Venerdì 3 giugno 2022, ore 18:08, campo Philippe Chatrier, Parigi. In scena la prima semifinale del Roland Garros, tra Rafael Nadal e Alexander Zverev. Dopo 3 ore e 3 minuti i due sono al primo punto del tie-break del secondo set, con il maiorchino vincente del primo parziale. La sensazione generale, però, è che più la partita vada avanti, più salgano le chance del tedesco di vincerla e di trovare la seconda finale Slam della carriera. E poi incontrare uno tra Cilic e Ruud, dopo aver battuto il Re sul suo territorio di caccia, non può fare paura. Questi pensieri, alle 18:08 di un piovoso venerdì di tarda primavera parigina, sono tutti crollati a terra insieme a Sasha, protagonista di uno dei più brutti infortuni degli ultimi anni.
“A settembre ho pensato di non poter tornare come prima”, ha addirittura dichiarato il tedesco a febbraio 2023, quando era da poco tornato sul circuito dopo uno stop di 6 mesi che da n.2 al mondo lo aveva visto uscire dalla top 10. Mesi difficili, quelli tra giugno e dicembre 2022, mesi di continui rimandi e riabilitazioni, di promesse di rientro non mantenute, e un dolore mai realmente sopito. Anche emotivamente, oltre che da un punto di vista fisico, dato che il tedesco sapeva bene dove avrebbe potuto portarlo quella semifinale, e il resto di una stagione “senza padroni”.
“L’infortunio ha avuto il suo peso. Sai che hai rotto sette legamenti, hai bisogno di un intervento chirurgico, di tempo per guarire, ma sono cose che accadono, sono riuscito a conviverci perché è successo durante la semifinale del Roland Garros mentre stavo cercando di raggiungere l’obiettivo di una vita. Non è successo praticando snowboard o sci o qualcosa del genere; non è stato uno stupido incidente”, le parole di Zverev quando annunciò il suo rientro sul campo in Arabia Saudita lo scorso dicembre, prendendo parte ad una ricca esibizione. Tornare direttamente all’Australian Open sarebbe stato molto duro dopo un lungo stop, così Sasha ha scelto un approccio più morbido per riaffacciarsi nel circuito, e giocare al meglio le sue carte nel 2023. Ci è riuscito? I numeri testimoniano di sì, le emozioni rilasciate, i risultati ottenuti, anche. Rianalizzare il 2023 è il trampolino per prevedere il 2024 in fondo.
Australia canaglia, grazie Dubai. 1000 primaverili? Prego, ripassare
La prima partita ufficiale di Zverev, dopo due nette sconfitte in United Cup contro Lehecka e Fritz, è all’Australian Open, contro il peruviano Juan Pablo Varillas. Sul cemento, uno Zverev in forma gli avrebbe lasciato 7-8 game…ma il tedesco quel giorno non è propriamente in forma. Sotto due volte di un set, rimonterà e vincerà in cinque per approdare al secondo turno. 4 ore alla prima partita “vera” dopo 7 mesi non sono proprio facili da digerire, come dimostra la sconfitta in 4 set contro un onesto mestierante e promessa mancata quale Michael Mmoh. Rientro non indimenticabile per il giocatore in quel momento n.13 al mondo. L’insicurezza traspare nei movimenti, specie negli spostamenti laterali, e la proverbiale spinta di rovescio sembra solo un ricordo.
Le cose si smuoveranno solo a marzo, nell’ATP 500 di Dubai. Mette in fila Lehecka in tre set, e con partite più agevoli di quanto il punteggio non dica, anche O’Connell e Sonego, così da ritrovare una semifinale in tour dopo 9 mesi. Cozzerà contro la solidità del russo dal cuore tenero Rublev, che gli negherà sì la finale, ma ciò che rimane è una certezza: Zverev c’è, sta tornando. Peccato che non darà seguito alle premesse nei 1000 primaverili. 4 volte su 5 agli ottavi, tre volte perderà da Medvedev e una da Alcaraz. Sconfitte di per sé più che accettabili, contro giocatori di tale calibro, a preoccupare è altro. Il tedesco soffre fin troppo con giocatori che solitamente avrebbe battuto ad occhi chiusi, e non sembra mai nelle condizioni di reggere troppo tempo il ritmo dei più forti. Lo dimostrano le sconfitte in più di 3 ore contro Medvedev a Indian Wells e Montecarlo: in entrambi i casi il primo set è di Zverev, che non riesce però a chiudere e alla distanza sembra soffrire il maggior responso fisico del russo. E mentre il tedesco arranca e cerca contromisure, cerca di ristabilirsi, la cambiale da 720 punti del Roland Garros si avvicina.
