Traduzione dell’intervista a Garbine Muguruza di Alejandro Condina, pubblicata su El Pais il 20 marzo 2024
A 30 anni Garbiñe Muguruza, spagnola nata a Caracas, ha annunciato ufficialmente il proprio ritiro cui mancava solo la formalizzazione, visto che non giocava una partita ufficiale da oltre un anno (7 febbraio 2023 ad Abu Dhabi) e in un’intervista concessa ad Alejandro Ciriza del País ha affidato un primo bilancio della sua carriera, presentandosi con un vestito a fiori: «Sono primaverile, eh? Non mi sarei presentata vestita di nero, questo non è un funerale».
D. Ex tennista…
R. Già ex? Cominciamo subito, non ci posso credere! Mi ritiro a 30 anni e forse risulta strano, però è stata una decisione progressiva. Da quando ho partecipato al torneo di Abu Dhabi non ho più giocato. Qualche amichevole, sì, ma niente di serio. Ho ricevuto molti segnali che era l’ora di smettere, soprattutto perché quando mi sono allontanata dai campi da tennis mi ha fatto bene.
Liberata?
Sì, e anche sollevata dalle aspettative, dai sacrifici… semplicemente voglio fare altro.
Segue la strada opposta alla maggioranza dei tennisti, che cercano di spremere il limone fino alla fine.
Ognuno ha i propri tempi. È molto importante sapere quando cambiare strada. Anch’io ho questa sensazione, caspita!, che sono giovane e magari potrei tenere duro, ma bisogna sapere quando è ora di andarsene. La vita comincia! Non è un funerale! Bisogna festeggiare la mia carriera, perché se da piccola mi avessi detto che avrei raggiunto così tanti risultati avrei firmato immediatamente; mi voglio portare dietro questo.
E che cosa dice a quanti pensano e le rimproverano financo che avrebbe potuto vincere di più?
E di meno, che storie! Certo che avrei potuto ottenere di più e mi rimane il rimpianto di non aver giocato bene almeno una volta a Madrid, di non aver vinto gli Australian Open, dove sono arrivata a un passo dalla vittoria, e di molte altre cose, ma alla fin fine tutto succede per un motivo e io sono soddisfatta.
Non ne poteva più?
Quando ho smesso di giocare è vero che ero un po’ stremata mentalmente del tipo “ragazzi, andiamo a casa, mi devo riposare, le cose non vanno lisce”. E aggiungo: prima di tutto ha influito anche il covid, perché quando non ho giocato durante quella pausa di sei mesi ho pensato: ‘ehi, non è così male questo’. Così ho perso il timore di prendermi una periodo di riposo e quando l’ho fatto non mi mancava la competizione, per cui è stato come this is it. È stata una risposta naturale, non mi sono svegliata un giorno all’improvviso. Ero stanca, con molta usura mentale e fisica, perché ho anche tanti problemi fisici. La disciplina che devi seguire per tenerti al massimo è insostenibile.
Ritiene che in qualche modo la gente non sia stata del tutto equa con lei? Si sente incompresa?
No, per nulla. Incompresa no, il fatto è che la gente di fuori [del tennis] ha una vita molto diversa e da lì è molto complicato mettersi nei panni dell’altro. Non mi sono sentita incompresa, solo che le aspettative nei miei confronti sono state grandi e questo in un certo modo mi piace, perché la gente credeva che fossi capace di fare di più. Tutti sappiamo che bisogna avere la pelle spessa di fronte alle opinioni e sopportare, resistere sempre.
Resistere, un verbo significativo.
È d’impatto, sì. Mi viene in inglese: resilience [resilienza]. Quando arrivano questi momenti duri bisogna resistere per andare avanti. Capita nel tennis, ma anche nella vita di chiunque.
Sente di aver tenuto il timone come ha voluto?
Sì, credo di sì. Una si adatta alle situazioni, ma lascio contenta. Ce l’ho fatta.
E continua a rifiutare le idee di regolarità e costanza?
(Ciriza fa riferimento a una vecchia intervista con Muguruza in cui lei aveva respinto questi concetti come estranei a lei, n.d.t.)
No! Certo, la parola costanza doveva venir fuori… [risate]. Ogni intervista è diversa. Il mio tennis non è mai stato costante, ma almeno ho ottenuto grandi vittorie e grandi successi, e io preferisco così. Preferisco essere una giocatrice da finali e Grandi Slam che da quarti di finale in molti tornei, se devo essere sincera. Il mio gioco era così, ma anche la mia personalità lo è: sono esplosiva, allegra. E quando è no, è no, però attenzione, ha dato i suoi frutti.
