Tutte le storie belle prima o poi finiscono. Solamente però, per dare l’occasione di farne sbocciare di nuove. Di migliori. La cosiddetta ‘ricerca di stimoli’ è il mantra di ogni tennista, il fiammifero che possiede il delicato compito di indirizzare la fiamma agonistica e tecnica verso la giusta direzione. O almeno, verso quella che pare la migliore. La storia di Lorenzo Sonego e Gipo Arbino è forse una delle più romantiche da questo punto di vista ma, anche questa come moltissime altre, è giunta al capolinea. Dopo la notizia a sorpresa del divorzio tra Novak Djokovic e Goran Ivanisevic, nella giornata di ieri, 28 marzo, è piombata un’altra news-bomba: il tennista torinese non lavorerà più con lo storico coach con cui ha trascorso tutta la sua giovinezza.
“Caro Gipo. Dopo quasi un ventennio di vita insieme sento di aver bisogno di nuovi stimoli per la seconda parte della mia carriera”. Queste le parole di Sonego nel post su Instagram con cui ha comunicato al pubblico tale scelta. Il torinese continua poi con: “Grazie di cuore per l’incredibile lavoro che hai fatto, per tutti i momenti condivisi insieme e per tutti i risultati ottenuti. Tu non sei solo un coach, sei come un padre, una delle persone più importanti della mia vita. Il nostro rapporto e la mia stima nei tuoi confronti continueranno per sempre. Ti voglio bene, Lori”.
Il legame di una vita, quello che ha permesso a un Sonego novello della racchetta di progredire nel tempo, come persona e come giocatore, sino a diventare quello che è oggi. Un tennista che può vantare di essersi seduto nella 21esima poltrona mondiale, con tre ottavi Slam in tasca, una triade di tornei vinti a livello ATP e una prestigiosissima Coppa Davis conquistata insieme alla nazionale azzurra di cui fa parte.
Traguardi raggiunti non certo da solo, ma sempre a fianco del fedele Gipo. Negli ultimi tempi però è sembrato a tutti di vedere un Sonego un po’ in stallo; sì sempre insidioso da sfidare ma a volte vittima delle sue stesse armi. Servizio e dritto devastanti anche se a volte ballerini e un rovescio non all’altezza degli altri colpi o, spesso, dell’avversario dall’altro lato della rete.
Testimoni sono le nove sconfitte del piemontese da inizio stagione con soli quattro successi. Brutti sorteggi certo, ma non si può comunque aggrapparsi a una svista della dea bendata. Tempo quindi di aria fresca in casa Sonego, senza però dimenticare l’uomo che, per passione e fiducia nelle sue capacità, lo ha accompagnato sino a dove è ora. Gian Piero Arbino, detto ‘Gipo’: un allenatore competente, comprensivo, ma ancor prima un uomo con alle spalle una storia cinematografica. Da raccontare.
Gipo Arbino e l’approccio (confuso) a questo strano sport chiamato tennis
Gian Piero Arbino nasce il 5 marzo 1955. Sua madre era casalinga, suo padre impiegato alla Fiat. Le sue prime occasioni di vedere del tennis sono nel periodo dell’infanzia, quando andava con la famiglia a Imperia per le vacanze. Lì, sul lungo mare, dei signori giocavano e Gipo, di certo non chiamato così da sua madre che detestava questo suo soprannome, li guardava con ammirazione. “Erano 15 pari e tre punti dopo 2-2. Che sport strano pensavo. Ero piccolo, ma ricordo che quello sport mi attraeva, mi catturava”. Poi, molto tempo dopo, la prima opportunità per mettere per le mani in pasta, a diciott’anni. Con Barbara, un’amica che prendeva lezioni di tennis. “Giocammo per strada io e lei, in un viale. La colpivo la palla”.
L’occasione d’oro arriva quando il prete di Rivalba – cittadina a pochi passi da Torino – decide di costruire un campo da tennis in terra battuta. Ci si poteva giocare, bastava avere le scarpe adatte. “Comprai la mia prima racchetta al supermercato, una Aeroplane (azienda cinese, ndr). Una mattina a Rivalba uno di quelli bravi mi chiese di palleggiare per non perdere l’ora, dato che quello con cui doveva giocare non era arrivato. Lo presi a pallate. Nei giorni successivi andai al circolo di San Mauro per tesserarmi”.
Punto di svolta: il tennis può persino diventare un lavoro
Rambo Arbino, così lo chiamavano, arriva con il passare degli anni sino alla seconda categoria, classificato al massimo B4 per amor di precisione. Ma il lavoro alla Vagnone&Boeri Abrasivi con il diploma da geometra, la famiglia e la paternità lo spingono sempre di più verso la deriva tennistica di giocatore. “Ero assunto a tempo indeterminato, era un’azienda solida ed ero anche bravo”. Un giorno nel 1977, però, l’opportunità della vita gli si presenta davanti. “Lessi in una rivista che vicino a me organizzavano un corso per diventare istruttore di tennis”. La gente in quel periodo voleva provare lo sport della racchetta. In quegli anni Adriano Panatta faceva scintille.
