Riccardo Bonadio è stato per anni girovago, come accade a tutti gli atleti professionisti, e ora ha programmato un futuro da coach lontano dal suo Friuli, ma questo non toglie nulla al fortissimo legame che ha sempre avuto con la sua terra. Non è un caso dunque che il suo passo d’addio sia stato al Challenger di Cordenons (a soli 17 km da Azzano Decimo dove è sempre vissuto), proprio sugli stessi campi dove esordì tanti anni fa.
Una circolarità che non sfugge nemmeno all’osservatore meno attento, un radicamento nel territorio che è stato premiato con una cerimonia d’addio molto emozionante, con tutto il pubblico in piedi a tributargli una commovente standing ovation. Noi l’abbiamo intervistato poche ore prima che scendesse in campo per il suo ultimo match da professionista contro lo spagnolo Carlos Taberner, ma il giorno dopo, ricontattato per alcuni dettagli dell’intervista, Riccardo ci ha confessato: “La cerimonia d’addio è stata molto emozionante ed ero davvero commosso, anche se devo confessare che dalla Serena Raffin, figlia dell’indimenticato Edi, mi aspettavo qualcosa del genere. Ed è solo perché un po’ me l’aspettavo che sono riuscito a trattenere le lacrime”.
Bonadio si ritira a 31 anni appena compiuti, al termine di una bella carriera che si può sommariamente sintetizzare in due finali Challenger (Trieste 2020 e Bratislava 2022), dieci titoli ITF e il n.164 ATP come best ranking. Lo ricorderemo come un atleta serio, riservato e completamente dedito alla sua professione, e con un rovescio ad una mano che dovrebbe essere materia didattica nelle scuole tennis.
Fa un po’ strano che ti ritiri nel pieno della tua maturità, a 31 anni appena compiuti e dopo due stagioni di buoni risultati.
E’ vero, sto giocando un buon tennis ma proprio queste due ultime stagioni mi hanno prosciugato di energie. Mi pesava sempre di più stare lontano da casa, dalla famiglia e dagli amici. Penso di essere arrivato a stare fuori casa anche 45 settimane in un anno e non ero più disposto a farlo anche se a livello economico e di adrenalina questo sport ti regala qualcosa di unico. Per me poi, terraiolo per nascita e vocazione, il problema era ancora più pesante perché non solo sono stato spesso costretto a lunghe trasferte in Sudamerica, ma avevo anche difficoltà ad allenarmi vicino a casa durante la stagione estiva sulla terra.
Quando dici famiglia di chi parli?
Parlo dei miei genitori e di mia sorella, oltre che della mia ragazza che abita a Pavia.
C’è una singolare circolarità tra il tuo esordio e il tuo ritiro, avvenuti entrambi qui a Cordenons.
Si si, lo so (ride, ndr).
La tua prima partita da professionista è considerata quella con l’argentino Nicolas Pastor nel 2011, mentre andando a spulciare ho trovato che in realtà esordisti nel 2009, sempre nelle qualificazioni di Cordenons, contro Matteo Marfia.
Quell’anno fu il primo in cui avevo cominciato a lavorare davvero per diventare un giocatore. Considera che ero classificato come 3.2, dunque lontanissimo da qualsiasi ipotesi di professionismo. Mi ero appena trasferito dal circolo di mio padre a Fiume Veneto per venire a Cordenons e potermi allenare con Mosè Navarra. Il presidente del circolo Edi Raffin, che purtroppo è mancato improvvisamente nel 2013, stravedeva per me e mi concesse una wild card per le qualificazioni del torneo, anche se ovviamente non avevo il livello.
Che ricordo hai di quella partita? In cui facesti la figura del bambino cui avevano dato una bicicletta troppo grande.
Ero tremendamente agitato. Mi ricordo ancora che giocavo sul campo 12 e che presi una bella batosta (6-3 6-0, ndr). Ma vedere tutti quei giocatori che erano troppo più bravi di me fu un grande sprone per provarci davvero.
Tra parentesi, nove anni dopo con lo stesso Marfia e sugli stessi campi ti prendesti una bella rivincita.
Sì, è vero.
E’ tempo di bilanci. Che voto daresti alla tua carriera?
