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Non si è ancora arrivati alla fine di questo primo anno di “dirty double”, ovvero dei tornei combined di Roma e Madrid che si sono “allungati” a 12 giorni ciascuno con tabelloni di singolare da 96 partecipanti, che già cominciano ad arrivare i primi giudizi sul nuovo formato di questa parte di stagione.
Si tratta di una formula che sposta abbastanza gli equilibri delle competizioni che si disputano sulla terra battuta e impattano i giocatori in maniera diversa a seconda del ranking e della provenienza geografica. I Top 30 che sono teste di serie nei ‘1000’ e che magari hanno l’ambizione di arrivare in fondo ai vari eventi vedono il loro impegno meno compresso di quanto non accadesse fino all’anno scorso: con Madrid e Roma racchiusi in una settimana ciascuno si trattava di vincere cinque partite in un torneo di otto giorni, debuttando il martedì oppure addirittura il mercoledì, e giocando tutti i match in giorni consecutivi. Con questo nuovo formato c’è una partita in più da giocare, ma i sei potenziali incontri sono distribuiti su nove o 10 giorni, con un solo back-to-back nel torneo e dunque quasi sempre un giorno di riposo tra un match e l’altro.
A una prima analisi si potrebbe pensare che sia situazione più agevole, ma ciò non è necessariamente vero per tutti. Sembra infatti abbastanza consolidato che non a tutti piace avere giorni di pausa tra un match e l’altro: se si guarda a livello femminile, per esempio, dove non esiste il ‘3 su 5’ e la differenza tra i ‘1000’ (o Premier Mandatory come erano chiamati fino a due anni fa) e gli Slam è data solamente dalla durata e dalla programmazione, è molto probabile che la significativa differenza di prestazione di certe giocatrici tra i tornei Top WTA e gli Slam sia da ascrivere in gran parte proprio alla fatica a gestire il giorno di pausa. Se consideriamo due tenniste di livello assoluto del recente passato come Caroline Wozniacki ed Elina Svitolina, per esempio, si vede come abbiano vinto molto di più a livello WTA che a livello Slam, nonostante si trattasse sostanzialmente di tornei con strutture e livello di avversarie molto simili. Lo hanno ammesso anche le dirette interessate: per loro è più semplice giocare tutti i giorni, ripetendo sempre la stessa routine, piuttosto che alternare giorni di gara con giorni di riposo in cui bisogna dosare gli allenamenti, stare attenti al recupero e sostanzialmente “far passare il tempo” nella maniera più efficiente possibile.
Questo nuovo formato “allungato”, almeno sotto il punto di vista del calendario di gare, è sicuramente molto più simile agli Slam, dove bisogna vincere sette partite in 13 giorni e, anche lì, c’è sempre un solo giorno di back-to-back. “A me piace – ha detto Aryna Sabalenka a Madrid – le condizioni sono quelle di uno Slam e ci si può abituare a un torneo più lungo dovendo gestire le giornate intermedie di riposo”.
Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: bisogna rimanere on-site molto più a lungo, si rimane per più tempo in giro, con la tensione del torneo, senza avere la possibilità di prendersi due-tre giorni di riposo consecutivi “senza guardare la racchetta”, ha commentato la n. 1 del mondo Iga Swiatek. Ciò ha anche dei risvolti finanziari non secondari, che magari sono trascurabili per i primi della classe che contano i guadagni con cinque zeri alla volta, ma per tutti gli altri il cambio non è insignificante. “Bisogna rimanere on-site molto più a lungo a parità di partite disputate”, quindi le spese sono nettamente superiori, ha spiegato Andy Murray, che probabilmente con 63 milioni di dollari di soli montepremi vinti in carriera non avrà troppi problemi a pagare albergo e pasti per il suo team (ricordiamo che solo i giocatori hanno la camera d’albergo pagata per la durata del torneo, a meno di offerte particolarmente generose da parte degli organizzatori), ma ora che in questo suo crepuscolo di carriera sta navigando tra il 50° e il 100° posto in classifica probabilmente capisce di più i problemi dei suoi colleghi.
Ma non tutti hanno la fortuna di arrivare fino ai turni conclusivi: per chi perde al primo o secondo turno, ci sono solamente due tornei in un mese, e c’è il rischio di arrivare al Roland Garros con poche partite sul rosso nelle gambe. Da questo punto di vista l’ATP ha lavorato molto bene con l’istituzione di una nuova classe di Challenger, i Challenger 175, che hanno regole leggermente diverse dagli altri Challenger e si disputano nella seconda settimana di questi ‘1000 allungati’ permettendo anche ai Top 50 (ma comunque non ai Top 10) di partecipare se desiderano giocare invece di rimanere fermi aspettando il torneo ATP successivo. Anche la WTA si è attivata creando tornei WTA 125 in queste settimane.