“Pagai 8000 lire per quella lezione e venni scelto, insieme ad altri dodici, tra cinquanta persone totali. Non ero stato il più bravo mi avevano detto, ma avevo dato tutto”. Gipo quindi decide di licenziarsi per andare a insegnare il suo amato sport nel circolo in un cui giocava la Coppa Italia, ovvero il Lido Royal di corso Moncalieri. “Mi diedero tutti del matto: la mia famiglia, mia moglie. Alla fine, ho lavorato lì per sette anni, si guadagnava”. Nel 1986, però, un incendio in una discoteca lì vicino danneggia irreversibilmente anche i campi da tennis e Gipo si trasferisce così al Green Park di Rivoli. “Lì ebbi carta bianca e creai la mia squadra”.
Parentesi canora insospettabile
“Avevo dodici/tredici anni e un giorno ero in macchina con mio padre. Mi misi a cantare e lui rimase stupito dalla mia voce”. Da lì in poi Arbino si dedica ogni tanto al canto e a 21 anni viene preso per il Conservatorio a Milano dopo aver fatto una selezione alla Scala. Ma doversi trasferire nel capoluogo lombardo era troppo per lui. “Adesso canto qui al circolo, durante le feste”, anche se un po’ il rimpianto c’è per non aver colto quell’opportunità. “Però mi è servito. Così ora posso insegnare agli altri di ascoltare quello che hanno dentro”.
Il tiepido incontro con Lorenzo Sonego
Nel 2006 a Gipo viene portato un ragazzino di 11 anni, tale Lorenzo Sonego, che aveva svolto qualche lezione e gli avevano detto che era molto portato. “Il maestro Paolo Bonaiti mi informò delle potenzialità del ragazzo ma, onestamente, quando lo vidi non mi impressionò più di tanto. Era magro, faticava a reggere la racchetta”. Però ‘Lollo’ aveva una grinta stupefacente, si muoveva benissimo e a quell’età era molto considerato nel Torino calcio. Ma molla il pallone perché iniziava a notare problemi con i contrasti a causa del fisico. Per molto tempo Lorenzo rimane uno dei tanti al circolo sino a che Gipo, dopo diverso tempo in altri ambienti, torna al Green Park per assistere con più frequenza lui e altri ragazzi.
Anche se Sonego non vince tornei giovanili e figura pure come riserva nella Coppa delle regioni, riesce a fare delle cose incredibili in campo. Gioca con regolarità e batte gente più forte di lui. Con quello stile diventa persino 2.3 sotto gli occhi attenti di Gipo. “Con quel tipo di tennis però non poteva fare più di così. Quindi, dato che aveva anche messo su peso, gli dissi che doveva spingere di più con le sue armi principali, il servizio e il dritto”. All’inizio Lorenzo non ne vuole sapere di questo stile di gioco; poi, con il tempo, inizia a metterlo in pratica.
Mano nella mano verso la maturazione e i tornei professionistici
Sempre attento alle parole di colui che lo stava formando, Sonego inizia ad allenarsi con più concentrazione, sia in campo che durante la preparazione atletica. Non brilla nei primi tornei futures, ma durante un ritiro a Tirrenia con altri giocatori fa vedere di che pasta è fatto e, seppur con i suoi difetti di fabbrica tra cui il rovescio e la risposta, li sconfigge tutti quanti, uno dopo l’altro. Arrivano quindi i primi aiuti economici dalla FIT e Sonego, accompagnato da Gipo, inizia piano piano a trovare la sua strada nel mondo dei grandi.
“Ho speso tempo, soldi e ho fatto tante rinunce” – racconta Arbino – “sono un esagerato: alcuni rapporti li ho incrinati perché, se devo seguire un ragazzo, rinuncio anche a weekend, vacanze”. Tutto questo per passione, per una scelta che viene dal cuore. Certo però che “fare il nonno manca”.
Dai tornei ITF a quelli Challenger. Fino al debutto Slam nel 2018, in Australia, dopo essersi qualificato. In un match fuori di testa Sonego la spunta in quattro set su Robin Haase, numero 43 del ranking in quel momento, dopo essersi fatto recuperare da 6-1 nel tie-break del terzo. Leggenda narra che negli spogliatoi c’erano due di quelli bravi, Roger Federer e Rafael Nadal, che facevano il tipo per lui in mutande negli ultimi giochi.
A differenza di Gipo, il tennista torinese “non sente la pressione. Quando eravamo a Wimbledon per la prima volta Lorenzo si allenò con Tsitsipas, che era entrato in campo con tutta la sua numerosa squadra. Di là dalla rete c’eravamo solo io e Sonego. Sarei stato tremolante io; lui, invece, ha giocato due set lottati e poi ha vinto due tie-break”. Chiaramente, piccolezze che non valgono niente, ma qualcosa vorranno pur dire.
