Nella foto di “gruppo” dei “ritirati” del 2022, che come ogni anno vede nell’appuntamento delle Nitto ATP Finals l’occasione ideale per premiare quei tennisti che hanno deciso di appendere la racchetta al chiodo, non può non balzare all’occhio il particolare abbigliamento con cui si è presentato alla cerimonia uno degli undici “ex” tennisti riceventi dell’omaggio da parte del Chairman ATP Andrea Gaudenzi. E non si tratta di uno scalpore procurato da abiti troppo sgargianti o non in linea con l’attuale linea della moda per completi destinati ad eventi cerimoniali, bensì dall’eccessiva sobrietà di un modo di vestire che non si adatterebbe ad una serata gioiosa e di festa. Ma il protagonista della vicenda indossa quegli indumenti perché manifestano più di qualsiasi parola il proprio stato d’animo, essendo così in grado di trasmettere un messaggio forte e inscalfibile.
Tuttavia non si tratta di una ricostruzione ad arte, per sostituire la realtà con la finzione di una comunicazione accattivante: è semplicemente la cruda realtà, la divisa militare che ha accompagnato un uomo nei suoi ultimi mesi di vita al fronte della guerra per difendere i suoi connazionali e preservare l’idea stessa dell’Ucraina come una nazione libera e indipendente. Quel volto che veste da soldato e che non accenna il minimo sorriso rispetto ai suoi colleghi al suo fianco, è Sergiy Stakhovsky. L’ex n. 31 ATP è divenuto, assieme all’altro grande tennista ucraino degli ultimi decenni Alexsandr Dolgopolov, il viso della ribellione di un’intera popolazione che potendo sfruttare il proprio collegamento diretto con un’ampia fascia di persone in tutto il mondo, attraverso i mass media e i social per via del suo status di personaggio pubblico, si è eretto a paladino degli ucraini per denunciare i soprusi russi e richiedere il sostegno di tutto il Globo civilizzato. In questi mesi sono state innumerevoli le sue dichiarazioni durissime, senza mezzi termini e che guardano in faccia la realtà non curanti delle conseguenze: dal confronto tra Putin e Hitler, alla costatazione che i russi non attaccassero via terra perché non avessero un motivo per morire.
Non si è limitato però unicamente alla voce di protesta, e dopo aver disputato l’ultimo torneo della carriera all’Australian Open quando la guerra è scoppiata lo scorso 24 febbraio con l’invasione russa, ha abbandonato la propria famiglia per imbracciare il fucile e arruolarsi nell’esercito di Kiev. A nove mesi dall’inizio dei combattimenti, Sergiy si è recato – per l’appunto – nel capoluogo sabaudo per ricevere i riconoscimenti del caso dopo l’addio al tennis giocato e per farlo ha dovuto prendere cinque giorni di licenza. Poi però rientrerà al fronte, Gaia Piccardi del Corriere della Sera ha avuto la possibilità di poter intervistare in esclusiva il 36enne ucraino. Ecco alcuni passaggi, che restituiscono la struggente verità di un conflitto armato contraddistinto da un’intensità di dolore e sofferenza a cui l’essere umano non dovrebbe mai essere esposto.
Gaia Piccardi: Sergiy, come sta?
Sergiy Stakhovsky: “Sono vivo“.
Gaia Piccardi: Già molto, di questi tempi.
Sergiy Stakhovsky: “È tutto surreale, ma ci si abitua“.
Gaia Piccardi: Come è arrivato a Torino?
Sergiy Stakhovsky: “Da Budapest, dove si è rifugiata la mia famiglia: mia moglie Anfisa e i miei tre figli. Ho lasciato il fronte orientale, poi ho guidato da Kiev fino all’Ungheria. Giovedì tornerò in guerra“.
Gaia Piccardi: Cosa sta succedendo?
Sergiy Stakhovsky: “Siamo in una fase nuova: i russi stanno distruggendo le infrastrutture elettriche, Kiev è al freddo e al buio. Cambia poco per i soldati ma cambia tutto per i civili. L’intensità dei bombardamenti è leggermente diminuita, difficile prevedere gli scenari futuri. I russi si ritirano, noi avanziamo ma c’è la neve, non abbiamo attrezzature adeguate“.
Gaia Piccardi: Biden ha detto che l’Ucraina non può vincere.
Sergiy Stakhovsky: “Le nostre risorse sono limitate, dipendiamo dagli aiuti di Europa e Usa. La Casa Bianca, all’inizio della guerra, aveva detto che l’Ucraina avrebbe resistito tre giorni. Sono passati nove mesi. La ritirata dei russi non inganni. Dal mio punto di vista significa una cosa sola: che torneranno con più forza per distruggerci. Putin non mollerà finché non avrà raggiunto il suo sporco obiettivo”.
Gaia Piccardi: Come spiegherebbe la guerra ad un alieno?
Sergiy Stakhovsky: “E’ dolore, sofferenza, cuori che si spezzano. La guerra è un padre che seppellisce il figlio, una madre che affida ad estranei la figlia perché sia messa in salvo. Assistere a tutto questo inevitabilmente ti cambia: cominci a vivere per avere vendetta. La paura la controlli, nel mio caso è passata. Il dolore, però, te lo porti dentro e non ti lascia più”.
Gaia Piccardi: Come ha imparato ad usare le armi?
Sergiy Stakhovsky: “Già nel 2014, quando la Russia invase la Crimea, avevo passato un breve periodo al fronte. La quantità di stress provata mi aveva indotto a tornare al tennis, però, con un istruttore privato trovato a Bratislava, avevo voluto dotarmi dei rudimenti per usare una pistola o un fucile. In caso di bisogno, se non altro, avrei saputo come difendermi“.
Gaia Piccardi: Li ha mai usati?
Seergiy Stakhovsky: «Sì. E’ cinico da dire: ci si allena, come con il tennis».
Ha ucciso qualcuno?
Sergiy Stakhovsky: «No, fino a ora no».
Gaia Piccardi: Però ha mai rischiato la vita?
Sergiy Stakhovsky: “Ero su un convoglio vicino a Donetsk, il ponte sul Kalmius era crollato, cercavamo il modo di guardare. È arrivata una raffica, per fortuna l’auto era blindata e ha resistito ai colpi. Un’altra volta ero a Kiev, durante un attacco aereo alla stazione centrale. E il sibilo dei missili a rimanerti stampato nelle orecchie: un suono che non dimentichi più. Ho visto civili morire, gente innocente che con la guerra non c’entra nulla”.
Gaia Piccardi: Come si sta comportando la comunità internazionale?
Sergiy Stakhovsky: “Si può sempre fare di più: la politica è troppo lenta e paludata nel muoversi. Ma i cittadini dell’Unione Europea mi hanno commosso: la loro accoglienza dei profughi è stata incredibile“.
Gaia Piccardi: E se incontrasse Putin?
Sergiy Stakhovsky: “Non avrei molto da dirgli: spero di essere armato“.