Per quel che riguarda gli appassionati, le opinioni sono ovviamente abbastanza variegate, ma in generale non sono positive. Non una sorpresa, dal momento che il popolo del tennis è un popolo tradizionalmente reazionario che non prende i cambiamenti troppo bene. Però la netta percezione è che ci sia molta “fuffa”, bisogna aspettare fino al weekend di mezzo per vedere giocare le vedette, e anche la conclusione del torneo è molto più diluita.
Tuttavia non si può fare a meno di osservare che questo nuovo formato tanto nuovo poi non dovrebbe esserlo, dal momento che Indian Wells e Miami fanno la stessa cosa da quasi 20 anni, ovvero da quando nel 2004 il BNP Paribas Open si allineò con la formula del Miami Open, che da vero “quinto slam” con 128 giocatori e incontri al meglio dei cinque set si era ridotto alla dimensione attuale dei 96 partecipanti con partite due su tre.
Perché allora tutto questo clamore per una situazione di calendario tutto sommato già nota e che col tempo ha già limato molte delle proprie lacune?
I Challenger 175 non sono altro che l’evoluzione formalizzata del Challenger organizzato storicamente a Sunrise, in Florida, durante la seconda settimana di Indian Wells, al quale venivano concesse deroghe speciali, deroghe che ora sono state inglobate nei Challenger 175.
A Indian Wells il tabellone di doppio è sempre piuttosto ricco di singolaristi che, ingolositi dal giorno di riposo tra un turno e l’altro, provano a giocare questa specialità che solitamente ignorano, facendo la felicità degli organizzatori (almeno nelle prime giornate, prima che il doppio impegno nei giorni di back-to-back non diventi un rompicapo organizzativo) i quali hanno così qualche succulento riempitivo per i campi secondari.
Tuttavia durante il Sunshine Double americano le lamentele a proposito della programmazione diluita nei primi giorni, della necessità dei giocatori di rimanere negli USA un mese per soli due tornei e dei Challenger riempitivi magari inadeguati sono ormai quasi del tutto sparite. Perché allora in questo mese di Madrid-Roma sono rinate?
Forse il motivo è duplice. Innanzitutto marzo viene lontano da altri obiettivi importanti come gli Slam, e c’è molta più voglia di confrontarsi tutti insieme per capire a che punto ci si trova con il lavoro. A maggio, invece, con la doppietta Roland Garros-Wimbledon alle porte, forse non c’è il desiderio di rimanere così a lungo nelle competizioni, dal momento che si preferirebbe poter gestire alcuni “blocchi settimanali” per il lavoro tecnico di rifinitura, cosa che non è semplice da fare giocando un giorno sì e uno no rimanendo per quasi un mese lontano dalla base.
E questa considerazione ci porta a quello che potrebbe essere il secondo motivo di questi malumori: se Indian Wells, con il suo clima, la perfezione logistica dell’Indian Wells Tennis Garden e l’enorme disponibilità di campi tra l’impianto, gli alberghi poco lontano e le ville private reperibili in tutta la Coachella Valley costituisce un posto ideale per lavorare con tranquillità prima dell’inizio del torneo o magari anche dopo la propria eliminazione (è un fatto che la maggior parte dei giocatori eliminati ai primi turni rimane in California il più possibile prima di andare a Miami), a Madrid e Roma le condizioni non sono (ancora) così idilliache per poter organizzare in tranquillità il proprio lontani dalla propria base abituale.
Però è solo il primo anno per le due capitali europee, sicuramente le cose miglioreranno nelle prossime edizioni, e anche se non ci sono a disposizione gli enormi spazi di Indian Wells o le profondissime tasche di Larry Ellison è probabile che da un lato la situazione logistica verrà ottimizzata per permanenze più prolungate e dall’altra i giocatori adatteranno meglio i loro programmi al nuovo calendario.
Perché la strada è questa e sappiamo che non cambierà: il tennis ha bisogno dei maggiori introiti dei 1000 allungati per finanziare l’aumento dei montepremi dei tornei minori, e tutti devono fare la loro parte per aumentare le dimensioni della torta così che le fette siano più grandi per tutti.