Ha trionfato Carlitos Alcaraz, evviva Carlitos Alcaraz. L’impresa che ha compiuto a soli 20 anni e al quarto torneo sull’erba è notevole, notevolissima anzi, perché – terzo più giovane campione di sempre dopo il diciassettenne Becker e il ventenne Borg, nonché terzo spagnolo dopo Santana e Nadal – riuscire a battere al quinto set e dopo 4 ore e 43 minuti il re delle maratone e di sette Wimbledon che aveva vinto gli ultimi 4 Championships e 45 partite di fila negli ultimi 10 anni sul Centre Court, non può appunto che essere considerato un grandissimo exploit.
Onore al merito, dunque, perché lo ha fatto giocando un bellissimo tennis, completo sotto tutti gli aspetti, dritto e rovescio coraggiosi, potenti e anticipati, drop-shots, volee anche acrobatiche e in tuffo, smash in sospensione, ace e servivi vincenti, e con grande solidità mentale sia dopo aver perso malamente il primo set, sia reggendo la tensione di un secondo set che non si era messo bene per lui nel tiebreak, sia dominando il terzo set, sia chiudendo da veterano consumato il quinto con un ultimo turno di servizio giocato alla grande dopo aver difeso benissimo il break conquistato nel terzo gioco del set finale.
A un giovanotto di 20 anni non si poteva chiedere di più. Davvero applausi meritati e complimenti per aver difeso anche quel primo posto in classifica mondiale che terrà per la ventinovesima settimana sperando di mantenerlo il più a lungo possibile.
Anche se riuscirci per 389 settimane come ha fatto lo straordinario campione che lui ha battuto ieri vorrebbe dire dominare la scena mondiale per oltre sette anni. Oltre sette anni! E…mentre lo scrivo mi chiedo se ci abbiamo davvero fatto abbastanza caso in tutto questo tempo!
Sì, perché uno scrive 310 settimane, come quelle da leader di Federer, poi 389 come quelle di Djokovic e lì per lì sembrano solo numeri…ma soltanto dividendoli per 52, cioè quante le settimane di un anno, ci si rende conto dell’immensità di questi dominii prolungati nell’ambito di uno sport di cui quasi ogni giorno sottolineiamo la crescente competitività, i tanti giovani arrembanti.
Pazzesco.
Pazzesco sia nel caso di Federer sia in quello di Djokovic con lo scettro ATP in pugno, perché ciascuno di loro – in quanto quarta parte dei Fab Four – ha dovuto misurarsi quantomeno con gli altri tre. Tutti e quattro sono stati numero uno del mondo. Eppure, per 699 settimane, quasi 13 anni e mezzo, i numeri uno sono stati loro due, Roger e Nole. Per altre 209 settimane è stato re Nadal, per 41 Murray. Sommiamole e fanno altri 5 anni, in pratica. Diciotto anni di regno per quattro sovrani. Scritto tante volte di getto…ma a rifletterci è una roba incredibile. Mai lontanamente successa prima.
Ecco allora…che l’idea che Carlitos Alcaraz possa un domani – ma si parla di sette anni! – raggiungere le 389 settimane di regno di Djokovic oggi può sembrare assolutamente irreale, assolutamente campata in aria.
Però, però, però…ci sono forse altri tre campioni all’orizzonte che possano ricreare un quartetto di fenomeni come quello dei Fab Four? Io non li intravedo proprio. Alcaraz uomo solo al comando per i prossimi anni?
Per Bacco, ma in sette anni, in 10 o in 18 – e 18 è stato il regno dei Fab Four – i fenomeni potrebbero spuntare quasi come funghi! Quindi ipotizzare quel che accadrà in un periodo di tempo così prolungato è un divertissement insensato e non so perché mi sia venuto in mente…Sennonchè oggi a parte forse Holger Rune – sebbene fortemente ridimensionato dall’ultimo duello qui a Wimbledon – un rivale del calibro di Alcaraz non sembra proprio che ci sia. I nostri connazionali vedono il nostro Sinner due gradini sotto Alcaraz e un gradino sotto Rune, ma alla fin fine non poi altri “prospetti” più avanti di lui. Djokovic ha definito Sinner uno dei leader della nuova generazione. Il suo quinto posto nella Race, insieme all’ottavo nel ranking annuale paiono certificarlo.
Ma allora ecco che per un anno o due, o forse anche tre, se Rune e Sinner non fanno progressi da gigante, o se non spuntasse un nuovo astro nascente fra chi è appena sceso dalla culla, Carlitos Alcaraz potrebbe aggiungere tranquillamente un centinaio e più di settimane alle 29 che si è già conquistato da n.1.
O sto azzardando una previsione campata in aria?
Giusto per non presentarvi un unico scenario voglio dire a questo punto però che la cosa più banale che veniva da dire oggi, dopo questa finale che Djokovic non potrà cessare di rimpiangere per almeno quattro motivi – tre rovesci nel tiebreak e uno schiaffo maldestro alto sulla palla break del 2-0 nel quinto – è che abbiamo assistito al cambio della guardia.
