È uno dei due Big 3 rimasti in piedi, ha vinto 22 tornei del Grande Slam, è il campione uscente. Avrà anche perso i primi due match pro dell’anno (mai successo in carriera), peraltro arrivando da un finale di stagione 2022 con quattro sconfitte e una vittoria ma, quando Rafael Nadal partecipa a un major, non si possono fare i conti senza di lui. Che poi, alla vigilia dell’Happy Slam, lui stia facendo i conti con qualche problema è un altro discorso – quello che ci apprestiamo ad affrontare.
L’anno passato abbiamo visto Rafa partire a razzo con i titoli di Melbourne, Australian Open e Acapulco, arrivando imbattuto alla finale di Indian Wells, nella quale la sua costola incrinata ha avuto la peggio contro la caviglia malandata di Fritz. La stagione sulla terra monca e senza titoli prima di Parigi non è stata incoraggiante, però il quattordicesimo è arrivato nonostante il piede dolorante e fino al quarto di finale a Wimbledon tutto stava funzionando a dovere. Dall’infortunio agli addominali patito in Church Road, però, il rendimento è precipitato senza più dare segni di ripresa.
Il fondamentale che più di tutti risente di quel tipo di infortunio è senza dubbio la battuta, che certo non è il colpo più naturale di Rafael e, altrettanto di sicuro, non è come toglierlo a Opelka o Isner. Un po’ sì, però. Il suo servizio è indubbiamente cresciuto rispetto ai primi anni, senza però avvicinarsi come efficacia “diretta” a quello di altri colleghi. Prendiamo (non uno a caso) Novak Djokovic, anch’egli non nato come grande battitore, ma che ora sa affidarsi con tranquillità al colpo di inizio scambio per… non far cominciare lo scambio. Nadal ha in ogni caso saputo trasformarlo in un’arma estremamente funzionale, un po’ come la risposta al servizio e, ancora, tiriamo in ballo Nole. Perché, in termini assoluti, non c’è paragone tra le due ribattute: il serbo vicinissimo al campo, con grande abilità di lettura delle intenzioni avversarie e riflessi incredibili, lo spagnolo là dove il mattone tritato lascia il posto ai giudici di linea. Da quella posizione che innanzitutto aiuta a tenere più palle in campo, Nadal si prende tempo a sufficienza per tirare una catenata profonda e rabbiosa, un macigno come quello che insegue Indiana Jones nei “Predatori”; lui intanto recupera la posizione e, ben che vada, l’avversario è costretto a iniziare uno scambio neutro contro Rafa sulla terra battuta. E le percentuali in risposta si impennano. Allo stesso modo, il servizio gli permette di colpire in uscita con il dritto la (grande) maggioranza delle volte, magari non sempre con quell’87% dopo la prima e 77% dopo la seconda registrati a Toronto 2018, esclusa la finale dove le 43 risposte di Tsitsipas gli fecero giocare appena due rovesci. Così, quando non arriva l’immediato vincente con l’ormai classico uno-due del tennis maschile moderno, Nadal può comandare e comunque abbreviare lo scambio. Perché il ragazzo comincia ad avere un’età e un’anzianità di, ehm, servizio per cui evitare metri e metri di rincorse e recuperi a ogni “15” non può che giovargli.
Ecco, dunque, che comincia a formarsi un’ipotesi plausibile per le grosse difficoltà del numero 2 del mondo nei mesi post-Wimbledon: una ridotta efficacia della battuta a causa dell’infortunio. Un’interessante grafica che confronta il punto di impatto del primo servizio all’Australian Open 2022 e alla United Cup, proposta durante il suo match contro de Minaur, sembra supportare l’ipotesi.
Punti di impatto del primo servizio di Nadal. Australian Open 2022 in rosso, United Cup 2023 in giallo
Cominciamo con il notare che nel recente torneo a squadre Nadal trovava la palla più alla propria sinistra. Per un mancino, un lancio di quel tipo significa essere praticamente costretto a servire slice. Il kick è escluso, perché dovrebbe “spazzolare” la palla (immaginandola come il quadrante di un orologio) dalle ore 5 verso le 11 (o 4-10 per privilegiare l’effetto laterale da destra), ma è impossibile farlo con la palla in quella posizione: il punto di impatto deve essere sopra la testa. Non che Rafa sia famoso per i suoi kickoni, ma, oltre a rivelarne in anticipo le intenzioni, questo può essere considerato un primo sintomo di qualcosa di irrisolto a livello addominale, fosse anche “solo” il timore di rifarsi male.
Le altre due caratteristiche di quel lancio “giallo” – più avanzato e più basso – conducono nella stessa direzione: la volontà di evitare inarcamento ed estensione per coinvolgere l’addome il meno possibile. La conseguenza di un impatto più basso è una minor accuratezza, come ha spiegato durante la telecronaca Jim Courier. Anche secondo l’ex n. 1 del mondo “è verosimile che sia un aggiustamento dovuto all’infortunio di Wimbledon”.
Mettendo da parte le possibili cause, torniamo all’ultimo effetto di questa modifica del lancio dopo aver detto della mancanza di imprevedibilità e della minor accuratezza, intesa come capacità di trovare direzione e profondità. L’impatto più avanzato si risolve evidentemente in una ricaduta più marcatamente all’interno della linea di fondo: già l’avversario è messo meno in difficoltà dalla battuta, se a questo aggiungiamo che Rafa deve affrettarsi per recuperare la posizione ottimale, ecco che ne risente l’efficacia del primo colpo dopo il servizio. E da lì, a cascata, tutto il resto del gioco.
Non resta che aspettare – davvero poco, ormai – per verificare se avrà superato l’inconveniente o, almeno, saputo trovarvi un valido rimedio. In caso contrario, un Nadal troppo limitato da quel punto di vista potrebbe trovarsi in grande difficoltà già al primo turno, per un sorteggio di per sé non agevole che lo ha opposto al mancino inglese classe 2001 Jack Draper.