Guardatevi indietro, guardatevi attorno, ieri, oggi e domani: qual è l’essenza dello sport? Sembrerebbe complesso rispondere a questa pur apparentemente impossibile domanda; eppure la risposta è probabilmente più facile di quanto si possa immaginare. Se non altro più diretta. Affonda le radici della propria essenza in quel sacro spirito che brucia nel petto di ogni agonista che sia degno di esser definito tale: lo spirito competitivo, la competizione. Esprimete questo concetto come meglio crediate, il risultato non cambierà di una virgola rispetto ad un finale che è quel cuore che stavamo cercando. E non può esistere competizione senza un confronto, continuo e diretto con uno o più avversari sportivi. Cosa sarebbe lo sport senza rivalità?
Andando oltre la trita e alle volte stantia retorica dell’essere il primo avversario di sé stessi, la storia dello sport si nutre di queste rivalità, affonda i propri denti nel succoso e succulento esibizionismo dei propri attori, chiamati a soddisfare la fame del proprio ego sportivo. Gli esempi nella storia del tennis, nel nostro sport, sono molteplici. Ricordarne qualcuno vorrebbe dire fare un torto ad altri: lasciamo ai nostri affezionati lettori questo esercizio di memoria e per certi versi di stile o, se preferite, di stili.
Una di queste rivalità, che afferisce alla sfera del presente con lo sguardo rivolto al futuro, coinvolge due baldi giovanotti che si guadagnano da vivere girando il mondo con una racchetta in mano, facendo appassionare sia i giovanissimi, alla costante ricerca di punti di riferimento da ammirare, sia i più âgée, anche loro impegnati in una costante ricerca, questa volta però, necessaria ad alimentare il motore della passione. Hanno rispettivamente 19 e 21 anni, si chiamano Carlos e Jannik e probabilmente saranno chiamati ad essere protagonisti assoluti del prossimo decennio tennistico. Quella appena trascorsa è stata la prima vera stagione in cui i due hanno affilato le spade dando vita a tre match, uno più bello dell’altro e su tre superfici diverse: 2-1 in favore di Sinner il bilancio.
Sono passate soltanto poche ore da quando a Wimbledon si è appena spento l’eco dei festeggiamenti per i 100 anni del campo centrale; una messa laica che ha visto ripercorrere la storia di quel mitico rettangolo da sogno in cui i più grandi hanno saputo vincere ed emozionare. Non è un caso che la prima partita dopo quel tourbillon di emozioni sia quella tra Sinner ed Alcaraz, primo incontro Slam tra i due: il presente che mette la propria firma sulla cambiale del futuro. Il match degli ottavi di finale lo vince l’azzurro, forse anche in maniera più semplice del previsto: dominando il primo set, controllando il secondo, perdendo il terzo al tie break e sancendo la propria superiorità nel quarto. Gioco partita incontro e accesso ai quarti di finale.
È sulla terra rossa croata ad Umago che la saga di Sinner e Alcaraz trova la prima di una, si spera, lunga serie di finali tra i due. Alcaraz arriva a questo match da favorito e campione in carica del torneo. Non semplice per Jannik che però sa di avere le sue possibilità e sa come sfruttarle. Scrive Michelangelo Sottili, nostro inviato ad Umago nel suo articolo di commento alla finale: “Il campione uscente si arrende in tre set a Jannik Sinner che, perso il primo set al tie-break, è uscito da un pericoloso momento di difficoltà all’inizio del secondo parziale quando ha salvato sei palle break di cui tre consecutive. È stato quello il momento di svolta dell’incontro: con Alcaraz ormai pronto a spiccare il salto verso il traguardo, la tenacia di Sinner nel rimanere in quel game ha iniziato a creare qualche crepa nelle certezze spagnole e di sicuro è stata portatrice sanissima di gran fiducia per Jannik, di nuovo bravo a contenere la reazione dell’avversario e a prendersi il parziale con l’indigesto bagel virtuale”. Tenacia italiana, crepe spagnole. Questa la sintesi estrema di ciò che è stato ad Umago, una settimana dopo Amburgo. Anche lì terra rossa, anche lì un italiano in finale. Musetti che batte Alcaraz, ma questa è un’altra storia.
La storia che stiamo raccontando invece ha trovato nell’ultimo atto la sua più estremamente affascinante conclusione. Sono le 3 di mattina a New York la città che per definizione non dorme mai: anche perché stavolta a tenerla sveglia ci sono due moderni gladiatori che hanno trovato nell’ “Arthur Ashe” il loro ideale colosseo. Sinner è avanti 2 set a 1 dopo aver vinto due tie break tirati all’inverosimile; nel terzo set ottiene il break che gli permette, sul 5-4 di servire per il match. Sembrerebbe la terza vittoria su tre incontri nel 2022. Ma è la magia di questo sport, crudele nella sua meraviglia, a cambiare il finale. Il controbreak di Alcaraz è realtà e per certi versa la partita finisce qui. Sinner prova una reazione ma il 7-5 finale non ammette repliche. Il quinto set è accademia spagnola. La sensazione è che i fortunati possessori di un biglietto per l’incontro potranno raccontare ai propri figli di aver visto una delle partite più belle ed intense che il tennis moderno sia stato in grado di produrre. Magia su magia.
Cosa ci hanno detto questi tre match? Tecnicamente diversi perché diverse erano le tre superfici su cui sono avvenuti gli incontri che hanno avuto una chiave comune. Lo spagnolo ad oggi è in possesso di maggiori soluzioni tecniche rispetto a Sinner: devono però funzionare al 100% e al massimo della propria espressione, perché altrimenti sia la solidità mentale di Sinner e sia un migliore approccio alla rete, potrebbero rappresentare un punto di svolta definitivo. Quando Carlos abbassa il livello, anche solo un attimo, Jannik è sempre pronto ad approfittarne, perché sa leggere il momento, ha imparato a conoscere a fondo il proprio avversario. Il 2023 ci dirà se questa chiave di lettura può essere quella corretta e passa dall’inevitabile crescita tecnica e fisica di Sinner. Nel 2021 abbiamo lasciato Alcaraz vincente a Milano, al torneo Next Gen, con il fisico di un ragazzino, ce lo siamo ritrovati in Australia uomo. Ecco perché Sinner è chiamato allo stesso percorso da compiere per arrivare al livello di quello che ha chiuso la stagione al numero 1 al mondo, ma che ha trovato nell’altoatesino probabilmente l’avversario che lo ha messo più in difficoltà nei singoli incontri. Di sicuro quello che possiamo dire è che il tennis è in buone mani, nonostante i ritiri e nonostante l’età di certi interpreti cominci a rappresentare, per gli stessi, un ulteriore avversario da battere. Ecco perché il tennis sarà sempre più grande di qualunque suo interprete. E di ogni rivalità.