Nostalgia parigina e amor di primavera
Più delle vittorie, più dei trionfi, la vera partita che probabilmente ha sancito il rientro a pieno titolo di Zverev al suo massimo livello è una sconfitta. Al Roland Garros arriva dopo la seconda semifinale stagionale, persa a Ginevra da una delle rivelazioni del 2023, Nicolas Jarry, che poi vincerà il torneo. Approda a Parigi come testa di serie n.22 (la più bassa in uno Slam per lui dall’Australian Open 2017, quando da n.24 trascinò al quinto set Nadal al terzo turno), nello spicchio di tabellone presidiato da Jannik Sinner. E il destino, che tanto gli aveva tolto 12 mesi prima, prova a restituire almeno in minima parte quello che si era preso.
L’azzurro esce di scena al secondo turno per mano di Altmaier, aprendo un tabellone che già era stato scoperchiato in maniera non proprio gentile da Thiago Seyboth Wild, giustiziere di Medvedev all’esordio. Zverev, in sordina, giunge ai quarti perdendo solo un set, contro Tiafoe al terzo turno, e batte nell’ordine Harris, Molcan, appunto l’americano e Dimitrov. Un cammino immacolato, il rovescio corre di nuovo, le sensazioni positive tornano ad affacciarsi su quel volto corrucciato incorniciato da riccioli biondi. Ai quarti si trova contro il grande battitore, terraiolo doc e sorpresa del torneo Tomas Etcheverry. Ma la grinta dell’argentino, e la voglia, non bastano a fermare il vento del destino, e il tedesco vince in quattro una bella partita, con dell’ottimo tennis, ma mai realmente in bilico. E così, un anno e sei giorni dopo, torna in semifinale al Roland Garros, dopo che già negli ottavi aveva accarezzato di nuovo lo Chatrier.
Dall’altra parte della rete colui che sarebbe potuto essere il suo avversario nella finale del 2022, caviglia permettendo, e cioè Casper Ruud. 6-3 6-4 6-0 a favore del norvegese reciterà il tabellone dell’incontro. Ma, per una volta, una sconfitta non fa così male, perché lascia presagire che finalmente qualcosa sia scattato, come se rivedere quel campo tre volte in cinque giorni, dagli ottavi in poi, abbia dato la spinta decisiva a Sasha per tornare ad essere Zverev. Prendiamo in prestito le parole del fratello Mischa: “Per Sasha tornare a giocare sullo stesso campo dell’infortunio è una soddisfazione”, per tracciare la seconda parte di stagione del tedesco, ex n.2 al mondo, che lo ha riportato dove gli spetta.
Casa dolce casa
Dopo una stagione sull’erba discreta, con la semifinale ad Halle e il terzo turno a Wimbledon in cui ha dovuto lasciar posto a Berrettini, per Zverev arriva uno dei momenti più attesi dell’anno: il torneo di Amburgo, la sua città natale, dove giocò la prima semifinale in tour a 17 anni, nel 2014. E, soprattutto, è anche il momento di vincere un titolo, che manca dalle ATP Finals 2021. E, si sa, l’aria di casa fa bene sempre a tutti. Certo, qualche buco nel tabellone, tra l’ascesa di Fils e un Djere che gioca un tennis straripante, si crea. Ma le occasioni bisogna sempre coglierle.
Zverev non se lo fa ripetere due volte e, senza perdere neanche un set, con la partita più lunga che è la finale con Djere (1h e 50), alza al cielo il ventesimo titolo della carriera, quinto in Germania dopo i due a Monaco (2017 e 2018) e a Colonia (le due settimane di fila nel 2020, periodo post Covid). “È un successo che sicuramente vale più di ogni altro, quasi come se fosse il primo. Ho mosso i miei primi passi tennistici in questa città, sono cresciuto qui: non riesco a spiegare a parole la mia felicità”, dichiarerà uno Zverev entusiasta dopo la vittoria, che lo proietta a n.9 della Race, quindi in piena corsa per le ATP Finals, obiettivo che solo un paio di mesi prima sarebbe sembrato pura utopia.
A rendere realizzabile il tutto contribuirà una trasferta americana di ottimo livello per Sasha, con i picchi della semifinale a Cincinnati, persa da Djokovic dopo aver eliminato Medvedev (chiaramente in tre set) sul suo cammino, e i quarti allo US Open, raggiunti dopo quasi 5 ore di battaglia contro Sinner. Sono un ulteriore passo verso la reale dimensione per Zverev. Al di là del piazzamento nel torneo tra gli ultimi otto, dove verrà nettamente sconfitto da Alcaraz, ciò che balza all’occhio è la ritrovata capacità di tenere un ritmo alto per un tempo così lungo, e di reggere fisicamente l’impatto con un giocatore più giovane, e in gran forma, come Sinner (che ha passato la partita a combattere con i crampi). Il quadro è quasi completo, mancano le ultime pennellate per rendere il 2023 un altro anno “alla Zverev”.