Non saprei dirti, è difficile quantificare un percorso così lungo con un voto. Se mi guardo indietro diciamo che non sono arrivato dove volevo e cioè in top 100, ho buttato via tantissime partite e ho fatto molti errori, come tutti del resto. Ma, come ti dicevo, se penso a tutta la strada che ho fatto, alle persone che ho conosciuto e agli ambienti che ho frequentato, posso dire che non mi è certo andata così male. Diciamo che ho avuto la sfortuna di nascere in una terra che di tennis professionistico ne ha visto poco (con l’eccezione ovviamente di Barazzutti e Furlan, ndr). E io non avevo assolutamente idea di come funzionasse il mondo del tennis. E aver cominciato tardi non mi ha certo aiutato. Sono comunque molto soddisfatto della carriera che ho fatto e degli obiettivi che ho raggiunto. E adesso spero che da giocatore…scusa da allenatore (ride, ndr).
Mi sa che non sei ancora entrato nella parte (rido)
Esatto. Spero di riuscire a dare una mano ai giocatori che avrò occasione di seguire.
Proprio in considerazione del tuo ottimo momento di forma c’è qualcuno che non crede che ti ritiri davvero.
No no, puoi crederci. Domani, tanto per capirci, andiamo in Croazia, finalmente intruppato tra i vacanzieri agostani (ride, ndr). Comunque è vero, effettivamente sto giocando piuttosto bene, soprattutto nella prima parte della scorsa stagione. Quest’anno in realtà non fa testo perché non avere più né responsabilità né pressioni aiuta molto a giocare bene. Soprattutto per uno come me che ha sempre fatto una gran fatica a gestire la tensione. Senza pressione tutte le cose sembrano più facili.
Parli della tua difficoltà nel gestire la tensione. Ti è mancato qualcosa anche a livello tecnico?
A livello tecnico ci ho messo tanti anni, forse troppi, per imparare a giocare un buon diritto e il servizio non è mai stato il mio colpo forte. Ciò mi ha impedito ad esempio di giocare delle buone stagioni sul veloce, una superfice che ormai rappresenta una grossa fetta della programmazione.
Io ti ho sempre considerato un friulano un po’ atipico. I friulani noi li vediamo un po’ introversi, un tantino austriaci per capirci. Tu invece sembri, sotto sotto, un po’ fumino.
In campo, come ti dicevo, il mio problema era tenere sotto controllo la tensione, così talvolta è successo che questo eccesso di tensione si sia trasformato in nervosismo. Fuori dal campo questa cosa veniva fuori meno. Comunque sì, hai ragione, non sono una persona fredda come lo sono tante di questa zona.
Parlami della tua scelta di andare ad allenare a San Benedetto del Tronto.
Avevo ricevuto diverse offerte in giro per l’Italia, alcune molto allettanti. Ottimi ambienti, magari con scuole tennis anche più avviate. Ma io devo pensare che il mio percorso da coach inizia solo ora. E anche se il mio trascorso da giocatore mi darà probabilmente una marcia in più, questo non vuol dire che io sia già pronto. Per questo ho fatto questa scelta perché il loro è un progetto a lungo termine e ci sono tutte le premesse per fare bene. La dirigenza, il direttore Luigi Troiani su tutti, è molto concentrata su questo discorso dell’accademia. Il tutto con il supporto di Simone Vagnozzi la cui parola è stata decisiva.
Ma Vagnozzi, con tutti gli impegni che ha con Sinner, riuscirà a seguire il progetto?
Non mi ha garantito una costante presenza fisica. Ma mi ha assicurato che mi darà una mano a distanza. Lo conosco da tanti anni, da quando lui era a fine carriera ed io stavo iniziando a frequentare il circuito Futures. Ci siamo poi ritrovati anni dopo e ho sempre saputo che la sua parola ha un grosso peso. Dunque mi sono fidato e ho fatto di conseguenza scelte importanti.
Tra cui l’acquisto di una casa a San Benedetto.
Sì la sto comprando, a ottobre/novembre dovrei poter entrare. E questo significa che i miei presupposti non sono certo a breve termine.
Giocherai con loro il campionato a squadre?
No, proprio perché la loro attenzione è interamente rivolta all’Accademia.
Lo giocherai con qualcun altro?
Non so, quest’anno sono tesserato con il TC Crema. La prossima stagione vedremo.
Giocherai qualche Open, giusto per assicurarti una dose omeopatica di adrenalina?
No (ride, ndr), la partecipazione agli Open è stata una piccola parentesi di quest’anno, più che altro per motivi economici.
Il ricordo più bello della tua carriera? In campo e fuori.
