Ci eravamo lasciati a Wimbledon, ma questa volta niente che abbia a che fare con il torneo giocato. Ormai due settimane fa sua maestà Roger Federer si era presentato a Church Road dove era stato sapientemente invitato a presenziare nel Royal Box, da cui ha potuto osservare le gesta di Andy Murray ed Elena Rybakina. Sarà felice di sapere, a torneo concluso, che il suo record di titoli a Wimbledon è ancora intatto, ma l’elvetico non può dire lo stesso del suo ginocchio, causa principale del suo ritiro dal tour professionistico. In un’intervista recente al giornale svizzero Tages Anzeiger, il suo ex coach Ivan Ljubicic ha speso qualche parola a riguardo. “Le ginocchia hanno sempre dato problemi a Roger; prima la sinistra poi la destra. Si è spremuto al massimo e io ero stupito da come lui potesse stare, negli ultimi anni della sua carriera, ancora ore e ore su esercizi noiosi. Lavorava cinque ore al giorno e mentalmente reggere tutto questo senza avere la certezza di tornare è sbalorditivo. Lui, però, ci ha creduto fino all’ultimo momento”. Il croato, però, non ha dubbi quando afferma che “se Roger non si fosse infortunato, avrebbe continuato non solo a giocare, ma anche a vincere. È come Rafa, continuerebbero a giocare più a lungo possibile perché amano questo sport, ma il corpo lo ha avvisato che era il momento di smettere. Roger non poteva concludere la carriera in un altro modo”.
Nessuno, infatti, ha mai messo in discussione la dedizione dello svizzero allo sport che tanti record gli ha visto infrangere. Traspariva dai suoi sublimi colpi non solo una naturalezza che poteva far sembrare la racchetta un’estensione del braccio, ma la sua minuziosa attenzione ai giusti movimenti e all’impatto della palla – cui teneva gli occhi puntati fino a che quest’ultima non aveva lasciato il piatto corde – era questo che informava tutti i tifosi riguardo l’amore che l’elvetico provava per il suo sport, il tennis. “La dedizione” – come afferma Ljubicic – “gli veniva naturale. Non ha mai detto che non voleva fare qualcosa. Un giorno a Dubai ha giocato una partita di allenamento tre set su cinque con Pouille e poi ha continuato ad allenarsi. Era la fine del 2016. Da qui si comprende che Roger non ha mai percepito il tennis come un lavoro. Non ho mai visto nessuno afferrare la racchetta con quella voglia, anche in vacanza non la lasciava”. L’ex numero 3 al mondo, inoltre, non si nasconde dal dire: “Potrei aver imparato più io da lui che lui da me. Non sapevo da dove tirasse fuori l’energia; gli scrivevo un messaggio alle due di notte e lui rispondeva subito. Mi sono chiesto quanto dormisse e come facesse a essere in campo la mattina dopo. Sarà una questione genetica”. Il croato ci tiene, quindi, a far presente lo stress a cui era sottoposto il team, perlopiù “nella prima settimana di uno Slam. Lì puoi solamente perdere, non vincerai nulla, quindi sei molto teso”. Ma Federer aveva qualcosa in più, dentro e fuori dal campo; infatti, “nessuno potrà avvicinarsi neanche lontanamente a quello che ha dato Roger a questo sport. Ha vinto il premio come tennista più amato per diciannove anni consecutivi. Non credo ci sia stato nessuno in altri sport che sia stato amato e abbia influenzato così tanta gente come ha fatto lui”.
In questi ultimi anni un tema che ha coinvolto tutti gli esperti del mestiere, ma anche i tifosi o chi si presume tale, è la questione GOAT. Ljubicic non ha dubbi quando afferma: “Il migliore per me è quello che ha avuto maggior impatto nel suo sport. Potrei non essere obiettivo, ma c’è una bella differenza tra l’essere il più grande e il più vincente.Djokovic è più vincente, ma basta guardare Michael Jordan per capire di cosa sto parlando. Lui non è stato il più titolato, eppure tutti lo considerano il migliore. Di conseguenza, i successi di Novak non offuscano di certo quello che Roger è stato capace di fare”. Questo, però, non vuol dire che l’ex tennista croato non apprezzi ciò che il campione serbo è stato ed è ancora in grado di compiere. Infatti, ammira “la sua determinazione, il fuoco nei suoi occhi e la testardaggine nel volere sempre di più. Per giunta” – continua il 44enne croato – “la sua ricerca quotidiana dell’equilibrio e la capacità di alimentare la grinta con le cose negative è sbalorditivo a parer mio. Cerca sempre stimoli differenti, e sono sincero… non avrei mai pensato potesse vincere ventitré Slam. Soprattutto dopo che l’avevo visto giocare da piccolo alla Riccardo Piatti Academy. Si vedeva che aveva talento e si muoveva bene, ma tecnicamente era nella media. Il Rovescio era buono, ma il dritto gli creava problemi e il servizio aveva ampi margini di miglioramento”.
In conclusione, al nativo di Banja Luka viene chiesto dove si immagina Federer nel futuro e, senza peli sulla lingua, risponde: “Non me lo immagino come allenatore, richiede troppo impegno. Lui ama aiutare, ma piuttosto lo vedrei come mentore”.