Dopo averci giocato contro per anni, e aver offerto meravigliose sfide su quella diagonale di rovescio a una mano, nel 2015 Ivan Ljubicic si unì a Roger Federer, diventandone il nuovo coach e scortandolo nella luminosa parte finale della carriera, fino alla sconfitta più tragica (sportivamente parlando). Oggi, nel giorno che tutto il mondo attende ma al contempo sperava non arrivasse mai, il campione svizzero calcherà il campo per un’ultima volta, nella Laver Cup al fianco dell’eterno amico e rivale, Rafa Nadal. E, per questa grande occasione, Ljubicic ha rilasciato interessanti dichiarazioni a Tennis Majors.
“Quando Federer mi ha chiesto di diventare il suo coach, abbiamo parlato di tennis“, racconta il croato, “partendo dalla base: la mia percezione del suo gioco e come avrebbe dovuto giocare, dove poteva migliorare, se credevo potesse vincere ancora Slam, ecc. Un paio di settimane dopo, eravamo insieme a Dubai. Il fatto è che, anche prima di tutto questo, eravamo molto legati e abbiamo parlato di tennis numerose volte, quindi non c’era bisogno di una sorta di periodo di prova. Roger sapeva esattamente cosa aspettarsi da me: il modo in cui vedo il tennis e il modo in cui sono come persona“. Si sa che allenare campioni del genere, già vincitori di tutto, più volte, non è mai facile, e Ljubicic spiega cosa significhi sedere sulla panchina di gente come Federer, Djokovic, Nadal: “Essere coach a quel livello non consiste solo nel dire ‘devi colpire il rovescio così’ o ‘fai questo’, come si fa ad esempio con i junior. No, a quel livello di élite, è più sul passare del tempo insieme e magari cambiare il modo in cui il giocatore pensa a certi punti. Tante volte ho sentito commentatori in TV dire ‘oh, il coach ha cambiato questo per lui’, dopo un mese insieme. Non c’è un modo con cui possa dire a che stanno lavorando Ivanisevic e Djokovic, o Moya e Nadal, semplicemente non lo si può dire facilmente. Forse anche loro stessi avrebbero difficoltà a spiegare sul passare del tempo insieme, esercitarsi, ma poi viene naturale“.
“Proverò ad illustrarvelo“, prosegue l’ex n.3 al mondo, “immaginate un grande globo che puoi spingere solo a sinistra o a destra, ma di cui puoi cambiare leggermente la direzione. Tuttavia, quel piccolo cambiamento può raccogliere squisiti frutti perché stiamo parlando di giocatori che non perdono mai presto: l’unica differenza è se arrivano ai quarti o semifinali di uno Slam, o se vincono il titolo“. E, insieme a Ljubicic, Federer ha vinto ben tre Slam, compresa quella storica finale in Australia nel 2017 contro Nadal, un’impresa ancor oggi incredibile: “Roger accettò il fatto che doveva giocare di più sul dritto di Nadal, appiattì il rovescio e rimase concentrato sulla palla, non sull’avversario. Al tempo, gli scontri diretti con Rafa erano molto negativi, c’erano delle cicatrici lì, quindi queste cose significavano molto. Soprattutto, giocò con la convinzione che avrebbe potuto vincere, che per me come allenatore era la cosa più importante. Nel quarto set ero preoccupato in tal senso, ma quando ho visto Roger all’inizio del quinto set (seppur sotto 3-1) ero più calmo perché stava giocando nel modo giusto e sapevo che aveva una possibilità. Alla fine ha vinto. È stata una vittoria molto emozionante, perché non vinceva uno Slam da quattro anni e mezzo“.
