Bublik supera Rublev nella prima semifinale del Dubai Duty Free Championships nella maniera più inaspettata: il russo viene infatti squalificato per avere a parole aggredito e insultato un giudice di linea sul 6-5 nel terzo set.
Sasha si è avvicinato all’amico-rivale Andrey Rublev con espressione sinceramente attonita e ha espresso subito parole di solidarietà allo sconsolato russo che ancora una volta si era lasciato sopraffare da una crisi nervosa. Bublik per una volta non c’entrava nulla nella baruffa, nello scoppio d’ira che aveva portato il numero cinque del mondo a urlare a pochi centimetri dalla faccia di un malcapitato giudice di linea.
Il russo si era espresso nella sua lingua in epiteti che sono stati decodificati da un collega linesman e che hanno spinto il supervisor a espellere il favorito della vigilia. Al di là della gravità di quanto detto da Rublev, l’atteggiamento intimidatorio con cui il moscovita ha veicolato le parole va comunque censurato ed è pensabile che non possa non aver pesato nella decisione finale che ha penalizzato soprattutto il pubblico. Sia come sia, Alexander Bublik nelle dichiarazioni post-match conferma la vicinanza con l’amico e collega, lanciandosi in un’analisi dell’accaduto dove il suo essere realista si intreccia con una difesa corporativa che tiene però poco in conto la gravità della condotta di Andrey.
“Il tennis siamo noi”
“Ogni settimana” – dice Bublik – “ce ne rendiamo conto: questo tipo di problemi li abbiamo solo quando ci sono i giudici di linea. Noi non siamo pazzi, viviamo il tennis con passione; sogniamo sin da bambini di giocare partite come queste in grandi arene. Poi arriva un signore che fa il linesman da tre anni e decide lui; può esserci una chiamata in ritardo, capita, soprattutto sulla terra. Chi ha sbagliato, Andrey? Forse. Il giudice? Forse. Il punto è che possiamo togliere il giudice di linea, ma non Andrey. Il tennis c’è perché ci siamo noi. Avete mai provato” – prosegue il kazako – “a combattere per tre ore per il terzo o il quarto posto nella classifica? Di questo non si parla. Queste cose succedono, uno viene squalificato e poi i media parlano di un bad guy; è una cosa ridicola”.
Bublik termina parlando poi del caso in particolare: “Intanto la persona affrontata da Rublev non ha detto nulla. È stato un altro ragazzo a riferire le parole pronunciate da Andrey e questo va detto. Sicuramente bisogna controllarsi e certe cose non si dovrebbero fare, ma la gente non dovrebbe fare un sacco di cose…”.
Il mattacchione kazako si fa serio e difende un amico in difficoltà; nel farlo fa sentire che in fondo il coltello dalla parte del manico ce l’hanno i giocatori, che il pubblico viene ovviamente per loro e non per chi guarda per tre ore le linee del campo. La difesa della categoria è portata da un atleta adorato per il suo essere anticonformista al punto da buttare via scambi già vinti per provare colpi assurdi, ma che in questo caso ci sembra latore di un’arringa eccessivamente assolutoria e “pelosa”, volta a giustificare anche qualche escandescenza propria. Chissà se avrebbe utilizzato gli stessi argomenti uno come Edberg?
Il gentleman svedese non deve necessariamente essere considerato l’esempio perfetto in ogni situazione e il punto di vista del kazako è indiscutibile e assolutamente concreto, ma non emana simpatia chi si schiera dalla parte del più forte (il giocatore appunto) per giustificarne i comportamenti da energumeno (spiace definire in tal modo l’agito di un giocatore così amato e popolare per la passione e anche per quanto fa anche al di fuori del tennis).
“Queste cose succedono solo con i giudici di linea” e del resto viene difficile immaginare una scena come quella di oggi al cospetto di un robot; in definitiva ci si può aspettare che l’accaduto affretterà il completo passaggio, già da tempo in corso, alla tecnologia per le decisioni in merito a dove caschi la pallina. È certamente essenziale capire se il colpo ha oltrepassato la linea, ma una demarcazione dovrebbe rimanere parimenti nel modo di comportarsi, anche oltre la terza ora di gioco.