Frammenti d’autunno e ritorni insperati
Una finale a Shanghai, senza considerare l’oro alle Olimpiadi di Tokyo. Questo recitava il bottino di Zverev nelle trasferte asiatiche, almeno fino allo scorso ottobre, fino al torneo di Chengdu. Un ATP 250 come tanti, che ha però dato ulteriore linfa, e ulteriori punti, al tedesco per la sua rincorsa. Il titolo sul cemento mancava da Cincinnati 2021, e come allora, anche sul finire di settembre 2023 a capitolare sotto le badilate tedesche è stato un russo. In America toccò a Rublev, nella terra della Grande Muraglia alla promessa che inizia a farsi sentire Safiullin. Una finale di rara intensità, due tie-break e le tre ore mancate per un soffio, hanno finito per premiare Zverev, di nuovo stabile in top 10.
La trasferta cinese è un crescendo, culminata con la semifinale a Pechino, subendo ancora una volta la ragnatela di Medvedev. Ma ormai i giochi sono quasi conclusi, siamo vicini alla fine della storia, al sogno diventato realtà. Quarti di finale a Vienna, ottavi a Bercy, gli ultimi highlights di una stagione indoor non indimenticabile, introducono alle ATP Finals, dove Zverev si qualifica come settimo. Traguardo raggiunto, e riportiamo quanto detto da lui dopo la vittoria ad Amburgo: “Essere n.9 della race è fantastico, se riuscissi ad arrivare a Torino quest’anno sarebbe un traguardo incredibile, soprattutto dopo l’infortunio che ho avuto e dopo che nei primi mesi del 2023 non sono riuscito a giocare come avrei voluto. Sarebbe incredibile riuscire a rigiocare le Finals”.
Se aggiungiamo che alle Finals ha anche battuto Alcaraz ed è stato eliminato per una questione di mera matematica, terminando con due vittorie il round robin, le parole di cui sopra prendono ancora più significato. Fanno capire quanto un ragazzo di 25 anni sia stato a un passo dal baratro, sportivamente parlando, e abbia saputo reinventarsi e con tanto lavoro ritornare al suo livello, riavviare una carriera al top scongiurando il peggio. In termini di importanza personale, oltreché di risultati (comunque 55 vittorie e 2 titoli non sono proprio un infimo traguardo) il 2023 potrebbe essere paragonato al 2017. L’anno dell’esplosione, da 20enne che azzannò i top del circuito prendendosi di forza un posto, e l’anno della rinascita, da 26enne che ha saputo ripartire e riprendersi ciò che gli dei, gelosi, avevano provato a togliergli. Ma, come ci si chiedeva 6 anni fa di questi periodi, ora che succede?
Buoni propositi
Il rientro è andato a buon fine, Alexander Zverev ha chiuso l’anno al n.7 del mondo, come nel 2019, quando poi raggiunse durante l’anno successivo la prima finale Slam, e come nel 2020, a cui diede seguito con un grande 2021 che lo vide finire addirittura come n.3 della classifica mondiale. Appare chiaro come questi numeri lascino il tempo che trovano, anche perché, a questo punto, uno solo è l’obiettivo che Sasha dovrà seguire: un torneo del Grande Slam.
Eccezion fatta per Wimbledon, dove mai ha mostrato gli usuali picchi di rendimento, ha raggiunto almeno una volta la semifinale in tutti gli altri Slam. Il record, non proprio incoraggiante, è di 1-5, ma ha sempre vinto almeno un set, giocando match epici, e solo nell’ultima contro Ruud (escludendo chiaramente il giorno dell’infortunio contro Nadal) si è arreso senza colpo ferire. Il tempo appare maturo, l’esperienza accumulata ad alti livelli ormai è tra le più prestigiose del circuito e, per quanto non siano attualmente il problema fondamentale, gli anni passano. Ad aprile le primavere di Zverev saranno 27, e gli anni al top quasi 8. Al Roland Garros o allo US Open, non contando le possibilità nei Master 1000, dove ha sempre giocato benissimo, sarà difficile non vedere il tedesco tra i principali indiziati alla vittoria finale.
Ma non dimentichiamo che la prima semifinale Slam fu in Australia, contro Dominic Thiem, quando offrirono un raro spettacolo tennistico. Vuol dire tutto e niente. Ma il tedesco arriverà a Melbourne con niente da perdere, consapevole che rispetto a tutti i giovanotti terribili come Alcaraz, Sinner e Rune, o ai coetanei nell’eterno limbo come Medvedev, Tsitsipas e Rublev, sa cosa vuol dire andare ad un passo dal perdere tutto. E sa cosa vuol dire provarci da tanto, forse troppo, tempo più degli altri. Forse per questo, desidera quell’incoronazione più degli altri. Il tennis è avvisato: Sasha è tornato.