Ma, dato che un allenatore c’è sempre, non solo nella luce ma anche nelle tenebre, Ljubicic sedeva sulla panchina di Federer anche il giorno della sconfitta (probabilmente tra le più dure), con due match point, a Wimbledon 2019: “Rimanemmo brevemente negli spogliatoi, perché lui andò alla conferenza stampa. Dopo, tornati a casa, siamo finiti per festeggiare quella finale, per l’esserci arrivati. Certo, all’inizio l’atmosfera non era molto luminosa, ma siamo riusciti a trasformarla in un momento positivo. Come? Chiami un po’ di persone, i tuoi amici, suoni un po’ di musica. Non è stata una tragedia di proporzioni epiche, ma un vero peccato perché ha giocato magnificamente ed ero orgoglioso di lui come allenatore. Era vicino, ma a volte vinci, altre perdi. Siamo andati avanti. Alla fine, si è rivelata la sua ultima grande occasione di vincere uno Slam, ma all’epoca non lo sapevamo. Credevamo avremmo avuto un’altra possibilità“.
E, avendo parlato sia del serbo che del maiorchino, la domanda sul GOAT sorge quasi spontanea. In fondo, questi tre hanno scolpito pagine di tennis nella leggenda (ben aiutati anche dal mai celebrato Andy Murray), ma la risposta anche per uno che li ha sfidati in campo, e li ha analizzati da coach, forse non esiste: “Non so quale dovrebbe essere il criterio per definire il GOAT e non credo che ci sia una risposta. Cosa rende uno “il più grande”? Il giocatore di più successo è allo stesso tempo il più grande o non è quello il caso? Sia Roger, che Novak, che Rafa hanno fatto cose che non saranno mai raggiunte in futuro. Hanno portato questo sport a livelli incredibili, quindi non c’è nemmeno motivo per cercare quella risposta a chi sia il GOAT. Roger non sarà quello con più Slam, ma vedremo se finirà con più titoli in assoluto tra i tre. Penso che non si possa ignorare il fatto che è stato votato Fans’ Favorite per 19 anni consecutivi…forse è il maggior numero di settimane al n.1, forse sono gli Slam; quelli sono i più importanti, ma non possono essere l’unico metro. Non ho idea di chi sia il GOAT, a dire il vero. Come nel calcio, è impossibile sapere chi è stato migliore tra Pelé e Maradona, o oggi tra Messi e Ronaldo. Penso che chiunque segua il tennis abbia il suo preferito tra i tre, e tutti possono facilmente sostenere che il loro è il Goat“.
In conclusione, non si poteva schivare la questione ritiro, ma prima di tutto l’attesissima partita in Laver Cup di stasera, la fine di un’era ufficialmente, senza sapere l’effettiva condizione dello svizzero: “L’ho visto allenarsi e stava bene, sente e colpisce la palla alla grande. Fisicamente non posso dirvelo, ma si tratta del solo doppio, quindi non conta tanto. Sono sicuro che sarà uno spettacolo“. Ma la domanda vera, a cui rispondere non è facile, è quanto possa essere stato difficile venire “obbligato” (dal fisico) al ritiro per l’uomo che ha ridisegnato le leggi, i numeri di questo sport: “Non è l’ideale, ma considerando che Roger avrebbe voluto giocare a tennis fino a cento anni, questo era l’unico modo per fermarlo. Non ci sarebbe stato altro modo per fermarlo! Era solo un problema di tempo quando non sarebbe stato più capace di continuare e quel tempo è arrivato ora. Ha detto bene Murray in conferenza stampa : tutti e quattro i Big 4 nello stesso posto con McEnroe, Borg, Laver e altri, non ci sono modi migliori per dirsi addio. Mi sto preparando per una serata emozionante“.
E forse, tra le tante parole, i fiumi d’inchiostro e i pensieri volati al vento in questi giorni, le poche ben scelte da Ljubicic riassumono al meglio chi era, cos’è stato e per sempre sarà Roger Federer, Uomo prima che grandissimo tennista: “Un meraviglioso essere umano (in Croato/Serbo è una sola parola: “ljudina”). Genio. Sport. Eccellenza, in tutto ciò che fa“.