UN MAESTRO NEL METTERE A DISAGIO GLI ALTRI IN CAMPO
Poi ha proseguito con un anno pazzesco nel 2011. Nella finale di Melbourne, Murray ha perso il diabolico rally di 39 colpi che gli ha dato il primo set point e poi l’incontro con Djokovic, che ha festeggiato a gran voce nell’intimità dello spogliatoio con una piccola troupe di musicisti serbi fino alla fine della serata. Perché a volte ha un modo di festeggiare più vulcanico degli altri. Anche in questo caso, è esplosivo. Come Pete Sampras (1994), Andre Agassi (2001) e Federer (2006), è andato a vincere Australian Open-Indian Wells-Miami (2011). Poi è successo l’impensabile: umiliare Nadal sul suo campo di terra battuta a Madrid, che era in vantaggio per 9-0 nei loro incontri diretti, aveva vinto 37 partite di fila sulla terra battuta, e che è finito per sembrare un dilettante con un dritto da junior in finale. Lo stesso è accaduto a Roma, dove questa volta lo spagnolo si è cimentato in “moonballs” (palle senza consistenza e con una traiettoria molto curva) nel tentativo irrisorio di destabilizzare la partita. E anche se, dopo 41 vittorie di fila e a una sola partita dall’eguagliare la leggendaria corsa di John McEnroe nel 1984, ha perso una memorabile partita di ping-pong su terra battuta contro Federer al Roland Garros, tutti i emafori erano verdi a Wimbledon, dove ha battuto Nadal in finale (e per la prima volta in un Major), ha realizzato il suo sogno d’infanzia ed è diventato numero 1 del mondo per la prima settimana di una corsa che potrebbe presto arrivare a 400.

Questo è quanto. È entrato nella galassia “FedeNadal”. Non ne uscirà mai più. Nella famiglia Djokovic, molto devota, pensano senza dubbio che il prescelto, che porta la croce di Chilandar come un talismano, abbia risposto alla visione celeste. Dijana, la madre, racconta la scena di quando si sono recati al capezzale del patriarca ortodosso Pavle, nell’ospedale militare, per ricevere una benedizione, e quest’ultimo, molto debole, ha aperto gli occhi proprio quando “Djoko” è entrato nella stanza, prima di assopirsi di nuovo. E tutti hanno voluto vedere questo come un segno di protezione…
Ovviamente, bisogna acclimatarsi a questa alta quota. Tra il successo a Melbourne 2012 e Wimbledon 2014, Djokovic ha vinto una sola finale Slam delle sei disputate. Ha perso contro Nadal al Roland Garros. Si è appannato contro Murray a Flushing. Ha perso anche contro Wawrinka nei quarti di finale in casa a Melbourne. Il gioco tentacolare di questo contorsionista unico nel suo genere è stato rovinato da battute d’arresto. Anche se è meno spettacolare dei suoi due principali rivali, il serbo ha il suo marchio di fabbrica nello stremare gli avversari, con il suo modo di rinviare instancabilmente la palla, incollato al terreno da incredibili appoggi, anche in modalità split, con il corpo parallelo alla rete. Ha questa arte sopraffina, fin dal ritorno contro i migliori battitori, di mettere in difficoltà l’avversario, costringendo l’altro giocatore a trovare soluzioni di fronte a questo muro capace, quando gli serve, di invertire il corso di una gara. Tu attacchi bene, lui contrattacca meglio, nella zona che per te è più difficile da gestire. Tu arranchi, lui attacca. E non dimenticherai che ha fatto enormi progressi sul servizio.
Ma questa facoltà di far sentire gli altri a disagio, raccogliendo anche qualche punto gratuito, richiede indubbiamente una concentrazione e una meticolosità in ogni momento che Djokovic a volte perde. Si è un po’ perso, fino a un’altra stagione gloriosa nel 2015 (82 vittorie, 6 sconfitte), che lo ha visto conquistare tre titoli Slam (e una finale al Roland Garros contro Wawrinka), il Masters di fine anno e sei Masters 1000. La macchina infernale sembra essere (ri)lanciata, ancora più scatenata dopo due nuovi successi nel 2016, a Melbourne e poi al Roland, finalmente, per quel tanto agognato primo titolo sulla terra, che era l’unico Major che mancava al suo record.
Ma all’inizio sembrava un punto di non ritorno, simboleggiato dalla brutale rottura con Agassi. Per quasi due anni, Djokovic è sembrato attraversare una crisi esistenziale, che è stata anche “spettacolare” per il modo in cui è avvenuta, lui il guerriero placato, mentre affrontava lo spettro dell’operazione.
Traduzione a cura di Bianca Mundo
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