“Lo sport più manipolato al mondo”. È stato definito così il tennis da inquirenti ed enti regolatori delle scommesse sportive nell’ambito del processo ai danni di Grigor Sargsyan e della sua organizzazione criminale, giudicata tale dal Tribunale di Oudenaarde in Belgio a fine giugno. Lo scorso 11 agosto, poi, Sargsyan ha iniziato a scontare la sua pena di 5 anni. Eppure, nonostante tutto quello che quest’uomo è stato in grado di architettare nel mondo del tennis, non si può dire di lui che sia “tristemente famoso”. Sì, è vero… il giro di scommesse e match-fixing in questione è rimasto ben lontano dai tornei e dai giocatori d’élite, ma le sue proporzioni rimangono spaventose. E proprio per questo, dovrebbe spaventare il fatto che di questa vicenda si sia parlato relativamente poco, in un tentativo – umano e per questo comprensibile ma comunque impossibile da ignorare – del nostro sport di nascondere le sue fragilità. O forse sarebbe meglio dire il suo lato oscuro, perché di questo si tratta.
Il Washington Post, rispettando a pieno il suo slogan “Democracy dies in darkness” e la sua inclinazione investigativa, ha sviluppato un’inchiesta attorno a questi fatti per farne conoscere finalmente i dettagli e generare quindi consapevolezza della loro gravità. Ubitennis, dopo aver riferito della vicenda giudiziaria a marzo, quando è iniziato il processo (dopo un rinvio di ben 5 anni), ha così deciso di fare, per quanto possibile, da cassa di risonanza dell’inchiesta “The Maestro”, firmata da Kevin Sieff. Questa è stata pubblicata nelle scorse ore in due parti che potete trovare ai seguenti link: parte 1 e parte 2. In questo nostro pezzo cercheremo di selezionare alcune tappe della vicenda e alcuni particolari in grado di ricostruire i fatti e di dimostrarne l’importanza: il tennis, infatti, non può e non deve sfuggire al confronto con i propri demoni.
Chi è Grigor Sargsyan
Questo nome vi dirà molto poco, eppure secondo un ex tennista francese coinvolto nella vicenda – Mick Lescure, best ranking #487 – “chiunque nel mondo del tennis sapeva che il Maestro faceva match-fixing”. Maestro è il soprannome con cui Sargsyan era chiamato con ammirazione e affetto dai suoi scudieri ma con cui era conosciuto, a quanto pare, anche da chi non aveva mai avuto rapporti diretti con lui. Grigor Sargsyan, a lungo intervistato dopo la condanna dal giornalista del Post, ha oggi 33 anni, è nato in Armenia ma ha vissuto la sua adolescenza in Belgio, nel quartiere più povero di Bruxelles popolato dalla sua e da tante altre famiglie di immigrati. A 16 anni, dopo aver dimostrato grande talento con gli scacchi, ha avuto il suo primo incontro con il tennis e un incredibile segno premonitore ha voluto che tale incontro avvenisse in un centro scommesse.
Grigor, però, non fu attratto dalla possibilità di guadagnare qualche soldo scommettendo sulle partite del Roland Garros in corso, ma unicamente dai match. Così inizio a giocarci anche lui. Il suo talento, però, era negli scacchi e capì piuttosto presto che non sarebbe stato il tennis giocato a farlo diventare ricco. I suoi amici intanto parlavano sempre e solo di scommesse sulle partite di calcio: perdevano praticamente sempre. Grigor allora pensò che puntare sul tennis potesse essere più remunerativo e scoprì che si poteva scommettere anche su match non trasmessi in televisione: partite disputate in luoghi sperduti, che non interessano a nessuno, in tornei con montepremi molto bassi, con giocatori che cercano di scalare la classifica e che a malapena riescono a sostenere le spese per viaggiare e pagare un allenatore. Insomma, Grigor non pensò nemmeno per un attimo di scommettere come facevano i suoi amici: voleva scommettere sapendo di vincere dopo essersi accordato con chi scendeva in campo.
La rete di scudieri
Dopo aver studiato e ragionato a lungo, Grigor decise di passare all’azione per la prima volta. Aveva 24 ed era ancora uno studente di giurisprudenza. Ad Arlon, una città belga vicina al confine con il Lussemburgo, era in programma un torneo da 25 mila dollari di montepremi. Così Grigor si recò nell’albergo dove alloggiavano i giocatori e, nella hall trasformata in una sorta di spogliatoio, avvicinò un ragazzo sudamericano. Non ci fu bisogno di spiegargli chissà cosa: evidentemente le proposte di match-fixing a quei livelli non sono così rare. Grigor gli chiese di perdere il secondo set 6-0 in cambio di 600 dollari (lui, invece, ne avrebbe vinti e ne vinse 4 mila). Le cose andarono come dovevano e Grigor chiese al suo primo scudiero di dargli qualche nome di suoi colleghi che avrebbero potuto essere altrettanto interessati. Così, uno tira l’altro, iniziò a formarsi la “più grande rete di match-fixing nella storia del tennis”.
Uno step importante in questo sviluppo arrivò dopo l’avvio della collaborazione con l’egiziano Karim Hossam, ex numero 11 del mondo a livello junior. La carriera di Hossam sembrava aver raggiunto un punto morto dopo gli ottimi risultati da giovanissimo (in più il sostegno finanziario della famiglia non poteva più essere quello di prima visto che al padre era stato da poco diagnosticato un tumore) e così l’egiziano cadde in tentazione. Ma non solo, perché, una volta conosciuto di persona Sargsyan, Karim fu catturato dal suo charme, dalla sua sicurezza e dall’affidabilità che trasmetteva tanto da accettare di diventare il suo principale intermediario nel reclutare altri giocatori, altri scudieri, altre pedine da inserire nella sua scacchiera (ovviamente in cambio di un’importante ricompensa).
