Le domeniche mattine che precedono le finali Slam hanno tratti comuni, al di là dell’epoca, della stagione e del torneo. Il tempo sembra scorrere in maniera controllata per evitare che si arrivi impreparati all’evento atteso per due settimane. Tutta la giornata ruota attorno a un’unica partita: sì, ci può essere una finale di doppio sullo stesso campo prima o dopo, ci possono essere finali Challenger in qualche altra parte del mondo, partite di qualificazione per i tornei della settimana successiva, ma niente di paragonabile con il traffico di match di tutti gli altri giorni. C’è infatti bisogno di riflettere, quasi di meditare su quello che è stato e su quello che potrà essere a seconda del risultato della finale: mai niente è come prima nel tennis dopo l’assegnazione di uno Slam.
Partendo da questa premessa, bisogna però ammettere che una vittoria di Djokovic non avrebbe lo stesso impatto che genererebbe quella di Alcaraz. L’eventuale 24esimo trionfo Slam di Nole sposterebbe poco nell’annoso dibattito sul GOAT, diventato tutto d’un tratto apparentemente irrisolvibile. Ci si è infatti accorti che si può distinguere tra “il più grande di sempre” e “il più vincente”, lasciando vacante il primo titolo e dando ai numeri l’onore di decretare in maniera sostanzialmente oggettiva Djokovic come legittimo proprietario del secondo. Solo l’eventuale Calendar Grand Slam del serbo potrebbe avere la portata necessaria per far tornare di moda il discorso GOAT: se, infatti, non ha smosso la situazione il sorpasso a Nadal con il 23esimo major, non potrà farlo nemmeno l’ottavo Wimbledon.
Dunque è inutile parlare di Djokovic – almeno per il momento – per concentrarsi solo ed esclusivamente su Alcaraz? Assolutamente no. Su Nole, infatti, c’è sempre qualcosa da dire e si tratta spesso di questioni complesse. I dibattiti che lo riguardano – una Djokovic-logia continua e forse perenne – sono infatti i ‘dibattiti del superlativo relativo’, quello che si forma con il comparativo preceduto dall’articolo determinativo: “il più vincente”, “il meno amato”, “il più versatile”, “(non) il più influente”, “(non) il più simpatico” e così via. Tutte forme piuttosto impegnative che richiedono spiegazioni non sbrigative.
Quanto successo nella semifinale con Sinner sul 6-3 6-4 4-5 15-40, ovvero sul primo dei due set point avuti dall’azzurro nel terzo set, ha riportato in auge uno dei tanti argomenti che riguardano il serbo: il suo rapporto con il pubblico, con i suoi non tifosi e, più in generale, il suo atteggiamento in campo.
Ricostruiamo cos’è accaduto: con i set point a favore dell’azzurro, sembrava che la partita si potesse riaprire e chiaramente questa era un’ottima notizia per gli spettatori paganti; c’era quindi entusiasmo sul Centre Court, e in particolare tra i non fan di Djokovic. Uno di questi, dopo la prima di servizio sbagliata da Nole, avrebbe urlato – come riportato dal Daily Mail ma anche da Stefano Semeraro de La Stampa, presente sugli spalti – “Vamos Rafa!”. Il serbo non ha ovviamente gradito e, invece di fare finta di niente, ha applaudito in maniera ironica in direzione dello spettatore in questione. Vinto il punto, ha poi reagito simulando il gesto di chi si asciuga le lacrime per prendere in giro il probabile disappunto di quel tifoso e di altre persone che speravano che Sinner concretizzasse l’occasione a disposizione.
In telecronaca su Sky Sport, Elena Pero ha parlato a tal proposito di quello che è “forse l’unico punto debole di Djokovic”. Eppure, se davvero si trattasse di punto debole, Djokovic non avrebbe vinto quel punto dopo essersi distratto in maniera così evidente tra prima e seconda palla di servizio o comunque magari non avrebbe annullato anche il secondo set point. In quel battibecco a distanza con il pubblico Nole ha trovato forza e motivazioni ulteriori per giocare al meglio quei punti delicatissimi: oltre a voler evitare il quarto set, dopo quel “Vamos Rafa” voleva anche dare un dispiacere a chi ha dimostrato di essere pronto a esultare per un suo passo falso. E ci è riuscito, come spesso gli capita quando porta tutte le energie mentali e fisiche su un obiettivo. Insomma, è stata una distrazione che lo ha aiutato a concentrarsi.
In senso stretto non si può quindi parlare di punto debole. Eppure, di qualcosa questo episodio deve essere indice. Di cosa, quindi? Dell’unico cruccio che Djokovic non riuscirà mai a togliersi, soprattutto se continuerà ad essere protagonista di questi piccoli episodi: quello di essere ben voluto da tutti gli appassionati di tennis.
Si tratta di un’impresa anche più difficile rispetto a conquistare 23 o più titoli Slam perché lo sport, per sua natura, è divisivo e lo è ancora di più chi vince. Nadal e Federer rappresentano in tal senso eccezioni più uniche che rare e va comunque ricordato che entrambi nel corso della loro carriera hanno avuto i loro detrattori: soprattutto Nadal, che per anni è stato accusato da alcuni webeti (neologismo coniato da Enrico Mentana) di essere dopato (ovviamente senza alcun fondamento).
Essere amato anche dai tifosi dei rivali quando si è ancora in piena attività (concluse le ostilità, l’antagonismo si smorza in maniera automatica) è forse la vera mission impossible dello sport. Rafa e Roger sono riusciti a farla sembrare possibile, e, siccome l’istinto di Djokovic lo porta a cercare di compiere tutto ciò che in qualche modo è fattibile, Nole non riesce a rassegnarsi all’idea che lui non ce la possa fare.
In Italia, il deputato del PD nonché ex Commissario Tecnico della nazionale italiana maschile di pallavolo Mauro Berruto ha commentato così l’episodio sulla sua pagina Twitter scatenando una miriade di reazioni: “Un tennista straordinario, capace di trionfare nell’era di Federer e Nadal. Quando la racchetta si ferma, però, viene fuori tutto il resto. Questa grottesca scenetta dopo aver annullato il set point a Sinner spiega tutto di lui. I campioni sono altro”.
Un giudizio forse fin troppo severo dal momento che la sportività di Djokovic non può essere messa in discussione per un semplice bisticcio con un tifoso. Nole rimane infatti un esempio positivo per bambini e ragazzi che seguono il tennis: per la sua forza di volontà, per il rispetto che mostra costantemente nei confronti degli avversari, per la capacità di scherzare e di dare il giusto peso ai risultati e per tanti altri motivi che sarebbe stucchevole continuare a elencare. Se i campioni fossero solo quegli sportivi che, oltre ad essere vincenti, non hanno nemmeno difetti a livello extra-sportivo, beh allora più che campioni sarebbero santi e, nella migliore delle ipotesi, ne nascerebbe uno ogni secolo.
Djokovic non sarà mai amato anche da chi non lo tifa (e indubbiamente, le sue idee e i suoi ideali piuttosto forti non contribuiscono). Il punto è che, come detto, nello sport questa è la normalità. Ma è comprensibile che a uno che a 36 anni continua a surclassare i colleghi e ad aggiungere titoli e record alla sua collezione le cose normali non piacciano. In questo caso (e solo in questo), però, l’unica strada per ribaltare la normalità sarebbe rassegnarvisi.