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1. Il trionfo cileno ad Atene; i fab four e le sorelle Williams fra Pechino e Londra; Del Potro e…Puig, Fognini e Giorgi (2004-2021)
Nel 2004, le Olimpiadi tornano dov’erano nate, ad Atene. Nei quattro anni che sono trascorsi da Sydney, il tennis ha attraversato un’era di transizione: sono tramontate le stelle di Sampras e Graf, stanno sorgendo quelle di Federer e delle sorelle Williams. Queste rappresenteranno la coppia più vincente della storia dei Giochi: oro a Sydney, Pechino, Londra. Accanto ai grandi, gli anni 2000 segnano anche la rinascita del tennis femminile italiano: Sara Errani, Roberta Vinci, Flavia Pennetta e, soprattutto, Francesca Schiavone. Quell’Italia trionferà quattro volte in Fed Cup, ma rimarrà a secco di medaglie alle Olimpiadi. Schiavone ci va vicino già ad Atene, dove è battuta dalla russa Myskina ai quarti di finale. Gli altri nomi presenti, da Volandri a Garbin a Farina, non avranno altrettanta fortuna. Nel frattempo, il giovane Federer arrivava in Attica già da favoritissimo e felicemente innamorato di Mirka Vavrinec, la compagna che aveva conosciuto quattro anni prima, proprio a Sydney. “Stavo per tornare a Zurigo, lì ci siamo dati il primo bacio”, racconterà molti anni dopo Roger. Fortunato in amore, sfortunato nel gioco: dopo la cocente delusione di quattro anni prima, Federer viene fermato anzitempo anche nella capitale greca per mano di un giovanissimo Berdych. Atene 2004 è stata però segnata da una bandiera in particolare: quella cilena. Nel tabellone di singolare, Fernando Gonzalez e Nicolas Massu si presentano separati, nel doppio invece formano una coppia particolare, molto temuta per l’inusuale tendenza a rimanere a fondo campo, come due singolaristi. Dopo una settimana di torneo, in concomitanza delle semifinali, nessuno dei due ha ancora perso una partita. Il primo a cedere è Gonzalez, per mano di Mardy Fish; Massu, invece, si qualifica per l’atto conclusivo. Si arriva dunque al 21 agosto: nel singolo, Fernando è impegnato per la finale per il bronzo contro Dent. Vince, dopo un match estenuante, 16-14 al quinto set, ma non ha neanche il tempo di festeggiare: lo aspetta il suo compagno Massu per il doppio contro la Germania di Kiefer e Schuttler. Quel giorno Gonzalez resterà in campo sette ore: alla fine, dopo quattro match point annullati, la coppia cilena conquisterà il primo oro del Cile nella storia delle Olimpiadi. Il trionfo è suggellato dalla finale di singolare del giorno dopo: con le forze residue, Massu rimane in campo per altri cinque set contro Fish, infine la spunta e diventa il primo uomo (nonché l’ultimo) capace di vincere l’oro sia nel singolare che nel doppio dai tempi di Laurence Doherty.
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La storia degli upset olimpici sembra interrompersi per due edizioni, quella di Pechino, nel 2008, e quella di Londra, nel 2012. Per entrambe, il torneo viene equiparato ad un Master 1000, con punti e soldi in palio. È una novità assoluta, che attrae tutti i migliori del mondo.
A Beijing, siamo ad un altro punto di svolta: Federer ha appena perso la storica finale di Wimbledon con Nadal, che infatti arriverà in fondo e vincerà il torneo, mentre Roger si arresterà ben prima, con Blake. Il 2008 è anche l’anno in cui si rivela al mondo il talento di Djokovic: prima vince in Australia, poi raggiunge la semifinale dei Giochi, persa con Rafa. Si rifarà conquistando il bronzo, che ad oggi rimane la sua unica medaglia. Nonostante la debacle in singolo, Federer si rifarà in doppio: in coppia con Wawrinka, riuscirà nell’impresa di oltrepassare i fratelli Bryan (e ciò potrebbe far insorgere nuovamente la solita domanda: meglio due specialisti o due ottimi singolaristi?); poi, di conquistare il suo unico oro. Per gli italiani, come si è capito, c’è insomma poco spazio. Bolelli e Seppi erano stati vittime del duo svizzero, Errani e Pennetta non fanno strada. Schiavone elimina Radwanska ma si ferma agli ottavi con Zvonareva, che salirà sul gradino più basso del podio, interamente russo se è preceduta da Dementeva e Safina, la sorella di Marat.
