Yannick Noah è stato l’ultimo tennista francese a vincere un torneo del Grande Slam, e lo ha fatto quando ancora si impugnavano le racchette in legno. Mentre proprio dopo il suo trionfo al Roland Garros del 1983 venne adottato il cambio dei materiali, con il passaggio ad attrezzi in grafite. Quando il 63enne di Sedan, quarant’anni orsono, fu incoronato Re di Parigi ricevendo la tanto desiderata Coppa dei Moschettieri pose fine ad un digiuno di campioni transalpini che perdurava da ben 37 anni: dalla vittoria dell’Open di Francia da parte di Marcel Bernard.
La conquista del Bois de Boulogne dell’ex n. 3 al mondo diede vita ad una serie di scatenate e massicce celebrazioni del festante pubblico di casa. Nel 2023, tuttavia, a distanza di quattro decenni nessun altro tennista bleau è stato in grado di far rivivere certe emozioni al popolo francese.
Noah ottenne il proprio best ranking nel 1986, nel complesso in carriera si aggiudicò 23 titoli. Ma anche al termine della sua brillante attività da professionista della racchetta, non gli sono assolutamente mancate gioie e soddisfazioni come i tre sigilli in Coppa Davis nelle vesti di Capitano. Nel 2005, infine, è stato inoltre inserito nella International Tennis Hall of Fame di Newport.
La vera grandezza di Yannick è stata però quella di trascendere il campo ed ergersi a personaggio a tutto tondo. Figlio di un calciatore camerunense – Zacharie Noah -, egli è diventato indiscusso simbolo della Francia rappresentando di fatto una bandiera sociale e multirazziale del Paese.
Sul campo rispecchiava perfettamente la personalità che mostrava al di fuori: acrobatico, audace, carismatico, atletico e vincente. Ciononostante, fin da giovanissimo quando rientrò in Africa – la sua Terra d’origine, si stabilì nella capitale del Camerun a Yaoundé – al seguito del ritiro del padre, fermato da un infortunio che lo costrinse anzitempo ad appendere gli scarpini al chiodo, la sua visione delle vita si è rivelata pienamente sensibile e profonda nei confronti della propria comunità d’origine.
Yannick è stato ed è tuttora un essere umano pregnante di una miriade di sfumature, dopo la carriera da tennista si è infatti esibito come cantante e artista nel mondo dell’arte e dello spettacolo. Sempre però accompagnato da un tratto distintivo, non si è mai distaccato dalle sue origini. E ciò lo ha dimostrato compiutamente, fornendone l’ennesima riprova, nel 2017 quando dopo la scomparsa del padre ha ereditato il ruolo di capo villaggio del distretto di Etoudi dove in prima persona si occupa principalmente del benessere di bambini e anziani, trascorrendo in Africa dai sei a sette mesi all’anno.
Questo perché, Noah sente dentro di sé un forte senso di responsabilità che gli riporta alla memoria la sua infanzia, scoperto da quel Arthur Ashe – il primo ed unico afroamericano a vincere Wimbledon – che prima di lui fu grande promotore dell’uguaglianza nel mondo del tennis.
Al tempo Yannick aveva 15 anni e impressionò a tal punto il campione statunitense da spingerlo a dialogare direttamente con la Federazione Francese affinché il giovane Noah ricevesse un’istruzione ed un centro federale dove potersi allenare.
Nel’71, poi, il padre del cestista NBA Joakim Noah fu invitato al centro di formazione di Nizza, e appena sei anni dopo, fece il suo ingresso nel Tour professionistico.
In occasione della celebrazione del quarantennale dal suo trionfo a Porte d’Auteuil, Yannick Noah ha rilasciato una lunga ed interessante intervista a La Nacion – storico quotidiano argentino fondato a Buenos Aires nel 1870 – poco prima che si alzasse il sipario su quest’edizione del Roland Garros.
Il suo ruolo nel villaggio in Camerun
“La nostra tradizione dice che il più grande deve prendere l’iniziativa e io l’ho fatto. La mia responsabilità è aiutare la comunità. Nel villaggio in cui sono cresciuto, mio nonno era la persona a cui chiedevano aiuto e consigli. Aiutiamo le persone anziane che non hanno soldi per le medicine, aiutiamo circa 600 bambini ad accedere all’istruzione gratuita, stiamo cercando di avere un pronto soccorso, incoraggiamo la pratica dello sport. Ci sono grossi problemi di povertà, così come in Sudamerica. Ed è difficile cercare di modificare tutto completamente, ma provare anche solo a cambiare il futuro di un ragazzo è già fantastico. Si ottiene molto impatto sull’intera comunità se si riesce a cambiare il futuro di qualcuno. Ho inoltre anche la fortuna di aiutare le persone con disabilità, che hanno bisogno ad esempio di sedie a rotelle o medici. Il lavoro non riposa mai“.
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