L’argomento “classifica delle delusioni” presenta un grosso problema: non se ne possono nominare solo due, ma già individuare la terza non è stata una passeggiata. Un problema che certo non si pone per la WTA, tanto che avremmo volentieri chiesto al collega Giovanni Pelazzo che si è occupato dell’omologo articolo declinato al femminile di “prestarci” una tennista, dal momento che lui dovrà necessariamente lasciarne fuori qualcuna. Ma no, non si può. Così in redazione ci si è interrogati sul nome del terzo uomo. Perché, per parlare di delusioni, dicevamo, ci devono essere delle aspettative. Rieccoci dunque alla domanda dalla risposta complicata – le aspettative di chi – anche se forse anticipata dal paragrafo su Korda.
Lo scrivente vorrebbe vedere Aslan Karatsev giocare sempre come nella semifinale di Belgrado contro Djokovic, uno dei migliori match 2 su 3 del 2021, ma non è realistico e non tanto per l’avverbio iperbolico, “sempre”, quanto perché quei mesi di picco sono stati una (splendida) anomalia e forse nemmeno lui, tornato “grande leone benevolo” dal “feroce predatore” che è stato (definizioni di Jonathan Franzen di un diverso Aslan), può obiettivamente sentirsi davvero deluso da questa annata.
Chi non può dirsi soddisfatto o, almeno, così immaginiamo, è Diego Schwartzman. El Peque ha finito il 2021 al n. 13, per quella che valutiamo come una più che degna difesa dello straordinario (ma anche molto pandemico) 2020 che lo ha visto qualificarsi alle ATP Finals. Dopo le positive prestazioni su terra sia sudamericana sia della primavera europea, Diego si è arenato, chiudendo la stagione con sei sconfitte consecutive (più una in Laver Cup). Con i suoi 170 cm di altezza, però, il trentenne di Baires deve sempre tirare fuori qualcosa in più rispetto a chi (quasi tutti gli altri) può contare su leve più lunghe per aggiudicarsi punti facili e rapidi, quindi un calo anche importante deve essere messo in preventivo e, anzi, spicca straordinario il suo rendimento nelle quattro stagioni precedenti. In ogni caso, lo troviamo al n. 25 del ranking, non fuori dai primi cinquanta.
Un più serio candidato potrebbe essere Denis Shapovalov. Numero 10 durante il 2021, da inizio anno ha perso quattro posizioni chiudendo diciottesimo. Grande partenza a gennaio assicurandosi l’ATP Cup con il Team Canada e poi all’Australian Open dove raggiunge i quarti di finale. Lì. dopo aver recuperato due set a un Rafa Nadal che “ero distrutto”, occasioni mancate e regali a inizio quinto decretano l’indigesta sconfitta di Shapo. Scorgiamo somiglianze con il “caso Medvedev”. Molto male nei successivi tre Slam (nell’ordine, primo, secondo e terzo turno), diverse uscite all’esordio e nessun titolo – l’unico rimane Stoccolma 2019. Nessun titolo individuale, perché a squadre chiude la stagione come l’aveva iniziata, con un trofeo, la Coppa Davis. Quello che manca a Denis per prendersi di prepotenza un posto sul podio è la sua costanza nell’incostanza, nel non trovare la quadratura del cerchio. Per essere chiari, a parere di chi scrive, la sua situazione è in un certo senso simile a quella di Grigor Dimitrov nel 2018, anno cominciato da numero 3 del mondo dopo il titolo di Maestro e finito da n. 19. Se di lui avevamo detto che, a dispetto del crollo, non poteva essere considerato il flop dell’anno per la credibilità delle aspettative, a maggior ragione ciò vale per Denis, che vorremmo vedere vincere titoli pesanti a forza di rovesci in salto (pur preferendo l’eleganza discreta di quello di Thiem), ma finora i risultati di Grisha nemmeno con il binocolo. E parliamo dei risultati di Dimitrov, non di uno Slam winner. Nell’attesa, che fingiamo non trepida, di essere smentiti.
