Oggi le accademie di tennis sono un passaggio quasi obbligato per la strada verso il successo sportivo. Alla fine degli anni ’70, l’Accademia di Bradenton in Florida era un unicuum. Il suo lungimirante fondatore Nick Bollettieri si è spento a 91 anni il 4 dicembre scorso. Ex soldato, ex filosofo, l’allenatore italo-americano più famoso del mondo non aveva mai giocato una partita in un torneo ma gli riuscì di portare ben 11 dei suoi allievi sulla vetta del ranking: Agassi, Courier, Rios e Sampras, Capriati, Jankovic, Hingis, Seles, Sharapova e le sorelle Williams.
Il collega Marco Imarisio sul Corriere della Sera ha raccontato del suo ultimo incontro con Bollettieri durante la sua ultima visita nel Bel Paese per la presentazione della sua ultima fatica letteraria Cambiare gioco. Sempre nascosto dietro un sapiente auto-controllo di sé, denti bianchi e abbronzatura da sole della Florida, Nick è stato “l’inventore dei picchiatori da fondo campo” ma non solo. “Non ricordava i nomi delle sue ex mogli, ne aveva avute otto, e faceva fatica anche con la vasta prole, sette figli per tacere dei nipotini.”
Data la natura della sua accademia, dove i giovani talenti del tennis vivevano e studiavano, la figura dell’allenatore Bollettieri finiva spesso per sconfinare nel ruolo genitoriale. Ad essere davvero difficile per Nick era il rapporto con i genitori dei suoi allievi, in particolari i padri (spesso e volentieri padri-padroni); siamo certi, fu sicuramente più facile insegnare ad Andre Agassi il rovescio a due mani che rapportarsi con Mike.
“Il padre di Andre era un grandissimo stronzo, una persona che non mi è mai piaciuta. Mi chiamò alle tre di notte. […] Ci palleggiai cinque minuti. E decisi che non avrebbe pagato nulla. Il bambino era speciale. Ma era già ferito dentro, questo lo capii molto dopo. Le angherie e gli abusi psicologici del padre avevano già creato un solco troppo profondo nella sua testa”.
Nel famoso libro autobiografico, Agassi non riservò dolci parole per l’Accademia di Bradenton e anzi, la descrisse come un luogo quasi di prigionia, dove il tempo dedicato allo studio e alla scuola era ridotto all’osso: l’importante era l’allenamento in campo, la competizione. Anche al suo secondo padre (che lo scelse nella famosa finale del Roland Garros contro Courier, anche lui suo allievo), Andre non fece sconti: lo accusò apertamente di essersi arricchito sulle sue spalle, di averne fatto un oggetto di marketing.
Spietata fu la corte a Karoly Seles per convincerlo a portare la figlia Monica nella sua Accademia. I patti però dovevano essere chiari: quel morboso attaccamento padre-figlia andava reciso. “E quella volta fui io a vergognarmi per quel che avevo appena fatto”.
L’atteggiamento giusto ce lo ebbe il padre delle sorelle Williams. “Cosa vuole che faccia con le sue bambine?” “Se ne avessi la più pallida idea, non sarei qui”.
Per alcuni visionario dello sport di racchetta, per altri squalo del marketing, forse nella complessità dell’essere umano c’è spazio per entrambe. E forse, c’era anche la capacità di instaurare rapporti personali profondi. “Tutti questi ragazzi mi hanno sempre chiamato papà.”