A fare la differenza rispetto ad altri “match-fixers” più occasionali e a permettere la costruzione di una rete così fitta fu infatti la cura per i dettagli e l’attenzione che Grigor mostrava ai suoi giocatori più fedeli. Così scrive Kevin Sieff nella sua inchiesta: “Sargsyan era diverso. Pagava rapidamente in contanti o con bonifici MoneyGram. Rispondeva ai messaggi istantaneamente, non importava quando erano stati inviati. Sembrava conoscere tutti”. Ma soprattutto, conosceva le esigenze e i desideri dei suoi scudieri e così in alcune occasioni pagava i loro voli, forniva appartamenti o comprava regali per le loro mogli. A volte pagava anche più di quanto promesso o consegnava la cifra pattuita anche se la combine non era andata buon fine. Non si fa quindi fatica a credere alle parole del francese Lescure che, interrogato dalla polizia francese, disse che Grigor era diventato a tutti gli effetti uno dei suoi amici più stretti.
Karim Hossam portò diversi giocatori nel giro di Sargsyan, a partire da suo fratello di quattro anni più piccolo Youssef. Secondo gli inquirenti, Karim e Youssef Hossam hanno truccato almeno 20 partite dall’agosto del 2016 e il maggio del 2018 seguendo le indicazioni del Maestro: entrambi sono stati squalificati a vita (così come Lescure). Un altro apporto fondamentale all’espansione della rete arrivò dall’allenatore cileno Sebastian Rivera che lavorava con il figlio di Nick Bollettieri a Newport. Tra il 2017 e il 2018, secondo le autorità belghe, Rivera avrebbe portato a Sargsyan 34 giocatori del club di Bollettieri ricevendo almeno 90 mila dollari di commissioni. Bannato anche lui a vita dal tennis professionistico, il cileno ha cercato di giustificare il suo rapporto con Grigor – documentato da pagine su pagine di messaggi – spiegando che in realtà stava lavorando da insider sotto copertura per un giornalista della BBC di cui però non ricordava il cognome. La testata inglese ha prontamente smentito.
In totale la rete del Maestro raggiunse la quota di oltre 180 “affiliati” per un totale di circa 400 partite truccate.
La fine del gioco
I primi alert segnalati dalla commissione di controllo sulle scommesse belga alle autorità risalgono al 2016: troppe vincite consistenti, per lo più contro pronostico nei circuiti minori e non tanto sugli esiti finali ma su singoli set o addirittura game. Fu l’investigatore Nicolas Borremans, della stazione di polizia di Oudenaarde nelle Fiandre, a prendere in mano il caso. Rintracciò inizialmente gli account di quattro scommettitori armeni piuttosto sospetti e dopo aver intercettato alcune loro telefonate capì che lavoravano per conto di terzi. In relativamente poco tempo, Borremans ricostruì una rete di 1671 account sparsi per l’Europa su vari siti di scommesse che sembravano legati tra loro. Bisognava però risalire ai vertici dell’organizzazione, ma sembrava non esserci verso.
La svolta al caso fu data dall’investigatrice dell’ITIA (International Tennis Integrity Agency) Dee Bain che, nelle sue indagini sul match fixing, aveva cerchiato in rosso il nome di Karim Hossam. Gli indizi sulla sua colpevolezza si moltiplicavano costantemente e allora Bain entrò in azione: raggiunse Hossam dopo una partita e gli chiese di consegnarle il suo smartphone (tutti i tennisti professionisti firmano un contratto in cui si dichiarano pronti a fornire il proprio cellulare agli investigatori dell’ITIA quando richiesto). Karim, che non aveva cancellato i messaggi incriminati per troppa sicurezza, ammise immediatamente di essere coinvolto nel giro del match fixing, mentre disse poco o nulla su quel Gregory (così era memorizzato Grigor Sargsyan nella sua rubrica) con cui scambiava ripetutamente messaggi e telefonate. L’ITIA condivise le informazioni con le autorità belghe e in particolare con Borremans che a partire dal numero salvato sul cellulare di Hossam riuscì a rintracciare l’uomo che avrebbe riempito la casella ancora vuota al vertice del suo diagramma, dove campeggiava la scritta “Maestro”. Era lui che organizzava le combine con i giocatori per poi far piazzare ai suoi scagnozzi le scommesse dai vari account attivati.
Scoperto nome e cognome del Maestro, le prove si accumulavano una dietro l’altra in poco tempo e così durante la notte 5 giugno del 2018, sotto la supervisione a distanza di Borremans, la polizia belga fece irruzione nella casa dei genitori di Grigor dove sapevano che avrebbero trovato anche lui con i suoi vari cellulari. In dieci mesi di carcere preventivo, Sargsyan non ha mai negato quanto fatto: piuttosto per lui non si trattava di un crimine ma semplicemente di intelligenza e scaltrezza. Il processo è stato poi rimandato fino a quest’anno e la sentenza di condanna è stata emessa a fine giugno: 5 anni per aver guidato un’organizzazione criminale, riciclaggio di denaro e frode. Una pena che ha piacevolmente sorpreso l’accusa, che temeva una mano più leggera da parte del giudice.
A PAGINA DUE:
Alcuni punti poco chiari
Il ruolo del governo del tennis