Jo-Wilfried Tsonga 07/04/2022 – Possente come un pugile, agile come un felino. E’ stato il Muhammad Alì del tennis. Suggestione forse eccessiva, ma che non è dettata unicamente da una mera somiglianza somatica. La costruzione di un personaggio rintracciabile nel database di creazione della divinità sportiva Cassius Clay, al quale si possono solo ispirare gli altri atleti ma di certo non avvicinarsi al più grande sportivo del novecento, ha preso forma molto prima che lui nascesse; prima ancora che papà Didier conoscesse mamma Evelyne. Era il 30 ottobre del 1974 e il futuro papà Tsonga si trovava allo Stade Tata Raphael di Kinshasa, in mezzo alla folla che gridava Alì bumayé durante il match più famoso della storia del pugilato, la Rumble in the Jungle tra Clay e George Foreman. Arrivava da Brazzaville, nonostante i disastrati mezzi di trasporto dell’ex Zaire e l’obbligo di attraversare il fiume Congo per coprire i 20 chilometri che lo dividevano dall’evento del secolo. Si sarebbe poi trasferito nella patria dell’automobilismo francese, avrebbe voluto chiamare il figlio Ray Sugar in onore di un altro grande pugile – il peso medio Leonard – ; ma la moglie pose due veti incontestabili: no al pugilato e no al nome di un pugile. E si sa, le madri sanno essere molto convincenti. Così i genitori, divenuti nel frattempo entrambi maestri di tennis, portarono il loro pargolo al piccolo club periferico di Coulaines. Lì, si sarebbero poste le basi del futuro campione. Un animale da palcoscenico dimostratosi a più riprese superiore alla avversità fisiche palesatesi nel suo percorso tennistico, fin da quando ad appena vent’anni un’ernia al disco sporgente aveva messo a serio rischio la sua carriera. Un vero peccato per un giocatore, che da junior era sembrato molto promettente grazie al successo allo US Open 2003 e alla conseguente seconda posizione del ranking di categoria. Ripresosi lentamente dal primo scoglio postogli dalla sua carrozzeria da peso massimo, per via di un accordo tra Tennis Australia e la Federazione Francese il classe ’85 di Le Mans, all’epoca n. 212 ATP, riceve nel 2007 una wc per l’Australian Open. Nonostante sia solamente la sua seconda partita in uno Slam, vince il primo set contro la tds n. 6 Andy Roddick: un parziale passato alla storia, come il tie-break più lungo di sempre del tennis maschile Down Under. Alla fine lo statunitense la spunterà in quattro set, ma Jo ha compiuto il suo rito d’iniziazione: si è presentato al grande tennis. Al termine di quella stagione, entrerà per la prima volta in Top 50 chiudendo precisamente alla piazza n. 43. Un salto enorme considerando che aveva iniziato l’anno fuori dai primi 200. Nel 2008, la dea bendata lo accoppia al primo turno di Melbourne contro Andy Murray, in tanti pensano che il match possa essere ben più equilibrato di quanto faccia pensare il ranking. E difatti, pur subendo un bagel nel terzo set, Tsonga stampa la sorpresa di quello che – con il senno di poi – sarà un trionfo particolarmente significativo per il francese dato che Andy vincerà 13 dei successivi 14 confronti diretti. Il tabellone nei turni che seguono è benevolo, e si arriva alla semifinale che lo mette di fronte al n. 2 del mondo Nadal. Qui Jo gioca uno dei migliori match della sua vita, tramortendo il maiorchino con tutto il proprio repertorio e condendo una prestazione paradisiaca con una condizione fisica straripante. Rafa, in quella a circostanza a posto sul piano fisico, sconsolato dovette inchinarsi a servizi che piombavano sulla sua metà campo a 200 km orari, a dritti vincenti da ogni angolo possibile, ad una solidità bimane impressionante e a deliziose stop volley. Quel torneo, a posteriori, fu apripista di una nuova corrente di dominio, poiché per la prima volta dal 2005 un giocatore diverso dal Fedal vinse una prova Major: Novak Djokovic. Il primo grandissimo squillo del cannibale serbo, e chissà se le cose fossero andate diversamente. Il 2008 si conclude comunque meravigliosamente per Jo, raggiunge la sesta posizione del ranking grazie al secondo grande exploit della sua stagione: si aggiudica, infatti, la terra di conquiste per eccellenza, Parigi Bercy. Dopo due stagioni di assestamento, Wilfried diviene maestrò di continuità tra primi dieci del Pianeta. Ecco che però arriviamo al periodo che va da fine 2011 al 2012, in cui Tsonga gioca indubbiamente il suo miglior tennis. Ha 26 anni, è nel pieno della maturità sportiva e il traballante fisico gli dà una tregua. Dopo un avvio di annata un po’ deludente, sui prati si materializza la svolta. Finale al Queen’s, persa contro Murray dopo aver fatto fuori Nadal. Ma è a Wimbledon che Jo tira fuori il meglio di sé. Ai quarti recupera due set di svantaggio a Roger Federer, vincendo gli ultimi tre parziali con un triplice 6-4. E’ una delle sconfitte più sorprendenti della carriera dello svizzero, dal momento che fino ad allora non aveva mai dilapidato un vantaggio di due set in 255 partite a livello Slam. Se la partita con Nadal a Melbourne 2008, poteva sembrare “la giornata perfetta” che capita una volta nella vita, questa scalpo imperioso dimostrò come Tsonga fosse capace di sfoderare con costanza prestazioni di tale dominanza. In semifinale, si arrese a Djokovic in quattro parziali, ma diede la conferma ultima e definitiva. Avevamo trovato un tennista in grado di mixare la potenza dei big server, l’esplosività dei volleatori e l’agilità nel giocare a tutto campo senza perdere in solidità. In pratica, qualcuno che diverte non difettando in efficacia.
2022, l’anno dei grandi ritiri nel tennis maschile: da Del Potro a Federer, passando per Tsonga, Simon e Seppi
Storie, racconti, aneddoti, partite storiche e finali diversi, si intrecciano per omaggiare i grandi campioni che hanno lasciato in questa stagione. Roger Federer al fianco dell'amico Rafa Nadal, Del Potro in campo a Buenos Aires, Seppi lontano dai riflettori
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