Non ha deluso Jannik Sinner in questa edizione dei Championships. Alla vigilia del torneo si poteva prevedere un ottavo di finale con Fritz e un eventuale quarto con Ruud, che però va detto, non ha un gran feeling con i prati. Le sconfitte di questi due top 10 hanno steso un tappeto rosso a Sinner, che fino alla semifinale non ha dovuto affrontare nessun top 75 al mondo. Cerundolo junior, Schwartzman, Halys, Galàn e Safiullin sconfitti lasciando solo due set per strada. In ogni caso tre set su cinque non si sa mai come andrà a finire; le partite sono lunghe e, soprattutto su erba, appena perdi un minimo la concentrazione e ti fai strappare il servizio è un attimo perdere il parziale. È stato bravo, quindi, Jannik a rimanere lucido e concentrato sapendo di essere il favorito in tutti e cinque i match disputati. Venerdì giocherà la sua prima semifinale in un major contro il sette volte campione a Wimbledon Novak Djokovic con cui un anno fa, ai quarti di finale, si era trovato in vantaggio due set a zero, subendo poi la rimonta. Speriamo ovviamente che l’azzurro riesca nel miracolo di battere Nole sul Centre Court, dove non perde da dieci anni.
Italiani a Wimbledon, le semifinali: da Pietrangeli 1960 a Berrettini 2021
Ma Jannik non è il primo italiano – e ci auguriamo anche non l’ultimo – a raggiungere il penultimo atto a Church Road. Il primo a riuscirci fu, nel 1960, Nicola Pietrangeli. In quell’occasione l’italiano, dopo aver confermato per il secondo anno di fila il titolo al Roland Garros qualche settimana prima, si arrese a un certo Rod Laver solamente al quinto set. Ben più recente, invece, è la storia di Matteo Berrettini. Ricorderemo tutti la cavalcata di due anni fa del tennista romano. A seguito della vittoria a Stoccarda e al Queen’s – bissata poi la stagione successiva – “The Hammer” raggiunse la finale di Wimbledon dove perse in quattro set proprio da Nole. In semifinale l’azzurro sconfisse quell’Hubert Hurkacz che decretò, nel turno precedente, la fine della storia d’amore tra Re Roger e i Championships.
Matteo, inoltre, è riuscito a raggiungere le semifinali in un Major altre due volte. Nel 2019 allo US Open il giustiziere in tre set fu Rafa Nadal, che poi vinse il torneo battendo in finale Danil Medvedev. Da non crederci la fotocopia del torneo newyorkese venne stampata nel 2022 a Melbourne. Il romano sconfisse nuovamente in cinque set ai quarti di finale Gael Monfils, approdò al penultimo atto australiano per la prima volta nella storia italiana, perse ancora dal maiorchino – quella volta però gli strappò un parziale e il lunedì dopo si garantì il best ranking al numero 6 –, e quest’ultimo alzò al cielo per la seconda volta il trofeo color argento, indovinate battendo chi in finale? Lo sfortunato è di nuovo Daniil Medvedev, ancora sconfitto in cinque set, dopo essere stato avanti due parziali a zero. Qualche soddisfazione, non preoccupatevi, se la tolse anche il russo in quel periodo. Quattro mesi e mezzo prima aveva strappato dalle mani di Djokovic il Grande Slam a New-York, vincendo il primo Major in carriera, mentre poche settimane dopo la finale in Australia diventò il primo numero 1 al mondo dopo l’era dei Fab Four. Niente male.
Semifinali italiani negli Slam: Cecchinato ha riannodato un filo che si era perso
Ma tornando alla storia tricolore un’altra vicenda che fece venire le lacrime a tutti fu quella di Marco Cecchinato nel 2018. Il siciliano in quel periodo stava vivendo il suo miglior stato di forma. Ad aprile vinse il primo titolo ATP a Budapest, mentre un mese dopo raggiunse a sorpresa la semifinale al Roland Garros, sconfiggendo tennisti del calibro di Pablo Carreno Busta, David Goffin, ma soprattutto – in quattro set – Novak Djokovic. Il sogno si interruppe, poi, nel penultimo atto, dove perse in tre set con Dominic Thiem, che alla sua prima finale Slam racimolò nove giochi contro Rafael Nadal.
