Dopo tre semifinali consecutive nei primi Masters 1000 del 2023 (e a Miami fu anche finale) ecco Jannik Sinner centrare anche la sua prima semifinale in uno Slam, la più prestigiosa e quella che sembrava la superficie meno congeniale alle sue caratteristiche.
Terzo italiano di sempre a Wimbledon, dopo Pietrangeli nel ’60 e Berrettini nel 2021, decimo italiano in semifinale a uno dei 4 Slam, ma il più giovane di tutti, di Corrado Barazzutti, Matteo Berrettini, Marco Cecchinato, Uberto De Morpurgo, Giorgio De Stefani, Beppe Merlo, Adriano Panatta, Nicola Pietrangeli e Orlando Sirola (citati in ordine alfabetico).
Finora il più giovane era stato Adriano Panatta, classe 1950, che centrò la sua prima semifinale a Parigi nel 1973, quando aveva 22 anni e 329 giorni. Ma aspettiamo che Jannik abbia vinto un paio di Slam prima di scrivere che ha battuto Panatta (anche se giornalisticamente fa titolo).
Fin qui almeno, e senza nulla togliere ai suoi meriti _ si batte chi c’è, non si può battere chi non c’è – Jannik è anche il più fortunato perché non ha dovuto battere nessun top50 per centrare questo che resterà comunque uno storico traguardo.
Accadde anche a Pete Sampras e a Boris Becker nel ’95 di arrivare in semifinale nel ’95 senza battere nessun top50, ma il primo ha vinto 7 Wimbledon, il secondo 3 e non c’è nessuno, tranne qualche statistico improvvisato, che si permetterebbe mai dire di dire che Sampras e Becker sono stati fortunati.
Vedremo di che cosa sarà capace Jannik Sinner nel prosieguo della sua carriera. E questo non vuol dire che io mi aspetti che dovrà fare il Sampras o il Becker per giustificare certe aspettative.
Per ora sta battendo tutti i nostri italici record di precocità ad alto, altissimo livello, e tappando la bocca ai soliti ipercritici che gli trovano questo e quell’altro difetto. E lui è così maturo da capire che i record di precocità sono, alla fine, quelli che contano meno. E sono, al contrario, quelli più “pericolosi”: fanno aumentare la pressione su chi li ottiene, alzano aspettative e asticelle – come ormai si suo dire – in modo spesso eccessivo. Finiscono per essere controproducenti. Non si vince un match per via del’età. Qualunque età, salvo che quella troppo avanzata dell’avversario…
Boris Becker arrivò (eccedendo come suo solito) a dichiarare perfino: “Sarebbe stato meglio se avessi vinto Wimbledon un po’ più tardi anziché prima dei 18 anni!”.
Intanto ieri, sia pure – direte – contro Safiullin n.92 del mondo, strapazzato con due 6-2 finali nel terzo e nel quarto set dopo un black-out nel secondo set (5 game persi di fila quando era già avanti di un set e di un rassicurante break), ha servito e risposto alla grande. 14 ace, 90 per cento dei punti quando ha messo dentro la prima. Partita noiosa come poche, ma oggi che l’ha vinta chissenefrega. E guai a dirlo, perché sembrerebbe voler sminuire la portata di un’impresa che c’è comunque stata: il traguardo della semifinale nel torneo più prestigioso e leggendario che esista.
Le statistiche però non tengono conto degli avversari. Safiullin non è Djokovic. Di Djokovic ce n’è uno solo.
10 anni imbattuto sul centre court, dacché perse in finale da Andy Murray il 7 luglio 2013, 7 Wimbledon vinti (uno solo meno di Federer…), 43 match vinti di fila e venerdì la sua semifinale sarà la n.46, come quelle di Federer cui piano piano sta rosicchiando tutti i record..
Non si potrebbe più dire che Sinner è stato uno dei più fortunati semifinalisti della storia di Wimbledon se – ovvia banalità – annullando il gap generazionale più grande della storia open (14 anni e 86 giorni) – riuscisse a vincere un set in più a Djokovic rispetto all’anno scorso.
Impossibile? Nothing is impossible è stato un fortunato slogan commerciale dell’azienda che veste Jannik. Lo scorso anno il gap tecnico, mascherato dai primi due set in cui Jannik giocò bene ma Novak proprio no, emerse con grande nettezza negli ultimi 3 set, nei quali peraltro Jannik pagò anche la sua quasi inevitabile inesperienza.
La logica, e secondo me anche le impressioni ricavate in questi giorni -…ad eccezione degli ultimi set straordinari di Djokovic con un Rublev bravissimo e anche un tantino sfortunato in più di un’occasione – mi fanno dire che Sinner è decisamente migliorato rispetto a un anno fa.
Lo è un po’ in tutti i sensi e sotto tutti i profili. Non solo in esperienza. Ne è convinto più di chiunque per primo lui stesso (che è un ragazzo intelligente e sa il fatto suo). Non solo il suo team che potrebbe avere interesse a sostenerlo. E tutti sappiamo quanto sia importante l’autostima. Nella vita e nel tennis.