Jannik Sinner non va (ops, non andava) nominato invano e poi lo ha già fatto il noto quotidiano sportivo di Parigi, affronto per cui anche un molto italico giornale ha sentito il bisogno di difenderlo a spaghetto tratto. Ma soprattutto Laura Guidobaldi su queste stesse pagine ha spiegato perché il nostro rosso preferito non merita il primo posto delle delusioni. D’altronde, se al secondo hanno messo Gael Monfils, azzoppato da uno sperone calcaneare, per la prima volta padre e con appena cinque tornei disputati da febbraio a novembre, qualcosa nella compilazione dei criteri di valutazione francesi dev’essere andato storto.
Andy Murray vorrebbe ricominciare ad arrivare in fondo ai tornei che contano e non ci è andato vicino. Si è però issato dal n. 134 al 49 grazie alle finali di Sydney e Stoccarda e, se dal punto di vista fisico lui stesso si è dichiarato insoddisfatto, il rivestimento dell’anca gli fornisce un alibi di… cromo-cobalto.
Ugo Humbert era un altro degli attesi anche se è difficile dire con precisione dove, ma è partito dal n. 35 e ha finito 86° uscendo addirittura dai primi 150 in corso d’opera. Ugo si è preso il Covid e dopo non riusciva più ad allenarsi, poi si è vaccinato e dopo non riusciva più ad allenarsi, quindi alziamo le mani, ci arrendiamo e, sperando che abbia potuto almeno suonare (che in inglese è sempre play) il piano, facciamo finta che si sia preso un anno sabbatico. Nonostante i ventotto tornei disputati.
Eliminati così questi candidati, sul terzo gradino del podio sale…
Jenson Brooksby
Fuori dai primi 300 all’inizio del 2021, il classe 2000 nato nella città della Famiglia Bradford aveva chiuso quella stagione al 56° posto. Tre titoli Challenger nei primi quattro mesi, Jenson ha iniziato a farsi notare da un pubblico sempre più ampio con la finale sull’erba di Newport e le semi a Washington e ad Anversa, separate dagli ottavi allo US Open strappando un set a Djokovic. La sua intelligenza tattica ci aveva fatto intravedere un possibile ingresso in top 20 già verso la fine di quest’anno, ma la sua prima stagione completa nel Tour (in realtà ha saltato l’Australian Open per la positività al Covid) è stata inferiore alle nostre aspettative, in parte dovute, lo ammettiamo, allo stile particolare, personale, che non ruba l’occhio per l’eleganza. Constatato che è più facile trovare eufemismi che vere delusioni, immaginavamo il californiano (che pare avere imparato il servizio stando dentro un armadio e gli altri colpi senza aver mai visto un match di tennis di buon livello) rapidamente diretto verso i piani alti della classifica in una sorta di corsia preferenziale, prendendosi uno di quei posti che sembrano riservati agli “storti” per la necessità di un confronto: se tutti avessero l’estetica di Federer, probabilmente Roger nemmeno sarebbe esistito.
Un po’ come per Korda, la sua stagione non è andata davvero male; al contrario, Brooksby ha continuato per mesi a cavalcare l’onda dell’entusiasmo ancora spumeggiante dall’anno precedente, con il best ranking alla piazza n. 33 in giugno. Bel torneo anche ad Atlanta dove è giunto in finale dopo aver battuto nettamente Tiafoe. Da quel momento, vale a dire dal 31 luglio, un bilancio di sei vittorie e dieci sconfitte, quattro consecutive a chiudere la stagione. Otto posizioni guadagnate e top 50, ma è troppo poco, nulla. Secondo noi.
In conclusione, una “classifica” che non va assolutamente letta come denigratoria, bensì, proprio all’opposto, essere presenti o anche solo candidati significa semplicemente che per uno o più motivi la stagione non ha seguito il corso immaginato in virtù di quelle potenzialità già in diversa misura espresse dai nostri protagonisti. I quali avranno senza dubbio tempo e modo di rifarsi, in buona parte liberati dagli sguardi dietro cui si annidavano giudizi da far esplodere severi e ora pronti ad attendere al varco quelli che più si sono fatti notare nel 2022, primo fra tutti Carlos Alcaraz, per passare da Felix Auger-Aliassime a Holger Rune. E, ovviamente, Lorenzo Musetti.