Alla luce della sua traiettoria e di quello che ha espresso sempre, è stata molto coerente. La vede così?
Sono stata me stessa. Potevo essere più regolare? Perfetto. L’esempio di Nadal? Incomparabile, non me lo citi neppure perché non è normale; è normale avere alti e bassi, vincere, perdere. Quel modello è impossibile, noialtri siamo normali. Lo possono fare solo lui e altri due.
E Serena, non lo dimentichi.
E lei, vero. Quanti Slam ha 22 o 23? Beh, abbiamo un buon testa a testa [3-3] e mi fermo qui [risate]. Credo di essere stata una giocatrice con determinazione e coraggio.
A suo tempo diceva che in campo bisogna essere un pochino attrici. Qualche volta ci è riuscita, ma per lo più era un libro aperto, no?
C’erano giorni che ti trattenevi e dicevi dentro di te: ‘Dai, Garbiñe, non gesticolare, non far vedere che sei arrabbiata o altro’. Però alcune volte la gara prende il sopravvento. Alla fin fine questo è uno sport individuale e sei da sola contro il tuo avversario, con te stessa e con il mondo intero; allora si vede. A volte ce l’ho fatta, però quando non è stato così… lo avete visto.
Che impronta tennistica lascia?
Credo di essere stata una giocatrice con molta determinazione nei momenti importanti. Dirò solo cose positive, eh! Credo di aver avuto questa determinazione e di essere stata anche talentuosa e coraggiosa. Queste tre cose sono state il mio forte; il mio debole non lo dico [risate].
Sentiva di essere anche potente? Il suo gioco lo suggeriva. E inarrestabile con il vento a favore.
Sì, il mio tennis era potente, a tratti intimidiva. Nei momenti sì, potevo avere davanti chiunque e io sapevo che zac! Ma non era così facile vivere quei momenti.
Le resta qualche rimpianto?
La finale agli Australian Open [nel 2020, sconfitta da Sophia Kenin] fu durissima. Ci penso ancora e quando vedo qualche video, non posso nemmeno guardare. In definitiva però quello che mi è toccato, mi è toccato e, al di là di qualche torneo che non ho potuto vincere, non lascio nulla in sospeso.
Ha sempre detto che aveva altri interessi al di là del tennis e della professione. Erano una via di fuga?
All’inizio ero come una bestia da soma, gli mettono i paraocchi e vede solo quello che c’è davanti, ma con il passare del tempo sai quando dare la priorità, quando essere più o meno concentrata. Ho sempre colto le occasioni che mi ha offerto il tennis, ma perché non fare qualcosa con la moda o con la tele se arrivano dal tennis?
Che ha provato il primo giorno in cui non doveva andare ad allenarsi?
Un po’ di senso di colpa, come quando salti la dieta, sei sempre stata ligia e poi all’improvviso… hamburger! Ma poi ti abitui. Ho accolto il riposo a braccia aperte; avevo bisogno di stare in casa con i miei, con la calma. Questo è tutto ciò che non ti dà il tennis, quindi è stato come un balsamo, una cura.
Ha un progetto concreto? Che farà?
Sono aperta a tante cose, sia nello sport sia fuori, ma ancora è presto. Adesso quello che voglio è non fare niente, riposare e godermi la vita. Sono una persona attiva, quindi mi vedrete in giro. Lo prendevo tutto sul serio: vita o morte; adesso vivo a un ritmo diverso. La vita che conducevo prima non era del tutto normale.
Ma per esempio, che farà dopo l’intervista o domani quando si sveglierà?
Non ne ho idea, davvero, so solo che andrò a bere qualcosa, ma solo qualcosina. Non bevo mai!
Qualche tequila, magari. Per lo meno dopo Guadalajara.
Vabbè, ogni tanto un margarita a cena. Ma no, bevo poco. Mi sento strana, perché ora è come: now what? Quindi, con calma, devo solo vivere il momento.
È consapevole che adesso è già storia?
Mi ha appena dato il benvenuto al club delle ritirate? L’ho già detto: sono felice della mia carriera e credo che sia arrivato il momento giusto: 30 anni è l’età perfetta.
Soddisfatta quindi.
Sì! Basta. Finito [in italiano], new life now.
Traduzione di Alessandro Condina