JELENA GENCIC, LA PRIMA ALLENATRICE DI NOVAK DJOKOVIC
Tennisticamente é nato a Kopaonik, in Serbia, con uno scherzo del destino che ha messo alcuni campi da gioco molto vicini alla pizzeria gestita da una famiglia di sciatori. In seguito la famiglia lo ha visto come un segno, come se Novak fosse il prescelto, individuate dall’ alto e, in modo più concreto, in un giorno d’estate del 1993 dall’ex allenatrice di Monica Seles, Jelena Gencic, in zona per un allenamento. “Il mio primo ricordo è di aver visto arrivare un bambino di 6 anni con una grande borsa da tennis in cui tutto era meticolosamente sistemato, con una maglietta di ricambio ben piegata, un asciugamano, il polsino ed una bottiglia d’acqua”, ci ha raccontato la donna che avevamo incontrato un giorno in Serbia. “Mi ci sono voluti tre giorni per scoprire che sarebbe diventato campione. Sono andata a trovare suo padre Srdjan per dirglielo. È stato uno shock per lui. Non ho insegnato a Novak solo il tennis. Gli ho fatto ascoltare “La Moldau” di Smetana e l’Ouverture 1812 di Tchaikovsky. Gli ho spiegato che il tennis era come la musica, che doveva mettere la stessa emozione nel colpire la palla, in modo da creare un crescendo… È un ragazzo molto emotivo”.
Non sembra facile immaginarselo così, vedendolo con gli occhi che scoppiano di rabbia nei momenti di tensione, o sentendolo emettere grida rauche da un fuoco sacro sepolto sotto la cassa toracica, ma questo Djokovic, maglietta a volte strappata a causa di un’impennata ormonale dantesca, è lo stesso che trascorreva ore ad accarezzare i capelli della nonna e che di tanto in tanto portava mazzi di fiori di campo per sua madre.

GORAN IVANISEVIC, IL SUO ALLENATORE, SUL PRIMO INCONTRO CON NOVAK DJOKOVIC
Insieme alla Gencic, in attesa di cominciare l’avventura, si vede già correre verso i più grandi successi di Wimbledon, provando gli inchini ed il momento di consegna della coppa nel mezzo di un immaginario Centre Court. Il sogno é già lì. Ma la realtà si prospetta molto diversa. La famiglia si era spostata a Belgrado, completamente focalizzata sul progresso del figliol prodigo, al punto da sacrificare tutto. “Non avevamo abbastanza soldi per pagare l’affitto”, ricorda Dijana, la madre. “Quando mi svegliavo al mattino, non sapevo come avrei fatto a comprare il pane per la famiglia”.
Nel 1999, a causa dei bombardamenti della NATO, passarono settantotto notti sotto le bombe americane, nelle cantine della città, forgiando nel dodicenne Novak il carattere di un sopravvissuto che non si sarebbe mai fatto spaventare da nulla. “Durante i bombardamenti ci allenavamo ogni giorno al Club Partizan, per cinque-sei ore al giorno”, racconterà in seguito. “Non c’era scuola. Mia madre diceva sempre che non era più pericoloso di qualsiasi altro posto e che se fossi rimasto a casa immaginando di essere bombardato, sarei impazzito! C’era un sentimento di unità tra di noi. Anche se erano tempi molto crudeli, era bello”.
In ogni caso, gli eventi non hanno alterato la sua motivazione. La Gencic gli aveva consigliato di non bere Coca Cola? Non ne ha mai bevuto piu’ di un litro in tutta la vita. E quando si trasferì in Germania all’età di 13 anni per allenarsi con Niki Pilic, Goran Ivanisevic, che sarebbe poi diventato il suo allenatore, ebbe l'”onore” di conoscere questo giovane Novak dal carattere così forte. “Pilic mi chiese di venire a palleggiare con un “incredibile ragazzo serbo”, ricorda il vincitore di Wimbledon 2001. “Abbiamo giocato per mezz’ora e si vedeva che aveva qualcosa di speciale. Qualcosa che non si può imparare, che non si può comprare. Qualcosa di interiore. Voleva vincere, voleva darmi colpi vincenti, voleva divorarmi! E alla fine mi diede dei cioccolatini perché avevo “perso troppa energia”!
Traduzione a cura di Bianca Mundo
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