Sonego spicca il volo: le nuvole non sono poi così difficili da sfiorare
I due continuano a planare per il circuito migliorando settimana dopo settimana e Gipo è pure ‘costretto’ a imparare l’inglese. Piano piano, tanto lui le nozioni le assorbe. Come, d’altronde, fa con il tennis da quando è bambino. Girando per i campi di allenamento prendendo appunti, Arbino nota negli anni che i migliori tennisti al mondo non svolgono esercizi impossibili; conta l’approccio e la concentrazione che mettono in quello che fanno. E, infatti, è proprio questo quello che insegna l’allenatore piemontese ai suoi allievi, con le massime che negli anni ha elaborato girando il mondo con un professionista come Lorenzo, da lui impostato con il rovescio bimane perché con quello a una mano, nonostante lo giocava bene, non aveva spinta da ragazzino. Ma ‘Sonny’ si è fidato di Gipo, come ha sempre fatto da quando era un ‘rematore’ incallito.
Fondamentali poi i consigli di Umberto Rianna, tecnico della nazionale che, dall’alto della sua competenza ed esperienza, aiuta il team Sonego anche per questioni di programmazione. Con un certo distacco, mentre Gipo si è sempre comportato un po’ come un padre.
Il resto è storia. Nel 2018 Lorenzo accede nella top 100, l’anno dopo dimezza entrando tra i primi 50 al mondo, vincendo il primo torneo ATP ad Antalya in Turchia, e raggiunge persino i quarti a Montecarlo. Nei due anni successivi la parabola ascendente del torinese continua a perfezionarsi: ottavi al Roland Garros, finale nel 500 di Vienna dopo aver umiliato Novak Djokovic, secondo alloro 250 a Cagliari, semifinale agli Internazionali d’Italia e migliori 16 a Wimbledon con tanto di best ranking al numero 21.
Lorenzo perde quota: serve un nuovo velivolo
Da lì in poi ancora buoni risultati ma, purtroppo, sempre più rarefatti per il torinese. Esempi sono il terzo titolo ATP a Metz, un altro ottavo al Roland Garros e ottime prove in Coppa Davis, sino al culmine dello scorso novembre con l’Insalatiera riportata in Italia dopo 47 anni insieme alla nazionale. Lorenzo, però, viaggia da ormai troppi mesi tra la 40esima e la 60esima posizione mondiale, con qualche acuto di prestazione che però rimane confinato tra le mura di quel determinato torneo.
E si ritorna quindi ai cosiddetti ‘nuovi stimoli’ di cui lui sente di aver bisogno per la seconda parte della carriera, a seguito di un’ottima prima stagione che però dà l’impressione di poter essere seguita da una ancora più avvincente considerando le sue potenzialità. Lorenzo, in ogni caso uno che nessuno vuole dal proprio lato del tabellone. La cosiddetta ‘mina vagante’. Ora vuole rimettersi in gioco (tra gli obiettivi imminenti la qualificazione per le Olimpiadi da cui attualmente sarebbe fuori): è energico, voglioso di nuovi successi, ed è disposto a mettersi sotto con il lavoro. D’altronde, con uno come Gipo, non può non aver sviluppato le più sane abitudini da atleta. Il rapporto lavorativo tra i due è giunto al termine, sì, ma quello che hanno costruito in quasi vent’anni assieme è e resterà per sempre. Un coach e un allievo, elevati alla massima potenza. Il tennis.
Dichiarazioni di Gipo dopo la separazione con Sonego
“Con Lorenzo in 18 anni di collaborazione abbiamo raggiunto tanti risultati straordinari, frutto di un lavoro incredibile fin da quando lui aveva 11 anni. Crescere un giocatore da quando era un bambino della SAT, che non ha mai fatto attività internazionale da junior, e portarlo poi a sconfiggere Djokovic, il recordman degli Slam, è stato un qualcosa di molto raro e quasi unico nella storia del tennis. Negli ultimi mesi abbiamo lavorato molto sulla parte tecnica perfezionando ancora alcuni colpi e alzando ulteriormente il livello. Ora lui sta cercando di ritrovare le migliori sensazioni: da qui la decisione di iniziare un nuovo percorso per trovare nuovi stimoli. Ho fatto il mio massimo e sarò sempre a sua disposizione a livello umano, ma ora siamo intenzionati a voltare pagina”.
“Sono sempre stato per natura molto ambizioso e ora, al di là del mio ruolo di supervisore al Circolo della Stampa Sporting di cui vado orgoglioso, sono fiducioso di poter iniziare un nuovo progetto con un altro giocatore per raggiungere traguardi altrettanto straordinari come quelli ottenuti insieme a Lorenzo. Mi sento pieno di energie e, oltre all’esperienza, ho il giusto entusiasmo per iniziare nuove sfide. In questi 45 anni di carriera come coach e 11 anni di operatività nel circuito ATP mi sono confrontato quotidianamente con i migliori tecnici, con i più forti giocatori del mondo e con molti addetti del settore. Grazie a questo lavoro di aggiornamento continuo ora mi sento ancora più preparato e motivato per portare un tennista a giocare ai massimi livelli di questo sport”.
“Faccio ancora un grosso in bocca al lupo a Lorenzo per la sua carriera e per l’avvio della stagione su terra. Sono certo che il lavoro che abbiamo svolto anche negli ultimi mesi porterà presto i risultati che lui si merita!”