1979: innovazioni per il Cincinnati Open con impianti permanenti e dirette TV
Già, il 1979: un anno particolare. Qui a Cincinnati si prepara un notevole cambiamento. Ormai l’US Open è l’US Open, un Grande Slam, ma il torneo di Queen City che ora si chiama ATP Championship non abdica, anzi si rafforza. Il piano, semplicissimo (solo per dire), è quello di pensare in grande. E così l’occasione coinvolge una vecchia conoscenza, o meglio il discendente di uno dei personaggi principali di questa storia: William Howard Taft, socio del Cincinnati Tennis Club e Presidente degli Stati Uniti d’America dal 1909 al 1913. Ebbene, suo fratello aveva acquistato due quotidiani che a sua volta, grazie all’inventiva di un altro membro della famiglia, si erano evoluti in una società televisiva: la Taft Broadcasting. Questa sarà in seguito comprata da Carl Lindner Jr (esatto, lo stesso che darà il nome al complesso sportivo), ma in quel momento, alle porte dei roboanti anni Ottanta, proprio la Taft si trovava tra le mani una proprietà nel suburbio di Mason, a poca distanza dal downtown di Cincy. Lì, in quell’area divisa dalla I-71, era già attivo il parco divertimenti Kings Island e poi, dall’altro lato, un grande campo da golf. Lo spazio c’era. In abbondanza a dire la verità. E così il Cincinnati Open aveva trovato una nuova e definitiva casa: quello che oggi chiamiamo Lindner Family Tennis Center.
A differenza delle precedenti location, come il circolo del Cincinnati Tennis Club, ormai inglobato dall’espansione della città e quindi dal carattere prettamente urbano, il complesso sportivo che oggi ospita il Western & Southern Open si erge in una zona suburbana, al di là di abitazioni talmente impeccabili da essere sinonimo del “sogno americano” e circondato da ampi parcheggi degni della migliore logica fordista. A ovest si trova poi il The Grizzly, il già citato campo da golf dove viene organizzata una competizione del LNGA Amateur Championship.
In pratica si tratta di un vastissimo distretto sportivo, attivo generalmente quando si tengono particolari eventi e realizzato seguendo una strategia urbanistica affine alla terza generazione delle infrastrutture sportive (dal 1960 al 1989).
La principale novità, in grado di innovare il Cincinnati Open dandogli un nuovo lustro, riguarda però le strutture in sé, o meglio il ragionamento alla base del concept ideato dallo studio di architettura Browning Day, fondato nel 1967 da James E. Browing e Daniel Alan Day. Niente più club o edifici adattati quindi: a Queen City si passa al concetto di stadio permanente, e infatti per l’edizione 1979 vengono realizzati quattro impianti riutilizzando, con un’apprezzabile economia circolare, gli spalti di Coney Island. Si inaugurano il Center Court con una capienza di 5.200 persone e gli attuali campi 10, 11 e 12. La superficie è il cemento, il Deco Turf della Clinton Asphalt Paving Company per l’esattezza: una lega di polimetilmetacrilato, gomma e silice poi diffusamente utilizzata in altri tornei del circuito e persino alle Olimpiadi.
Quell’anno, in diretta per la prima volta sulla CBS, trionfa Peter Fleming 6-4, 6-2 contro il connazionale Roscoe Tanner. Lo statunitense ha il piacere di alzare davanti ad una grande folla la nuova ATP Championship Cup, firmata niente di meno che dalla famosa azienda Tiffany & Co. di New York. L’era più contemporanea del Cincinnati Open è cominciata. Il risultato è un’affluenza sempre più in crescita: i 25.000 spettatori del 1979 si moltiplicano (61.000) l’anno successivo, fino a raggiungere cifre record (intorno e oltre le 200.000 presenze) negli anni Duemila.