Sull’erba di Wimbledon, invece, va in scena l’edizione forse più avvincente. Federer ha appena conquistato lì il suo settimo Championship, in finale con Andy Murray. Lo scozzese – per l’occasione divenuto britannico secondo la stampa UK – saprà prendersi la rivincita qualche settimana dopo, quando i completi bianchi saranno stati sostituiti dagli sgargianti colori delle nazionali, evento unico nella storia dell’All England Club. Non è la prima volta invece della presenza del doppio misto, che avevamo salutato però nel 1924. Il Federer che Murray affronta in finale non è quello più smagliante: viene dalla più lunga partita due su tre della storia, dal 19 a 17 al quinto contro Juan Martin Del Potro, che alle Olimpiadi così come in Davis sa esaltarsi, tanto che dopo la sconfitta avrà la forza di prendersi il bronzo contro Djokovic. Il serbo e l’argentino avevano eliminato i nostri due italiani, rispettivamente Fognini (che gli aveva però portato via un set) e Seppi. Le speranze, quell’anno, erano però riposte sul doppio, in particolare quello femminile, dove si presentava la coppia Errani/Vinci, già numero uno del mondo, a Londra terza testa di serie. Le due giocano un ottimo torneo, raggiungendo i quarti di finale. Lì però sono fermate dalle onnipresenti Williams: Serena vincerà anche il singolare, nettamente contro Sharapova.
L’edizione di Rio, nel 2016, segna la fine dell’esperimento dei punti ATP; altre controversie insorgono, peraltro, quando viene deciso di disputare il torneo sul cemento, e non sulla tipica terra rossa brasiliana. Andy Murray è il primo uomo a confermare il suo titolo olimpico: è uno dei punti più alti del suo 2016, annata che fu apoteosi e inizio del declino insieme. Lo scozzese trionfa contro Del Potro, che vince così un’altra medaglia. Insieme a Rafa Nadal, è la grande sorpresa del singolare maschile: entrambi venivano da anni difficili, costellati dagli stop e dagli infortuni. Del Potro elimina al tiebreak del terzo proprio Nadal – che poi non riuscirà a conquistare neanche il bronzo, ma si rifarà con l’oro nel doppio in coppia con Marc Lopez, ma soprattutto Novak Djokovic. Il serbo deve abbandonare ancora l’obiettivo dell’oro olimpico, ed assomma le celebri lacrime di questa sconfitta alle tante delusioni della seconda metà di 2016, che lo vedranno abbandonare il sogno Grande Slam e il numero uno del mondo. E gli italiani? Ancora una volta, il risultato migliore è di Fognini, fermato da Murray al terzo turno, così come Errani con Kasatkina. Ancora una volta, Errani e Vinci si fermano ai quarti, ad un passo dal contest per una medaglia, mentre la vulnerabilità delle sorelle Williams permette ad Angelique Kerber di presentarsi favorita all’atto conclusivo, nel quale verrà però sorpresa da Monica Puig, portoricana che con quell’oro farà la storia del suo Paese.
Siamo dunque giunti alla storia recente: a Tokyo 2020, che viene posticipato all’anno successivo a causa della pandemia, per disputarsi a porte chiuse nell’asfissiante caldo giapponese. I tre su cinque vengono aboliti anche per la finale, che vede fra le donne il trionfo di Belinda Bencic (finalista anche nel doppio) e fra gli uomini quello di Alexander Zverev. Djokovic, impegnato in tutti e tre i tabelloni, deve abbandonare ancora una volta la speranza di vincere una seconda medaglia e di conquistare il golden slam che fu di Graf. Ko con Zverev nel singolo, si ritirerà dal misto e non riuscirà a portare a casa neanche il bronzo, che andrà a Carreno Busta. Il preludio, forse, della sconfitta a New York. L’edizione è segnata dalle polemiche: quelle sulla salute mentale di Osaka – che in quel periodo decideva di prendersi una pausa dalle conferenze stampa, ma poco dopo sfilava come tedofora dei Giochi, prima tennista a farlo – e sulla mancata partecipazione di Jannik Sinner (che quindi quest’anno disputerà i suoi primi Giochi); esse oscurano il risultato di Camila Giorgi, prima italiana dopo molti anni a fare quarti nel singolare femminile, sconfitta tuttavia da Elina Svitolina (che quattro anni prima aveva fermato anche Serena Williams) con un doppio 6-4.