Mi fanno anche dire che, banalmente, Nole ha un anno in più. Per quanto fenomeno gli anni passano anche per lui. Che sia migliorato non credo. Che possa essere un tantino meno brillante ci sta. Non tanto nelle punte di gioco, ma nella continuità nell’ambito di una stessa partita.
Io non l’ho visto così bene, così irraggiungibile. Hurkacz che ha vinto il terzo set, si è letteralmente mangiato il primo set nel quale aveva conquistato tre setpoint consecutivi e Djokovic non aveva fatto nulla di straordinario per annullarglieli. Avanti di un break nel secondo tiebreak, sul 5-4 e con due servizi da tenere, il polacco bravo tecnicamente ma modesto quanto a personalità, ha fatto un altro regalo sul quale Djokovic non ha avuto meriti particolari.
Vero, peraltro, che Djokovic da sempre è formidabile nel dare il meglio di sé nella fasi più calde di una partita, in quelle finali. Chiedere informazioni sull’argomento a Roger Federer che ha sperimentato sulla sua pelle quanto sto affermando sia all’US Open sia a Wimbledon…match e tornei che certo non ha dimenticato (come i suoi tifosi).
Motivo per cui do per scontato che se Hurkacz avesse vinto anche uno o entrambi i primi set, Djokovic non sarebbe stato più quello che ha perso il terzo.
E se non solo con Hurkacz, ma anche con Cachin, Thompson e nel terzo set con Wawrinka oltre che in più momenti con Rublev, Djokovic non mi è parso davvero il miglior Djokovic – sebbene in termini di qualità di gioco fra i due match Sinner-Safiullin e Djokovic-Rublev ci sia stato un vero e proprio abisso – sono perfettamente consapevole che Novak solo quando ne ha proprio necessità è capace di salire straordinariamente di livello.
Ritengo che Novak non sia stato testato al massimo. E quindi i miei dubbi sulla sua condizione psicofisica non abbiano troppo fondamento.
E, certo, parlando di test…beh da quali test è uscito allora Sinner?
Conclusione: secondo me mancano test davvero attendibili sia per l’uno sia per l’altro. Possiamo fidarci solo della storia, del passato? Beh in questo caso rivince Djokovic e buonanotte suonatori.
Ma io, e magari sbaglio, ho invece la stessa perfida sensazione di…Sinner, e cioè che un anno dopo il gap si sia ridotto. Di quanto? Ben anche qui darò una risposta tipicamente…sinneriana: “Vediamo venerdì!”.
Non ci resta altro da fare. Eviterò di fare quel che faranno tanti giornali, cioè di misurare il dritto di Djokovic e il dritto di Sinner, il rovescio di Djokovic e il rovescio di Sinner, lo smash di Djokovic e lo smash di Sinner. Alla fine, anche se verranno certamente interpellati i più grandi tecnici e in tv ci faranno vedere record, grafici e percentuali, tutto quanto lascerà il tempo che trova fino al verdetto di venerdì, quello del campo. Che magari questo venerdì sarà uno e un altro venerdì sarà un altro. E un altro grande chissenefrega se chi vincerà fra Rune e Alcaraz sarà un semifinalista ancora più giovane di Sinner, 24 ore dopo!
Per intanto smentisco, grazie al contributo di un apprezzato lettore di Ubitennis, la statistica che l’ATP fa circolare secondo cui Rune-Alcaraz sarebbe il quarto di finale “complessivamente” più giovane di sempre a Wimbledon. Falso. Sia Rune sia Alcaraz hanno di recente compiuto i 20 anni. La somma delle età dei due supera quindi i 40 anni. Nel 1985, l’anno del primo trionfo di Becker, 17 anni e 7 mesi, Boris battè nei quarti Henri Leconte (76 36 63 64) che, nato il 4 luglio 1963, ne aveva 22. La somma fa 39.
Godiamoci come una grande festa. Crrchiamo intanto, grazie a Sinner e comunque ci sia arrivato, di celebrarla. Come abbiamo visto – e come non smette di rimarcare con legittimo orgoglio Nicola Pietrangeli – se ci sono voluti 61 e 63 anni per godersi momenti comunque “storici” come questi, prima con Berrettini e ora con Sinner non spacchiamo il capello in quattro.
Godiamo partecipando con il nostro cuore e la nostra passione un momento che non era scontato con lo spirito del “carpe diem” perché questo momento siamo sicuri di viverlo. Mentre non possiamo essere sicuri – soprattutto quelli anzianotti come me – di poterlo rivivere. Anche se l’età di Jannik – e, con tutto il bene che gli voglio e la simpatia che nutro per lui anche se mi aveva fatto promesse non mantenute… anche l’età di Djoko – ci induce ad essere ottimisti per il futuro. A breve e, ancor di più, a medio termine. Nothing is impossible, come si diceva, ma se anche Alcaraz e Rune vincessero 23, 22, 20 Slam come i tre fenomeni della precedente generazione, Alcaraz e Rune sono soltanto due campioni. C’è posto per un terzo.