Dopo Pospisil e Opelka, c’è un nuovo nome che Andrea Gaudenzi, il presidente dell’ATP, dovrà aggiungere all’elenco dei giocatori che hanno espresso pubblicamente considerazioni negative su di lui. Si tratta di Facundo Bagnis, attualmente numero 99 del mondo dopo la vittoria nel Challenger di Ambato in Ecuador, che in una lunga intervista al quotidiano argentino La Nacion non ha nascosto di avere più di qualche riserva sull’attuale governo del tennis professionistico e, nello specifico, sul numero uno dell’associazione che riunisce giocatori e tornei: “Gaudenzi non ha alcun rapporto con i giocatori che non siano tra i primi 20 del mondo. Chiedete a qualsiasi giocatore e vi dirà che ha anche avuto cattivi atteggiamenti. Lo incrocio e non mi saluta, non sa nemmeno chi sono; non pretendo che prenda un caffè con me ogni giorno, ma solo un saluto”.
Il tennista argentino ha così riaperto la dialettica – apparentemente sopita – tra ATP e PTPA, il sindacato dei giocatori fondato da Djokovic e Pospisil nel 2020, schierandosi nettamente dalla parte di questo nuovo organismo e spendendo parole al miele in particolare per il serbo: “Sono grato per quello che ha fatto Djokovic. Noi giocatori dobbiamo avere una sorta di sindacato incaricato di parlare con l’ATP. La federazione creata da Djokovic non è ancora molto forte, è nuova, ma mette paura. Ho visto Novak super impegnato nel torneo di Roma, in una riunione di due ore e mezza, che non era obbligatoria, e il giorno dopo ha giocato. La gente non ha la possibilità di vederlo, ma io sì e quindi gli faccio tanto di cappello”.
Se per Bagnis Gaudenzi rappresenta il volto del potere autoritario e indifferente verso le difficoltà di tutti quei giocatori non milionari che occupano posizioni in classifica oltre la top 100, Djokovic è invece, in perfetta antitesi, il modello esemplare di sindacalista: “Si sta mettendo nei panni dei giocatori che hanno limitazioni economiche e che potrebbero essere più svantaggiati. Poi ha commesso molti errori e forse non è il preferito dal pubblico, ma io non sono un fan, faccio parte del circuito e gli sono molto grato. Lo vedrete fare degli errori, sì, ma perché solo chi fa sbaglia. È stato lui ad aiutare durante gli incendi in Australia, è stato lui a proporre di aiutare i giocatori fuori dalla Top 100 durante la pandemia… Questo è il senso di condivisione dello sport: è un dare e ricevere. Poi ognuno guarda al suo orticello: io guadagno di più, tu di meno e finisce lì…”. Facundo ha poi aggiunto che “ognuno deve cercare di difendere la propria situazione, soprattutto per chi è indietro e per chi arriverà domani in modo che trovi condizioni migliori”.
Le parole e il tono usati da Bagnis, 33 anni il prossimo febbraio, sembrano anticipare la strada che prenderà la sua vita lavorativa dopo l’addio al tennis giocato. E infatti l’argentino non si è tirato indietro di fronte all’esplicita domanda di Sebastian Torok sulla possibilità di vederlo in futuro nelle vesti di dirigente sportivo. Non a caso il numero 99 del mondo (nel 2016 è stato #55) si è espresso anche sullo stato di salute generale del suo Paese (“Viaggio da 18 anni e ogni volta che si va all’estero, da lontano, si ha una prospettiva diversa dell’Argentina e mi accorgo che la vedo sempre peggio”) e sulle carenze strutturali che impediscono la crescita del tennis argentino (“In tutti gli sport più popolari del mondo siamo una potenza o lottiamo per le prime posizioni e non abbiamo le strutture per essere dove siamo. Quindi ci si chiede cosa succederebbe se stessimo un po’ meglio. Quando parlo di questo è senza pretendere di diventare una potenza tennistica mondiale ma di migliorare le condizioni sì”), confermando una volta di più di sentirsi profondamente toccato da questioni socio-politiche cruciali.