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2. Conclusioni
A Parigi 24 si disputerà dunque la decima edizione del torneo olimpico da quando è stato reintrodotto ufficialmente. Nelle classifiche del medagliere, Gli Stati Uniti sono, come volevasi dimostrare, in prima posizione, con 21 ori e 39 medaglie in totale; la Gran Bretagna – compresa quindi come da consuetudine olimpica anche l’Irlanda del nord – è al secondo posto, con 17 ori ma 43 medaglie. Le sorelle Williams sono poi le atlete più vincenti, in particolare Venus, con 4 ori e un argento. Fra i nomi più recenti spicca ovviamente Andy Murray, unico in grado di difendere con successo il suo titolo.
Per un’analisi del ranking medio di ciascuna edizione del torneo, vi rimandiamo poi qui. Come già anticipavamo, però, le edizioni migliori sono state quelle in cui venivano assegnati punti ATP e WTA, in particolare quelle del 2008 e del 2012. Tale scelta era valsa a risollevare le sorti di un torneo che, soprattutto fra la fine degli anni 90 e l’inizio dei 2000, sembrava aver perso quel residuo di prestigio e importanza che ancora aveva. La mossa di assegnare i punti, tuttavia, non può che rientrare nel più grande tentativo di assimilare l’evento olimpico agli altri del circuito professionistico, privandolo dunque della sua stessa identità, e tradendo il motivo per cui il tennis era stato escluso nel 1928 ad Anversa. La domanda da porsi dunque è: sono davvero conciliabili lo spirito dei Giochi e quello del tennis moderno, sport individuale e professionistico per eccellenza?
La risposta dei tennisti non è stata univoca: ma se i meno quotati si sono esaltati e hanno trovato la gloria alle Olimpiadi, per sé stessi e per la propria nazione, gli atleti di vertice hanno spesso visto il torneo – nello scenario migliore – come un obiettivo extra da raggiungere; ed in quello peggiore, uno sforzo inutile e controproducente. Quasi mai, in definitiva, hanno subordinato un torneo dello Slam e/o la loro competitività in stagione ad una chance di vincere ai Giochi.
Venendo al tennis italiano: ad eccezione della memorabile corsa di De Morpurgo, i tennisti italiani raramente hanno brillato. Rimane il rimpianto per la generazione di Pietrangeli e quella di Panatta, mentre, a conti fatti, i migliori sono stati Reggi e Cané, sempre competitivi fra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta. Nel nuovo secolo, le soddisfazioni sono state davvero grame, anche nelle rare occasioni in cui vi fu la possibilità concreta di conquistare una medaglia (per esempio, con la coppia Errani/Vinci). Quest’anno, come si sa, la musica potrebbe cambiare. Sinner ci sarà per la prima volta, e con lui Musetti, Arnaldi, Darderi, ma anche Paolini, Cocciaretto, Bronzetti, e poi Errani, Bolelli, Vavassori, come definito dalla Race olimpica. A rigor di logica, il team italiano sarebbe forse il favorito, in virtù del titolo di Davis conquistato a novembre. Avremo modo di parlare diffusamente, nei prossimi giorni, delle ambizioni di Djokovic e di Alcaraz, dell’incognita Nadal, della forma di Sinner e di Paolini, rispettivamente semifinalista e finalista sui campi del Roland Garros. Dopo Londra 2012, la venue di un Grande slam torna infatti ad ospitare il torneo olimpico. Le premesse per una buona edizione come quella di dodici anni fa ci sono, nonostante la mancanza di punti, e la ricorrenza dei cento anni dal bronzo di De Morpurgo è già stata rievocata più volte. Non ci resta che attendere: da domenica 27 sarà il campo, come si suol dire, a parlare.
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