Gilles Simon 07/05/2022 – Charles de Batz de Castelmore d’Artagnan, il quarto membro della nuova Bella Epoque francese. L’ultimo Moschettiere del tennis dei nostri giorni, colui che ha completato il celebre quartetto in salsa tennistica nato dalla penna di Alexandre Dumas. Ha ammainato la bandiera bianca anche il gregario del tennis moderno, protagonista di tante partite combattute correlate a momenti di rara intensità. Il meno talentuoso, il meno acclamato alla fine della Marsigliese, ma un guerriero di generosità unica in grado di creare empatia nei suoi confronti in tutti coloro che ne ammiravano l’indomabile tempra. Gillou e il suo attaccamento, la sua passione per il gioco che lo hanno reso un gentiluomo di questo sport. E’ stato l’emblema della classe operaria applicata al tennis, senza tuttavia dover rinunciare ad esprimersi con classe. Ha rappresentato il connubio perfetto, tra raffinatezza e abilità nell’esaltarsi quando c’era da soffrire. Le maratone il suo habitat naturale, in cui finiva quasi sempre per sottomettere l’avversario facendo uso della sua immensa sagacia tattica e affidandosi ai suoi constanti anticipi. Non potendo, infatti, contare su un peso palla in grado di scalfire le difese avversarie e quindi essendo sprovvisto di un colpo capace di indirizzare lo scambio; doveva necessariamente pensare più degli altri in campo. Capire prima quale sarebbe stato il posizionamento più congeniale, intuire le scelte avversarie. Tutto per unico scopo, lottare contro il tempo per sottrarli anche un solo millesimo di secondo come i più grandi velocisti; solo così poteva invertire l’inerzia dello scambio passando da una fase difensiva ad una offensiva. Attimi, che richiedevano costantemente lucidità per comprendere quale fosse il momento giusto per agire. Altrimenti, era destinato ad un perenne stato di barriera a forma di tergicristallo che pure grazie alla sua abnegazione ha pagato in talune circostanze. Una volpe che doveva “rubare” il tempo con inganno e teatralità, ma rimanendo fedele ai suoi valori di generosità fisica e di stile. Insomma, un brigante vestito da aristocratico. Questo è stato Gilles Simon, che non a caso ha lasciato il tennis a modo suo: regalandoci un ultimo colpo di teatro nella sua Parigi, infiammando gli spettatori dando fino all’ultimo ogni goccia della sua essenza tennistica, battendo in rimonta Andy Murray e il futuro semifinalista delle Finals Fritz prima di arrendersi esausto ad Auger-Aliassime. Ora è il momento del paradiso tennistico, nel quale ancora una volta unirà le sue due anime: artigiano della racchetta dal cuore nobile.
Philipp Kohlschreiber 21/06/2022 – La bellezza fatta persona. Si è sempre discusso molto, e si continuerà a farlo probabilmente per l’eternità, sulla concezione del bello nel tennis. I detrattori di questo filone affermano che sia soltanto futile, noioso e inopportuno ricorrere alla soggettiva espressione di ciò che possa essere o meno accattivante, inebriante ed in grado di suscitare forti emozioni come elemento di giudizio. Ovvero sia non si può e non si deve esprimere una valutazione su una determinata prestazione o su un risultato, basandosi sulla bellezza del gesto o dello stile. Il tennis non è una gara di tuffi, dove coloro che giudicano e quindi determinano i piazzamenti finali devono necessariamente prendere in considerazione l’armoniosità della forma; perché questo prevede il regolamento. Dunque, essere belli è una specifica richiesta fatta agli atleti per conseguire la vittoria. E’ il mezzo per arrivare al fine. Nel tennis no, anzi, il passato insegna che i giocatori ad aver vinto di più siano stati quelli maggiormente solidi, quelli che hanno rischiato di meno. Poiché, spesso e volentieri, si raffigura nel gioco d’attacco la bellezza dello stile e in un tennis più conservativo la tendenza alla praticità del risultato piuttosto che a svolazzi pindarici di estetica sinuosa. Infine, un ultimo spunto di riflessione: ha più valore vincere un numero maggiore di titoli, o vincere di meno ma farlo con uno stile proprio che recluta consensi a più non posso tra gli appassionati – ecco, sapremmo cosa risponderebbero i denigratori del “il risultato è l’unica cosa che conta” -. Probabilmente è un dilemma senza risoluzione, ma ciò che ci interessa è omaggiare Philipp. Ebbene, se ce un tennista che per antonomasia ha rappresentato l’eleganza e la bellezza ad un alto livello senza tuttavia essere un campione pluridecorato quello è stato indubbiamente il 39enne di Augusta. Stile classico per quanto riguarda la preparazione dei colpi, completezza tecnica con un pedigree fornito di ottimi fondamentali dal servizio al dritto in cross molto arrotato. Ma ciò che lo ha sempre contraddistinto, è stato quel sublime rovescio monomane: non con la potenza di fuoco dei Wawrinka o dei Thiem, ma semplicemente la classicità del gesto che unisce incisività e capacità di ricamo. E’ vero, gli è mancato nei suoi oltre vent’anni di professionismo quel definitivo salto di qualità per provare a puntare a qualcosa di veramente prestigioso. Tuttavia ha saputo togliersi grandissime soddisfazioni, facendolo sempre con quel suo modo di stare al mondo estremamente riservato. Quasi come se chiedesse permesso per ogni cosa che facesse, una persona come tante innamorata del tennis che si dirige nel suo circolo di fiducia – il Tour – per divertirsi e divertire. Otto tornei vinti, almeno uno su ogni superficie, best ranking di n. 16 ATP nel luglio 2012 poco dopo il suo miglior risultato Slam, i quarti a Wimbledon. Professionista dal 2001, ha vinto 478 incontri nel circuito e ha preso parte a 68 main-draw nei Majors. A confezionare una carriera ricca di successi, le quattro vittorie ai danni di tre dei Fab Four: Djokovic al Roland Garros 2009 e ripetendosi a Indian Wells 2019, Nadal sulla strada del suo successo ad Halle nel 2011, Murray a Montecarlo 2010. In poche parole, un tennista che raramente ha sfigurato in campo e che quasi sempre ha abbagliato gli occhi degli spettatori al di là del risultato. E questa è già una vittoria, far emergere sempre e comunque la sua bellezza sussurrata.