I numeri continuano a crescere
Il tennis sta cambiando, un nuovo pubblico si avvicina, e così il Lindner Family Tennis Center si adatta, diventa un’architettura resiliente, rispondendo a delle necessità che prima non venivano neanche considerate. I 5.200 posti del Center Court diventano 6.900 nel 1981, poi 7.586 nel 1982. L’espansione è continua come quella della vicina Cincy. Nel 1986 l’impianto d’illuminazione viene aggiunto anche alla Grandstand Court (il secondo campo per importanza), garantendo così la possibilità di disputare partite in notturna in due diversi stadi.
Contemporaneamente si migliorano i servizi. La tribuna ovest accoglie nuovi spazi ormai imprescindibili negli anni Ottanta come la media lounge, la sala delle interviste, la conference suite… È l’epoca dell’ascesa della mediatizzazione, il vero anticipo di quello che avverrà negli anni Novanta, il decennio delle sfrenate reti all-news con una copertura ventiquattr’ore su ventiquattro delle notizie. E poi, ovviamente, Pete Sampras, John McEnroe e Andre Agassi hanno fatto il resto.
Nel 2000, seguendo la “texture” dell’US Open, si decide di modificare il colore della superficie scegliendo l’attuale cromatismo. Un cambiamento anticipato di qualche anno (nel 1995) dalla completa ricostruzione della Grandstand Court e dall’aggiunta di un nuovo stadio, il campo 3, rendendo il complesso l’unico, al di fuori di quelli del Grande Slam, dotato di tre impianti permanenti di notevoli dimensioni.
Investimenti imponenti nel 2010
E non finisce qui, perché gli investimenti continuano, sempre più ingenti, negli anni successivi. Nel 2010 dieci milioni di dollari vengono destinati alla costruzione del nuovo West Building alias Paul Flory Player Center. Subito dopo si avvia la realizzazione di altri sei campi, portando i numeri del complesso a diciassette courts, compresi i quattro stadi.
Lo straordinario successo del Western & Southern Open in fondo è dovuto anche a questo. Senza dimenticare uno dei più interessanti restyling dell’ultimo periodo, quel South Building capace di connettere i due principali impianti: il Center Court e la Grandstand Court.
Costato venticinque milioni di dollari, questo edificio garantisce ovviamente una hospitality di alta qualità, ma è la sua morfologia, oltreché il suo modello strutturale, a colpire per il livello di dettaglio. Costruito, quasi innestato, tra due stadi, il South Building è stato raffinatamente progettato grazie a specifici software BIM (Building Information Modeling). Acciaio e calcestruzzo armato ne costituiscono la struttura portante, capace di svettare grazie ad un’altezza di circa trentaquattro metri sull’intero distretto sportivo.
Lo studio Browing Day ha però voluto realizzare qualcosa di più, un’architettura che potesse rappresentare il vero fulcro del complesso. E così ecco un’attenta progettazione dell’interno, con la First Financial 1899 Room, ad esempio, disposta su due livelli e dotata di bar e ristorante; oppure il terzo piano, con le sue suite di lusso e una terrazza studiata ad hoc. Si rinnova sempre, qui al Lindner Family Tennis Center. Sì, verrebbe proprio da dirlo. Fermarsi è un concetto che non appartiene agli abitanti di questo territorio.
Ma del resto è proprio questa l’essenza del Cincinnati Open. Un torneo in continua evoluzione. Storico eppure innovativo. Popolare, forse addirittura globale, e al contempo straordinariamente legato ai pittoreschi quartieri di Queen City. In questi mesi, quasi paradossalmente, si parla di un possibile spostamento del Western & Southern Open in un’altra città. Forse Charlotte, nel North Carolina. Ci sarebbe già un progetto. Quaranta campi tra cui quattro stadi pronti per il torneo del 2026.
Solo ipotesi? Realtà conclamata? Questa è un’altra storia. Per ora assaporiamo l’incombente Cincinnati Masters. Con il ritorno di Caroline Wozniacki e un nuovo capitolo della sfida Djokovic-Alcaraz. Godiamocelo.
Magari più consapevoli di un torneo intriso di americanità, ma anche di cadute e risalite come quelle provate dagli atleti che si apprestano a giocare sulla sua superficie. “This is Cincinnati”. Questa è la storia del tennis.
Luca Filidei