Ogni campione, nello sport, deve necessariamente sapersi rinnovare per restare sempre ad alti livelli. Soprattutto andando avanti con gli anni, quando si è già vinto molto e gli stimoli possono venir meno, è imprescindibile trovarne di nuovi per continuare a vincere. È proprio questo uno dei segreti di Novak Djokovic, che di record ne ha collezionati a bizzeffe e che vuole continuare a stupire.
Ma per mantenere performance eccelse pur superate le 35 primavere, possono anche essere necessari aiuti di persone fidate o di mentori che hanno ottenuto gli stessi successi anni prima. E Goran Ivanisevic, supercoach di Nole, svolge in prima battuta proprio questo ruolo nei confronti del serbo. Lo ha raccontato il numero 1 del mondo in un’interessante intervista rilasciata a Eurosport poco prima dell’inizio del Masters 1000 di Parigi-Bercy, di cui riprendiamo i passaggi più significativi.
Il fulcro delle dichiarazioni di Djokovic riguarda proprio il suo rapporto con Ivanisevic: “È stato uno dei miei punti di riferimento quando seguivo il tennis da ragazzo, e ora ci divertiamo molto, siamo grandi amici e abbiamo una straordinaria relazione professionale. Sono un uomo pieno di difetti e in quest’ultima fase della mia carriera ho bisogno di motivazioni extra rispetto al primo periodo e anche rispetto a ciò di cui necessitavo cinque o dieci anni fa. E Goran e il mio team cercano sempre metodi diversi per stimolarmi, anche se finora non ci sono riusciti molto (scherza, ndr)”.
Ma quali sono le differenze rispetto a qualche tempo fa per Nole? “Adesso ho una famiglia, ho due bambini, e ogni volta che li lascio a casa per giocare un torneo mi dispiaccio e mi si spezza il cuore. Ecco perché quando decido di partecipare a un evento, poi punto a vincerlo, per far sì che sia valsa la pena di intraprendere quel viaggio”.
Il rapporto con la famiglia è un altro dei temi ricorrenti nelle parole del 24 volte campione Slam, che ha trascorso proprio con i suoi cari il periodo di riposo tra la Coppa Davis e Bercy: “È stato un mese e mezzo stupendo al fianco di mia moglie, dei miei figli, dei miei genitori e dei miei fratelli. Spendere del tempo con loro è un aspetto del quale non ho potuto beneficiare molto negli ultimi anni, con una programmazione così fitta e un’intensità incredibile nel competere. Cerco di vivere ogni settimana lontano dal circuito nel miglior modo possibile”.
Allo stesso tempo, Djokovic si è dato anche ad altri sport, guardati e praticati: “Ho giocato a golf partecipando alla Ryder Cup e la reputo un’esperienza incredibile. Vedere i campioni di un’altra disciplina così da vicino è stato pazzesco. Poi ho seguito il basket e nello specifico l’Eurolega, cercando di mantenermi attivo e di stare al passo con ciò che succede anche al di fuori del tennis”.
Tornando a Ivanisevic, Djokovic ha parlato di uno dei fattori che facilitano il rapporto tra i due: “Parlare la stessa lingua ci aiuta. Anche quando sono in campo, ci capiamo al volo. Il problema che riscontriamo è che, dato il successo di giocatori serbi e croati negli ultimi 30 anni o giù di lì, molti arbitri e supervisor capiscono le nostre parolacce. Quindi dobbiamo usare uno slang specifico e inventari termini inesistenti. Ma Goran mi capisce, visto che anche lui non era il giocatore più pacato sul campo (ride, ndr)”.
Chiusi i capitoli coach, tempo libero e famiglia, Djokovic si è concentrato sui suoi obiettivi futuri, imbeccato da una domanda sul record di vittorie nei Major: “Pensare al venticinquesimo Slam è uno dei problemi ‘belli’ della vita. Se il venticinquesimo titolo arrivasse già all’Australian Open sarebbe grandioso, vista anche la splendida reazione dei tifosi quando ho vinto il ventitreesimo o il ventiquattresimo. Ma staremo a vedere, senza pressioni. Per ora sono contento dei risultati raggiunti.
Conclude il serbo: “Soprattutto nel mio Paese si punta subito al traguardo successivo, ma se fosse così facile ottenerlo sarebbe straordinario. Al contrario, non è per nulla semplice. Anzi, mi sento come un gatto con nove vite, che ne perde una ogni volta che gioca uno Slam per le energie incredibili che bisogna spendere. È fondamentale essere fisicamente, mentalmente e moralmente focalizzati al 100% su quell’evento e a 36 anni è ancora più complesso rispetto a prima. È anche questo uno dei motivi per i quali ho bisogno di più pause tra un torneo e l’altro”.