– Il Roland Garros di Jasmine Paolini e Mirra Andreeva
Sarebbe però ingiusto liquidare il torneo di Jasmine Paolini parlando solo della finale, perché prima ci sono stati altri sei turni degni di nota, che uniti alla finale di doppio raggiunta insieme a Sara Errani, ne hanno fatto la maggiore sorpresa di questo Slam. Prima di andare a infrangersi contro la “ingiocabile” Swiatek, Paolini era stata capace di sconfiggere avversarie dalle caratteristiche differenti. Da testa di serie, dopo due turni non impossibili (Saville e Baptiste), al terzo turno ha eliminato una giocatrice pericolosa e creativa, anche se oggi discontinua, come Andreescu (6-1, 3-6, 6-0).
Al quarto turno contro Avanesjan ha saputo aggiustare in corsa la situazione, dimostrando duttilità strategica. Inizialmente ha sofferto, perdendo il primo set 4-6, nel tentativo di chiudere rapidamente lo scambio contro una giocatrice che ama appoggiarsi alla palla avversaria per addormentare il gioco, spesso attraverso mezzi-lob (impostazione davvero old style). Sotto di un set, Jasmine ha capito che ci voleva più pazienza. Ha cominciato a manovrare con pochi rischi, aspettando la palla giusta da spingere per cogliere fuori posizione una giocatrice non molto rapida negli spostamenti. E tutto è filato liscio: 6-0, 6-1 in completo controllo.
E così si è guadagnata il quarto di finale contro la testa di serie numero 4 Elena Rybakina. Sulla carta Paolini era sfavorita. Sul campo però le cose sono andate diversamente: Elena ha cominciato tesa e fallosa, con le gambe che non giravano, ancor più se in confronto a Jasmine, rapida e pimpante come una molla. Vinto il primo set 6-2, Paolini si è spinta sino al 4-3 e servizio nel secondo set, prima di subire il ritorno di Rybakina.
Tutto si è concluso al set decisivo (6-2, 4-6, 6-4), nel quale di nuovo la maggiore solidità di Paolini ha prevalso sui troppi gratuiti della avversaria. Probabilmente la tensione da Slam ha pesato sul rendimento di Elena: -13 il saldo vincenti/errori non forzati (35/48). Ma già qualche settimana fa a Stoccarda si era capito che Jasmine è una avversaria complicata per Elena: in Germania Rybakina era sì riuscita a vincere, ma solo al terzo set (6-3, 5-7, 6-3).
Insomma, nella parte bassa di tabellone tutto sembrava indirizzare verso la semifinale Sabalenka/Rybakina, e invece, complice anche la non perfetta salute di Sabalenka, è andata in scena la combinazione meno attesa: Paolini contro Andreeva.
Entrambe hanno segnato traguardi “storici”: Paolini è diventata la terza giocatrice italiana capace di raggiungere la finale degli Open di Francia (dopo Schiavone nel 2010, 2011 ed Errani nel 2012). Mirra Andreeva è diventata la più giovane semifinalista a Parigi dai tempi della sedicenne Martina Hingis (1997). Si ipotizzava che Andreeva potesse fare bene ad alti livelli, ma che potesse raggiungere così presto addirittura una semifinale Slam era tutt’altro che scontato (ne avevo parlato in questo articolo a cui rimando per considerazioni più approfondite).
A diciassette anni compiuti da pochi giorni (è nata il 29 aprile 2007), Mirra ha prevalso in partite non semplici come quella al terzo turno contro Azarenka (6-3, 3-6, 7-5) o al quarto turno contro Varvara Gracheva (7-5, 6-2), ultima francese rimasta in gara e quindi con tutto l’appoggio del pubblico a sostenerla. Come Andreeva ha dichiarato a caldo, nell’intervista in campo, per affrontare la situazione ambientale contraria ha assunto un atteggiamento alla Djokovic: ha provato a immaginare che il sostegno degli spettatori francesi fosse in realtà indirizzato a lei…
Infine nei quarti di finale Mirra è stata brava a non farsi distrarre dagli eventi, visto che si è trovata di fronte una Sabalenka con problemi fisici che giocava a fiammate, in modo discontinuo e imprevedibile (6-7(5), 6-4, 6-4). Non è mai semplice affrontare una avversaria in condizioni fisiche imperfette, perché sulla partita finisce sempre per aleggiare un clima insolito, in cui la concentrazione è messa a dura prova da fattori extra tecnici. E sappiamo quanto il tennis sia uno sport mentale.
E così, dopo avere eliminato le due più forti giocatrici bielorusse (Azarenka e Sabalenka), Andreeva si è trovata di fronte a Paolini in una situazione di incerta valutazione. Sul piano del ranking era sfavorita (Paolini 15, Andreeva 38), ma il fresco precedente di Madrid 2024, nel quale aveva vinto per 7-6(2), 6-4, spostava forse la bilancia a suo favore.
La mia impressione è che Mirra abbia affrontato la semifinale con troppe aspettative. Di solito la forza delle teenager è quella di poter competere con leggerezza, senza l’obbligo di fare risultato. In questo caso l’inatteso peso della responsabilità si è rivelato un macigno, troppo gravoso per lei. E così contro Jasmine è scesa in campo una giocatrice molto più fallosa del solito, anche dalla parte del rovescio; e ha finito per chiudere il match con un saldo vincenti/errori non forzati molto negativo, a -18 (11/29).
D’altra parte Paolini è stata molto lucida a condurre un match nel quale ha regalato pochissimo e vinto tutti i punti importanti (palle break salvate 6 su 6, quelle convertite 4 su 6). E’ vero che sia nei quarti che in semifinale le avversarie di Paolini hanno chiuso con saldi negativi, ma per parte sua Jasmine ha sempre dimostrato solidità chiudendo a saldo zero contro Rybakina (22/22) e a +4 contro Andreeva (14/10).
In fondo a Paolini è mancata la ciliegina sulla torta della vittoria in doppio (molto più alla portata del singolare), ma ha comunque lasciato il segno sulle due settimane parigine grazie alla brillantezza agonistica e alla capacità di ovviare ai limiti di statura con la grinta e la velocità. Personalmente c’è un aspetto del suo tennis che mi lascia particolarmente ammirato: la capacità di gestire le palle a rimbalzo molto alto senza andare in difficoltà. Ecco, vederla spingere con il dritto parabole che le rimbalzano sopra la spalla è veramente uno spettacolo, e una dote di pochissime. A 28 anni, con la vittoria nel WTA 1000 di Dubai, la finale Slam e l’ingresso in Top 10, ha davvero aperto una nuova fase di carriera.