1. Dilettantismo e professionismo: il tennis viene bandito dai Giochi; le medaglie “dimostrative” di Pietrangeli, Reggi e Canè; le “lost generation” (1928-1984)
64 anni: tanti intercorrono fra l’ultimo punto di Parigi 24 e il primo di Seul 88. Tanti ha impiegato il Comitato Olimpico Internazionale a deliberare per la reintroduzione del tennis nel panorama degli sport olimpici. Il motivo per cui ciò accade non riguarda solo i Giochi, ma è un tema dibattuto anche all’interno dello stesso mondo del tennis. Si tratta dell’eterna lotta fra professionisti e dilettanti. Secondo le direttive di De Coubertin e secondo lo spirito dei Giochi, qualunque atleta volesse partecipare all’evento non avrebbe dovuto nutrire sostentamento economico dall’attività sportiva cui si dedicava. Una linea rossa invalicabile. Essa era stata ossequiosamente rispettata di sua sponte anche dal tennis fino, appunto, alla metà degli anni Venti. Di questo periodo, come abbiamo già accennato, rimane impressa l’immagine indelebile della Divina Suzanne Lenglen. Ma tra gli uomini? Nessuno poteva reggere il confronto con William Tatem “Bill” Tilden. Tanto che ad un certo momento egli non fu solo il più grande e celebrato tennista dei suoi tempi, ma addirittura la star sportiva più acclamata del globo, più di Babe Ruth, più di Red Grange, più di Bobby Jones e Jack Dempsey. Omosessuale, rivoluzionò per sempre l’immagine del tennis, rendendolo, per la prima volta, uno sport aperto anche a chi non proveniva dai circoli più altolocati. Ebbene, Bill Tilden fu il primo, nel 1926, a passare al tennis professionistico. Fu presto seguito da Lenglen. Un’altra rivoluzione: nacque una spaccatura che durò più di quarant’anni, e che, fra gli altri effetti, interdì la partecipazione ai tornei dello Slam a molti grandi che non potevano permettersi di vivere senza guadagnare dal tennis. Fu soltanto con la riconciliazione (l’inizio della cosiddetta “era Open”, nel 1968”) che i più forti poterono tornare a disputare i tornei più importanti.
Al di là di queste cose sapute, la diatriba si inasprì in maniera definitiva alle Olimpiadi. Ci fu un solo strappo alla regola. Città del Messico, 1968: si disputano due tornei non ufficiali nei pressi di Gaudalajara, uno “dimostrativo” e uno “d’esibizione”. Nel primo trionfa Manuel Santana, in una finale tutta spagnola contro il dimenticato ma eccezionale Manuel Orantes. Proprio Orantes aveva eliminato ai quarti di finale Nicola Pietrangeli.
Pietrangeli fa pienamente parte di quelle generazioni che, olimpicamente parlando, sono “lost”, perdute: da Perry, Budge, Sedgman, Gonzales, Hoad, Rosewall, Laver e Newcombe a Connors, Borg, McEnroe, Lendl ma anche Maria Ester Bueno, Margareth Court, Billie Jean King, Chris Evert, Martina Navratilova. E’ uno dei frutti delle lotte intestine che hanno segnato la storia di questo sport. Pietrangeli, comunque, seppe rifarsi nel secondo torneo d’esibizione di Guadalajara, conquistando la medaglia di bronzo a parimerito col sovietico Vlamidir Korotkov. Fra le donne, Jane Bartkowicz fu l’assoluta protagonista degli eventi, riuscendo a conquistare, in tutto, ben sei podi.
Medaglie che tuttavia rimarranno per sempre non conteggiate, così come i due bronzi ottenuti da Paolo Canè e Raffaella Reggi a Los Angeles, nel 1984, in un’altra edizione “dimostrativa”. La si dovrà chiamare sfortuna: su due edizioni “non ufficiali”, gli italiani hanno portato a casa tre medaglie, e sono rimasti invece a secco nelle successive nove edizioni “ufficiali”. Quest’edizione, tuttavia, a differenza di quella del ’68, era destinata a non rimanere un unicum: con la partecipazione dei professionisti con età non superiore ai 20 anni, iniziava un processo che avrebbe portato alla reintroduzione del tennis ai Giochi a partire dall’edizione successiva. A Los Angeles, l’oro fu vinto da Steffi Graf – per la prima e non ultima volta – e da un giovanissimo Stefan Edberg. Fra i nomi che si devono accontentare del bronzo, tuttavia, spiccano i due italiani. Raffaella ottenne la medaglia raggiungendo la semifinale, dove fu sconfitta dalla futura campionessa; Secondo Canè, invece, il suo successo non trova lo spazio che merita nella memoria sportiva: “Ho fatto la storia in Italia e nessuno lo riconosce – ha dichiarato a Fanpage. Quelle Olimpiadi hanno ancora più valore perché erano dimostrative, non ufficiali. Valgono di più. Fui ricevuto da Pertini al Quirinale con tutta la squadra. E gli strinsi la mano.”
2. Campioni e underdog: il golden slam di Graf; Agassi, Rosset e Jennifer Capriati; i quarti di Reggi e quel Gaudenzi-Agassi
Secondo un conteggio che Ubitennis ha operato in occasione delle ultime Olimpiadi, quelle disputate a Tokyo nel 2021 (link) le tre edizioni col ranking medio più alto dei giocatori che hanno partecipato al torneo olimpico a partire dal 1988 sono state, in ordine decrescente, Londra 2012 (per distacco, 3 e 75), Pechino 2008 (7) e Seul 1988 (10). Negli ultimi 36 anni, la storia recente del torneo olimpico è stata, in una parola, altalenante. Fra le decisioni prese, quella di introdurre i due set su tre e di lasciare soltanto la finale al meglio dei 5 (come in un vecchio Master 1000, ma con Tokyo anche quest’ultimo residuo del passato è stato abolito); i punti ATP assegnati a Pechino e Londra sono stati uno sprone importante per i giocatori, e non a caso sono state quelle le edizioni più quotate.