Prima di “Ceck” il digiuno azzurro nelle semifinali Slam era durato quarant’anni esatti. L’ultimo ad arrivare a questo traguardo era stato Corrado Barazzutti nel 1978. Leggendario fu il match a Parigi contro Bjorn Borg. Un game riuscì a mettersi in tasca l’ex capitano italiano di Coppa Davis, e leggenda narra che quando i due si diedero la mano Corrado disse allo svedese “Scusa se ti ho rubato un game”. Nessuna scusa Corrado, Bjorn vinse per la terza volta anche la finale lasciando le briciole; cinque game concessi anche allo specialista del mattone tritato Guillermo Vilas, e da lì a tre anni la musica a Parigi non cambiò. Sempre gli Abba in sottofondo.
Ma quella non era la prima semifinale barazzuttiana in un Major. L’anno prima Corrado fece scintille anche a New-York, dove si giocava su terra verde. Andò vicino a strappare un set al recordman di titoli ATP Jimmy Connors, ma fallì nell’intento. Poi l’americano perse in finale da Vilas. Quello stesso Vilas che nella stagione precedente fu sconfitto da Harold Solomon ai quarti di finale a Parigi. Ma dall’altra parte del tabellone anche un italiano riuscì in un’impresa non da poco. Adriano Panatta sconfisse in quattro set Borg – imbattuto da due anni al Roland Garros – e una doppietta di americani, Dibbs e poi in finale Solomon, gli consegnò il primo e unico Slam in carriera. Già ci aveva provato Panatta ad arrivare all’ultimo atto di Parigi, ma fu costretto ad arrendersi ben due volte. Nel 1973 a fermarlo in tre set fu lo jugoslavo Nikola Pilic, che ai quarti aveva sconfitto anche Paolo Bertolucci e poi in finale raccolse solo sei game con Ilie Nastase, mentre nel 1975 il suo giustiziere fu Borg, che un set glielo concesse, ma in finale Vilas non ricevette lo stesso trattamento. Ma torniamo indietro ancora, che c’è qualche ultimo pezzo di storia azzurra da raccontare.
Prima dell’Era Open, in tempi post-guerre mondiali, Beppe Merlo ci aveva provato due volte a raggiungere la finale al Roland Garros, nel 1955 e 1956, ma senza successo. Stessa storia anche per Orlando Sirola nel 1960. Quest’ultimo, però, in coppia con Pietrangeli si è tolto la soddisfazione di vincere a Parigi l’anno prima alla seconda finale Slam, dopo quella persa a Wimbledon nel 1956. Ultimo ma non per importanza è proprio Nicola Pietrangeli, che a netto dei risultati è stato l’italiano più performante a livello Slam. Cinque semifinali che, oltre alla sopracitata di Wimbledon nel 1960, in quattro occasioni, tutte a Parigi, gli regalarono la finale. Nel 1959 mise in bacheca il primo Major, sconfiggendo in quattro set nell’ultimo atto il sudafricano Ian Vermaak, e nella stagione successiva la vittima fu, dopo cinque set, il cileno Luis Ayala. Non riuscì nel 1961 e nel 1964 a superare in finale entrambe le volte lo spagnolo Manuel Santana, che la prima volta si fece strappare un set, mentre la seconda uno solo.
Insomma, la storia italiana del tennis a livello Slam racconta certamente svariate avventure, più o meno belle. Sta di fatto che arrivare tra i primi quattro giocatori su centoventotto che partono è quasi un’impresa. Quello che accadde in passato possiamo solo limitarci a raccontarlo. Del doman non v’è certezza.