamente dinanzi ad uno scatenato Coric. Il n. 8 delle classifiche raggiunse così l’ennesimo eccezionale traguardo, di un’estate magnifica per lui: considerando la finale conquistata a Los Cabos e, sopra ogni cosa, lo storico penultimo atto di Wimbledon. Tutto perciò lasciava presagire, visto anche le 25 posizioni di distanza in classifica, un risultato favorevole per il tennista di origini sudafricane. Ma mai dare per scontato un match in Davis, specialmente quando la vittima sacrificale è l’emblema del giocatore tignoso e ostico per eccellenza: BVDZ ha difatti ammutolito il pubblico di casa, liquidando Norrie in neanche un’ora e mezza di partita con lo score di 6-4 6-2.
Il 26enne di Wageningen usufruendo alla perfezione del suo tennis a tutto campo, che lo vede ben esibirsi sia quando deve comandare da fondocampo spingendo a velocità sostenute negli scambi prolungati sia invece in quei frangenti in cui gli è richiesto di prendere la rete anche con puntuali discese in controtempo o ancora di variare con la smorzata, ha rotto gli indugi brekkando nel terzo game. L’allungo si è rivelato decisivo, con il tennista orange che ha persino sfiorato il doppio vantaggio sul 3-1: l’unico momento di reale sofferenza è giunto nel decimo game, dove Cameron trascinato dall’intramontabile tifo dei suoi connazionali ha frantumato la bellezza di tre set point. Bravo e freddo comunque Botic, che non si è fatto distrarre più di tanto sigillando la frazione al quarto tentativo. Sostanzialmente lo scontro è terminato qui, il secondo set si è infatti rivelato totalmente a senso unico: servizio strappato dall’olandese nel primo e nel settimo gioco, per regolare definitivamente i conti. Il mancino di casa deve così abbandonare inopinatamente il campo, deluso per l’opaca prestazione offerta, nella quale praticamente mai è stato in grado di far valere le sue armi: il rovescio filante, il dritto arrotato e le infide traiettorie alla battuta.
W. Koolhof/M. Middelkoop b. A. Murray/J. Salisbury 7-6(0) (6)6-7 6-3
A Glasgow, allora, bisogna ancora soffrire fino allo sfinimento, sudare le proverbiali sette camicie per gli appassionati accorsi all’Emirates Arena. La loro speranza è che in questo caso il doppio sia portatore di felicità e gioia, e non di un’amarezza acuita dalle tante ore passate a sostenere – inutilmente – i loro rappresentati. Per i capitani, nessuna variazione, coppie confermate; fra l’altro le stesse ammirate nelle loro prime uscite. In campo tre specialisti della disciplina, e poi lui: l’incommensurabile “uomo dall’anca d’acciaio”, non sazio di correre e spendere energie per la Gran Bretagna, con la grandezza dei campioni di accettare anche un ridimensionamento del suo ruolo all’interno delle dinamiche e delle gerarchie di squadra – da prima punta indiscussa, a doppista titolare -. Andy Murray e Joe Salisbury contro Wesley Koolhof e Matwe Middelkoop: i britannici sono al loro quarto match assieme, prima della dolorosa sconfitta patita con Ram/Sock martedì, avevano giocato in coppia solamente in occasione dei Giochi Olimpici di Tokyo dove ben figurarono superando due accoppiate molto forti come i francesi Herbert/Mahut e i tedeschi Krawietz/Puetz prima di soccombere per mano della successiva medaglia d’argento Cilic/Dodig. Wesley e Matwe hanno invece giocato uno affianco all’altro ininterrottamente per due stagioni, tra il 2016 e il 2017, con in seguito una reunion isolata tre anni fa per il ‘500’ di Halle dove però hanno perso subito da Kubot e Melo.
Dunque da un lato una coppia con certamente più affinità ma che oramai è piuttosto datata, dall’altra un duo con meccanismi meno oleati tuttavia messi in piedi appena l’estate passata per l’Olimpiade giapponese. Inoltre un ulteriore ed interessante chiave di lettura è data dal fatto che Salisbury e Koolhof si sono recentemente affrontati in finale allo US Open: a spuntarla è stato il giocatore inglese, che con l’americano Ram ha superato l’olandese e Neal Skuspki – anche lui a disposizione di Smith, n. 3 di specialità, ma gli è sempre stato preferito Murray -. Il doppio di casa ha grandissima voglia di rivalsa, dopo aver sprecato il vantaggio di un set e un break contro Team USA, e difatti parte fortissimo. Break immediato e 3-1 a favore della coppia britannica, con un Murray incandescente e straripante che a suon di difese miracolose, lob in precario equilibrio, riflessi pazzeschi al volo e risposte d’antologia; traina con sé il proprio compagno ed il pubblico. Il match sembrava ben indirizzato, addirittura il duo casalingo si costruisce una palla per il doppio break – non concretizzata – ma all’improvviso qualcosa inizia a scricchiolare. I rapporti di forza dell’incontro sono chiarissimi, due specialisti di altissimo livello – Salisbury n. 1 di doppio, Koolhof n. 4 di specialità – un campionissimo che si adatta alla grande al doppio, anche se non è più al massimo delle sue potenzialità, ed infine un veterano della disciplina ormai in là negli anni – 39 anni per Middelkoop ma comunque n. 24 della classifica -. Ci si aspetta quindi che a decidere la contesa siano le performance di Murray e Middelkoop, tuttavia un poco prevedibile calo vertiginoso di Salisbury permette il contro-break nell’ottavo game. A quel punto si arriva al tie-break, e qui sale in cattedra proprio Matwe: l’eroe che non ti aspetti gioca un gioco decisivo allucinante, volée in tuffo straordinarie e recuperi rialzandosi da terra spettacolari. I Paesi Bassi dominano per 7 punti a 0, dopo 54 minuti lo psicodramma britannico inizia ad aleggiare.
Le due coppie cancellano tre palle break nel corso della seconda frazione, una gli olandesi nel sesto game e due – che poi si riveleranno pesantissime – Murray/Salisbury in quello immediatamente successivo. Dopodiché i servizi diventano impenetrabili, almeno fino al deciding game, dove si assiste ad un qualcosa di surreale: 6 mini-break, tre per parte, in 13 punti. Sul 6-5 match point per Koolhof/Middelkoop, ma il fondamentale d’inizio gioco britannico risponde presente. Frantumato il punto che avrebbe sancito la loro eliminazione, i due sudditi di Sua Maestà con tutta l’adrenalina che hanno in corpo sparigliano le carte centrando il settimo mini-break – del tie-break – e per 8 a 6 dopo 1h10’ di durata del parziale, rimandando ogni discorso al set finale. La frazione finale è magnifica, il livello della partita cresce esponenzialmente – anche il precedenza però il match è stato di alto profilo -: si possono sgranare gli occhi davanti a scambi durissimi, emozionanti e sempre sul filo del rasoio con tutti e quattro i giocatori a sfidarsi a rete. Ogni punto è una storia a sé, e inevitabilmente porta in dote un carico emotivo importante visto che ogni quindici può essere quello determinante a fini del tie. Due game maratona nel terzo set, con entrambe le coppie che superano un paio di break point a testa. L’equilibrio viene spezzato, senza più possibilità di essere ricucito, sul 4-3: a breakkare sono gli olandesi, che in seguito suggellano una grandissima performance – per nulla scontato reagire al match ball sfumato andando a vincere 50 minuti dopo la prima chance avuta – per 6-3 dopo quasi tre ore di gioco. Paesi Bassi ai quarti, Gran Bretagna eliminata.