Mentre il BNP Paribas Open è nel pieno della seconda settimana di gare, nel deserto californiano, giungono ulteriori approfondimenti riguardo al caso antidoping di Simona Halep.
La tennista rumena era stata squalificata per quattro anni dal tribunale indipendente dell’ITF, tuttavia il ricorso della due volte campionessa Slam al TAS di Losanna, il Tribunale Arbitrale dello Sport, ha ribaltato completamente l’esito del processo riducendo la sospensione dalle competizioni inizialmente prevista a “soli” nove mesi. E siccome la pena era entrata in vigore a partire dal post US Open 2022, di fatto con questa nuova sentenza, risulta essere già stata scontata: per cui ora la 32enne di Costanza potrà ritornare immediatamente in campo, e lo farà prestissimo poiché James Blake le ha offerto una wild card per il WTA 1000 di Miami.
Nonostante la risoluzione della vicenda giudiziaria, però, alleggiano ancora numerose perplessità sullo sviluppo dell’intero processo. Innanzitutto, come mai l’ITIA – l’Agenzia per l’Integrità del Tennis – promuove prese di posizioni in materia di doping estremamente severe salvo poi vedere ogni volta tali sentenze costantemente rivalutate e modificate al ribasso, dunque con una riduzione della squalifica inflitta al tennista in questione (tanti i casi simili avvenuti nell’ultimo decennio: Cilic– sospensione ridotta, Troicki – sospensione ridotta -, Tara Moore – sospensione ribaltata -, Yastremska – sospensione ribaltata -, Haddad Maia – sospensione ridotta)? Nel caso specifico di Simona, addirittura dalla prima sentenza a firma ITIA che prevedeva 72 mesi di sospensione si è passati ai 9 mesi del TAS: cioè, si sta parlando di una riduzione temporale del 90% rispetto all’allontanamento dalle competizioni richiesto in un primo momento.
Per fare piena luce sul dietro le quinte burocratico e giudiziario in merito anche ad alcune passate questioni antidoping, Sports Illustrated ha contattato l’avvocato di Halep, Howard Jacobs, noto specialista legale in materia di antidoping che nel recente passato ha tutelato i diritti di Marion Jones, Diana Taurasi e Maria Sharapova.
Ecco di seguito la lunga conversazione tra il giornalista John Wertheim e Jacobs:
JW: Cosa è successo dal tuo punto di vista, come analizzeresti la vicenda. Quali aspetti ulteriori puoi aggiungere oltre quello che è già noto?
HJ: “Ho sempre pensato che il caso giudiziario basato sul passaporto biologico non avesse fondamenta solide. E riguardo al Roxadustat, normalmente in queste situazioni il soggetto sotto processo fornisce alle autorità antidoping le prove che testimonino la contaminazione o meno del prodotto ingerito, sia se si è in accordo con i termini della sanzione sia se si ritiene di dover controbattere alla sentenza rilasciata dal tribunale. Invece è veramente molto raro che un caso di antidoping abbia questo tipo di risoluzione. Non credo di essermi mai trovato in una situazione giudiziaria del genere. Vedere l’ITIA tentare fino alla fine di portare avanti l’accusa di assoluta negligenza, relativamente alla norme previste dal TADP e di conseguenza alla sua violazione da parte della mia assistita, è stato a dir poco strano ed inconsueto. Il caso è quindi divenuto estremamente spinoso, complicatissimo da dirimere. Non riesco nemmeno a immaginare quanti soldi abbiano speso per perseguire ostinatamente questa accusa rilevatasi infondata. Saranno stati almeno 2 milioni di dollari, poiché avevano a loro libro paga diversi esperti del settore e affermati legali“.
JW: Lavori in diversi ambiti sportivi, occupandoti di rappresentare moltissimi atleti differenti e spesso e volentieri in opposti contesti. Io mi chiedo perché nel tennis vediamo così tante sentenze pesantemente modificate in secondo appello verso una sostanziale riduzione della pena? Quale risposta ti sei dato?
HJ: “Questa è una bellissima domanda. Chiaramente è una questione che avevo sollevato io stesso già durante il ricorso al TAS nel caso Sharapova, ma non è mai realmente cambiato nulla in merito. Non so se sia dovuto alla composizione dei tribunali, che storicamente hanno sempre avuto un trattamento nei confronti del tennis eccessivamente duro, ma è abbastanza evidente che esista uno schema replicato con grande coerenza di riduzione delle sanzioni da parte del TAS nei casi antidoping riscontrati nel tennis, che provoca un ribaltamento praticamente totale di quanto invece emerge dalla prima sentenza emessa dai tribunali indipendenti dell’ITF. Mi sembra comunque banale sottolinearlo perché è sotto gli occhi di tutti. Ovviamente questo modus operandi non avviene pedissequamente proprio in tutti i casi, però nella maggior parte sì. Stiamo parlando, di gran lunga, di una percentuale decisamente elevata. Non saprei rivelare il perché di tutto ciò. Probabilmente avviene perché i tennisti, a differenza per esempio di altri sportivi olimpionici, possiedono le risorse economiche per potersi realmente difendere ad armi pari dall’accusa“.