Terza in questa speciale classifica, tuttavia, è proprio l’edizione nuovamente inaugurale, quella di Seul 1988. “Ricordo che abbracciai Panatta e Cecchini, poi fui prelevata e messa in un camerino due per uno per un controllo antidoping, il primo e l’ultimo della mia carriera. Ero ancora in abiti da campo, chiesi di cambiarmi almeno la maglia e fui seguita da cinque persone per paura di qualche escamotage. Dopo tre ore e mezza riuscii a tornare al villaggio olimpico”, ricorda Raffaella Reggi, reduce dal clamoroso successo in ottavi contro Chris Evert. E poi: “Per schivare un gavettone nei festeggiamenti dell’oro dei fratelli Abbagnale scivolai facendomi male; Persi contro la mia bestia nera Maleeva ma chissà come sarebbe finita, mi sentivo bene e forse potevo giocarmela per un’altra medaglia.” Sfumò così la seconda e ultima opportunità di podio per Reggi, quella più importante. Il 1988 fu però l’anno di Steffi Graf: arrivava alle Olimpiadi avendo già completato il Grande Slam (quell’edizione fu disputata dopo lo US Open). Vinse nettamente contro Gabriela Sabatini: il “golden slam” rimane un’impresa ineguagliata fra donne e uomini. In generale, il parco giocatrici era molto ben nutrito: mancava solo Martina Navratilova; stessa cosa non si può dire di quello maschile: dopo Stefan Edberg, la seconda testa di serie era Tim Mayotte, che arrivò in finale ma si arrese al “gattone” Miroslav Mecir, che lì conquistava l’alloro più importante della sua carriera.
Gli anni 80 rappresentarono il colpo di coda del tennis italiano: a Barcellona, nel ’92 (l’ultima edizione disputata sulla terra prima di Parigi 24), gli azzurri ottennero pochissime soddisfazioni. Il migliore fu Renzo Furlan, che si spinse fino in ottavi, salvo essere eliminato dal futuro finalista Jordi Arrese. Fu un anno di exploit in entrambi i tabelloni di singolare: Jennifer Capriati conquistava l’oro eliminando la campionessa in carica, Steffi Graf, all’età di…sedici anni! Fu questa una delle tappe della sua strabiliante giovinezza. Dieci anni dopo, Capriati conquisterà il numero uno del mondo. Ma come molti giovanissimi prodigi, avrà una vita e una carriera sofferta. Rispetto all’88, il tabellone maschile si presentava quell’anno come ricco di campioni straordinari: Courier, Edberg, Sampras, Becker, Stich. Nessuno di essi, tuttavia, riuscì a superare il terzo turno. La vittoria andò ad un giovane svizzero: no, non era ancora Roger Federer, bensì Marc Rosset, ventuno anni d’età mentre baciava la medaglia, conquistata dopo aver eliminato, nel percorso, Goran Ivanisevic, che ottenne il bronzo sia in singolo che in doppio, dove prevalse la coppia tedesca Becker-Stich.
1996, Atlanta: Andre Agassi guidava un tabellone meno nutrito di campioni. Veniva da una stagione deludente, dopo lo straordinario 1995. Il riscatto arrivò in patria: col successo olimpico, ottenuto in finale su Bruguera, era ormai ad un passo dal “career golden slam”: lo conquisterà vincendo Parigi tre anni dopo. Ad un certo punto del torneo, tuttavia, Agassi si trovò in grande difficoltà: chissà quanti, dopo il 6-2 iniziale, sperarono che la nottata olimpica avrebbe portato Andrea Gaudenzi ad una delle vittorie più prestigiose della carriera. Ma Agassi rimontò: finì 2-6 6-4 6-2. Fu Renzo Furlan l’unico italiano a superare gli ottavi: eliminò il campione in carica, Marc Rosset (che, ad onor della cronaca, si ritirò per infortunio) ma finì per sbattere sul muro Leander Paes ai quarti. Nel singolare femminile, la troppo spesso dimenticata Lindsay Davenport trionfò su Aranxta Sanchez Vicario.
La situazione difficile del tennis italiano non mutò con l’inizio del nuovo millennio: a Sydney, nel 2000, la migliore delle azzurre fu Silvia Farina, l’unica in grado di raggiungere il terzo turno. Accanto a Monica Seles sul viale del tramonto e la campionessa Davenport, si affacciavano le prime sorelle Williams: campionessa di quell’edizione sarebbe stata Venus. Anche le gerarchie del tennis maschile stavano cambiando: né Agassi né Sampras parteciparono all’edizione, vinta dal russo Kafelnikov contro Tommy Haas. Fu probabilmente la fase più bassa del rapporto tennis-Olimpiadi: tanto che al terzo posto arrivò Arnaud Di Pasquale, che conta come best ranking il numero trentanove. Attenzione, però: Pasquale ebbe la meglio di un certo ragazzino con la coda di nome Roger che, insieme ad altri suoi tre colleghi, avrebbe fatto la storia del tennis e segnato, fra insuccessi e maratone, anche quella Olimpica. Fra Atene, Pechino, Londra e Rio.