Lo titoleranno, e scriveranno, in tanti. Magari è venuto di dirlo anche a me, in uno dei tanti video che ho fatto per Ubi Instagram, per Ubitennis, per il sito IntesaSanPaolo. Ma secondo me non è ancora vero.
Djokovic non è pronto per la pensione. Non mollerà, anche se è svanito – quello sì, forse per sempre – il sogno di riuscire a realizzare il Grande Slam. Addio Grande Slam, ma vincerà altri Slam? Io penso di sì. E’ pur sempre il n.2 del mondo no?
Avevo scritto lungo tutto il torneo – controllate – che non mi era parso di aver visto il miglior Djokovic. Non lo era stato contro Hurkacz e neppure contro Rublev. E, per quanto molti lettori non fossero d’accordo, non aveva dominato neppure Sinner come aveva fatto lo scorso anno negli ultimi tre set, quando era stato davvero ingiocabile. Demerito suo e merito di Sinner, come spesso accade in contemporanea.
Ho scritto che Hurkacz si era mangiato il primo set e sul 5-4 e due servizi nel tiebreak del secondo non era stato inappuntabile ma aveva dimostrato carenza di personalità, ho scritto che Rublev era stato piuttosto sfortunato nel quarto set su alcune palle break non trasformate.
Non si è visto il miglior Djokovic, a parer mio, neppure nella finale contro Alcaraz. Altrimenti sarebbe andato in vantaggio di due set a zero.
Eh sì, dai: i tre errori di rovescio che ha commesso nel primo tiebreak perso dopo 15 vinti, non erano errori da Djokovic, il campione che ha sempre giocato meglio di chiunque altro – sì certo meglio di Federer e Murray, forse alla pari con Nadal – i punti importanti. In particolare, matchpoint a parte – vero Federer? – quelli dei tiebreak che si suol dire valgano doppio.
Quei tre rovesci, un dropshot sul 3-2 quando era avanti di un minibreak, quello sul 6-5 e setpoint dopo che aveva risposto bene alla battuta di Carlitos, quello sul 6 pari, erano errori degni di un Hurkacz, di un Norrie o uno Shapovalov, non di un Djokovic!
Mi pare di ricordare – e cito a memoria perché non ho tempo di fare una doverosa e accurata ricerca – che il record di Nole nei match tre su cinque dopo aver vinto il primo set sia mostruoso. Figurarsi quello dopo i primi due set vinti.
Ecco, un Nole in condizioni ordinarie di forma, anche contro quel bravissimo Alcaraz, sarebbe andato al terzo set con due set di vantaggio.
Lo so che con i se e con i ma non si va da nessuna parte. Però a me – e penso anche a Nole –nessuno toglierà mai dalla testa che se il due set a zero non c’è stato è più per demerito di Nole che per merito di Carlitos.
Ma è’ un demerito casuale, dovuto a una cattiva giornata e a una serie di cattive giornate come mi sono apparse lungo il torneo, oppure è il segnale del lento inesorabile declino del serbo che comincia a fare i conti con quell’anagrafe che credevamo per ora sconfitta? Quello schiaffo al volo con cui ha sotterrato l’importantissima palla break con la quale sarebbe salito sul 2-0 nel quinto set, è stato un altro momento topico, per una svolta probabilmente decisiva che non c’è stata in quel game – a favore di Nole- ma c’è invece stata tre minuti più tardi a favore di Carlitos.
La furia con cui, al cambio campo, Nole ha fracassato sul paletto di sostegno la sua racchetta, è rivelatrice. Nole aveva perso il treno verso la vittoria e, esperto com’è, l’aveva capito.
Direi che questo – demerito casuale contingente oppure segnale dell’inesorabile declino – è il punto discriminante nostro dibattere.
Bravo, bravissimo Alcaraz ad approfittarne con precocissima maturità, ma Djokovic è incappato in una giornata mediocre per caso, perché può capitare a tutti, anche ai tennisti più giovani, o perché anche lui –pur fenomeno straordinario – è sulla via di chi piano pian accuserà sempre più battute a vuoto perché l’età presenta il conto?
Se la risposta più plausibile cui crediamo è la prima, – ed è quella in cui credo io – non si può parlare ancora di cambio della guardia.
Djokovic può tranquillamente tornare sul trono del tennis, vincere magari l’US Open e/o le prossime finali ATP a Torino nonché l’undicesimo Australian Open. Ricacciare al secondo posto il pur bravissimo Alcaraz.
Se invece è la seconda ecco allora che questo Wimbledon sancisce effettivamente il cambio della guardia. Ma, anche per questa ipotesi, solo il cambio della guardia al vertice, solo il passaggio di consegne fra Djokovic e Alcaraz. Non il cambio della guardia generazionale però, almeno per ora e il prossimissimo futuro, perché anche un Djokovic sottotono e in leggero appannamento è per ora più forte di Rune, Sinner, Tsitsipas su quasi tutte le superfici. Non è ancora giunto il momento del pensionamento, tantomeno del De Profundis. Nella peggiore delle ipotesi sarebbe il secondo tennista del mondo. Gli altri, Sinner compreso, pagherebbero per essere dove è lui.