Nonostante la loro collaborazione lavorativa sia interrotta da tempo, l’alter ego di Novak Djokovic resta Marian Vajda. Principale riferimento per quasi vent’anni nell’ascesa della racchetta d’oro di Serbia, l’allenatore slovacco segue ora il connazionale n.25 del ranking mondiale Alex Molcan. Ma, se è vero che il primo amore non si scorda mai, Vajda non smette di avere a cuore ciò che fa Djokovic, dentro e fuori dal campo. Uniti da un legame che va oltre il tennis – i due decisero di mettere da parte alcune divergenze professionali per restare, in fine, in buoni rapporti –, nessuno forse meglio di Vajda sarà mai in grado di fare il punto sul gioco del serbo. Per questo, Sport SK ha deciso di girare a lui i suoi microfoni per un commento sulla vittoria del Roland Garros (e non solo). Di seguito, un estratto dell’intervista.
D. Hai visto la finale tra Djokovic e Ruud?
Vajda: “Certo, dovevo. All’inizio Ruud aveva impostato un ritmo brutale: ha giocato con sicurezza e molta precisione, come se fosse scattato al via di una maratona. Ma, come prevedibile, nella seconda parte del primo set le sue forze erano già svanite. Nole invece ha iniziato con poca energia, ha avuto una specie di crisi e, nonostante sia passato da 1-4 a 4-4, ha avuto di nuovo una situazione pericolosa con 0-30 sul 4-5. Due grandi scambi: ha saputo ribaltare la situazione e dalla sua espressione si è visto che la stanchezza era sparita. Ha sigillato un ottimo tiebreak e ha comandato il resto della partita. Ottimo spettacolo e tennis di alta qualità per novanta minuti, ma i due set successivi si sono giocati sotto il dominio di Nole, che ha saputo ben gestire i momenti tattici”.
D. Trentasei anni e sia fisicamente che tennisticamente meglio degli avversari più giovani.
Vajda: “È tutto nella testa. L’esperienza di Djokovic nei Grandi Slam non ha prezzo. Sa giocare in un modo unico: conosce perfettamente ogni angolo e riesce a coprirlo. Studia come distribuire e le sue energie, è molto difficile da affrontare a livello tattico. Perdere un set non lo ferma, è fortissimo mentalmente. Questo aspetto gli dà già metà della vittoria ogni volta che inizia un match”.
D. Su Alcaraz vs. Djokovic e sulla figura dello stesso Carlos.
Vajda: “Alcaraz non aveva sperimentato un così grande livello di resistenza dall’altra parte durante l’intero torneo. Se pensiamo per esempio alla partita contro Tsitsipas, i due giocatori erano su livelli diversi. Nole cambia intensità nel corso della partita: ogni scambio e ogni colpo sono diversi. Carlos era stressato, esausto, non sapeva come reagire, e dopo diversi sforzi di lunga intensità e con quella pressione mentale, il suo corpo ha risposto coi crampi. È da ammettere che Alcaraz è il giocatore più completo di tutti i giovani, quello con le maggiori possibilità di seguire le orme dei Big 3. Ha le caratteristiche di tutti e tre, manca solo di esperienza. È molto giovane e ha tutto il tempo di imparare a gestire la pressione. A oggi, resta Djokovic il giocatore più completo del Grande Slam. Ha ancora del lavoro davanti a sé, un viaggio difficile e nuovi rivali come Alcaraz che lo aspettano nel futuro prossimo”.
D. Il suo scambio di messaggi con Djokovic dopo il 23.
Vajda: “Subito dopo la partita gli ho mandato un messaggio vocale. Gli ho detto che ero molto contento per il suo record negli Slam (23, ndr). Mi ha risposto diverse ore dopo e mi ha detto di aver apprezzato di cuore il mio pensiero e che non smetto di essere parte della sua squadra e della sua famiglia. Sono state parole preziose e commoventi. E poi, mi è piaciuto il modo imperiale con cui ha conquistato il record, sulla superficie che meno gli si addice e nel torneo del Grande Slam più difficile per lui”.
D. Il Grande Slam è una possibilità?
Vajda: “Certo. Ha una grande opportunità a Wimbledon. L’aspetto psicologico deciderebbe gli Stati Uniti, credo che la rivalità lì sarà più dura. A differenza dell’erba, Alcaraz sarà un avversario molto pericoloso sul cemento, Zverev è tornato, Medvedev giocherà meglio. Nole troverà molta concorrenza a New York. Ma quest’anno non ci sono i Giochi Olimpici, non commetterà lo stesso errore due volte”.