Il più bel ricordo non è una singola vittoria, una bella prestazione ma l’intero percorso. Gli allenamenti e le ore trascorse in campo, soprattutto questi ultimi cinque anni alla Motonautica Pavia. I momenti che ho condiviso con coach Mattia Livraghi e con tutto lo staff (e Riccardo ci tiene a ricordarli tutti, ndr) Uros Vico, Marco Cassiani, Alessio Firullo e Daniele de Feo, li porterò sempre con me.
Quando viaggiavi riuscivi a ritagliarti un po’ di tempo per fare turismo?
Sicuramente ho visto tanti posti ed è stata una fortuna perché non sono mai stato uno che prende l’aereo per andare in vacanza. Se devo ricordare un posto in particolare direi il Vietnam quando ho giocato a Da Nang. (al Challenger di Da Nang nel gennaio 2019 quando raggiunse il terzo turno battuto in tre combattutissimi set dal russo Alen Avidzba). Era la prima volta che andavo in estremo Oriente e mi colpì molto la grande diversità della loro cultura.
Lasci degli amici nel circuito?
Certo, è normale che, incontrandosi quasi tutte le settimane, si stringano dei rapporti. Roberto Marcora con cui ci siamo spesso allenati assieme al Bonacossa, Andrea Arnaboldi, Giovani Fonio e Andrea Picchione.
A proposito di Arnaboldi, tra te e lui perdiamo due dei più bei rovesci a una mano del circuito. E’ una tendenza irreversibile?
Temo di sì proprio perché giocando sempre di più sul veloce servizio e risposta hanno un’importanza preponderante. E rispondere ai servizi molto performanti di oggi è molto più facile con un rovescio bimane. A parte alcuni rovesci naturali e quindi molto talentuosi come quello di Musetti. Ma saranno sempre più rari.
A proposito di Musetti sai che c’è questa annosa polemica sul fatto che lui stia troppo indietro sulla risposta.
E’ inevitabile col rovescio a una mano stare un po’ più indietro, soprattutto sulla terra battuta. Però non scherziamo, mi sembrano polemiche del tutto prive di fondamento, stiamo parlando di un ragazzo di 22 anni che è in top 20 e ha appena fatto semifinale ad Wimbledon, dove tra l’altro è pressoché impossibile rispondere stando troppo indietro. Dobbiamo solo ringraziare di avere un talento come Musetti, tra l’altro seguito da un ottimo staff che saprà programmare un ulteriore percorso di crescita.
Parlando di giocatori forti tu in una delle due finali Challenger della tua carriera (Trieste agosto 2020) ti sei trovato dall’altra parte della rete un certo Carlos Alcaraz e perdesti 6-4 6-3. Capisti subito la sua forza?
Francamente no. Certo si capiva che era un ragazzo con doti fisiche e una determinazione fuori dal comune. Ma sinceramente non mi aspettavo che arrivasse così preso in cima. La sua è stata una crescita, soprattutto tecnica, importante e velocissima. Ha iniziato a servire in maniera molto più incisiva e ha inserito in repertorio un ottimo gioco di volo e una palla corta micidiale. A quel tempo questi colpi non li aveva e non era così scontato che riuscisse a migliorare così tanto e così in fretta.
Parliamo di Challenger, di cui tu sei grande esperto. In questa stagione gli italiani non vanno benissimo per l’ovvia ragione che tutti i ragazzi più forti (Arnaldi, Cobolli, Nardi e Darderi) sono saliti di categoria. Tu come vedi la situazione?
Non così male. Un nome che ti faccio subito è quello di Federico Arnaboldi. Ci ho perso 7-5 7-5 al Challenger di Vicenza pur avendo giocato io benissimo. Infatti l’ho subito detto al cugino/coach Andrea che il ragazzo mi era sembrato molto migliorato. Subito dopo ha fatto finale a Modena e ha vinto a Verona. Ma penso che ci siano tanti altri giovani che prima o poi sfonderanno: Zeppieri, Passaro, Maestrelli, Gigante, Bellucci e anche Ruggeri. Poi a me piacciono molto anche giocatori che non si possono più definire giovanissimi come Dalla Valle e Fonio. Forse quest’anno non faremo dei record nei Challenger ma tutto sommato sono ottimista. Vedrai che molti di loro raggiungeranno il livello ATP e sapranno restarci.
Sei ancora vegano?
Ero diventato vegano l’anno del Covid perché alcuni colleghi mi avevano detto di averne tratto giovamento. Adesso non lo sono più perché la mia era una scelta in funzione della performance e non ideologica. Adesso non mi serve più (ride, ndr).
Ho sentito che sei un forte lettore.
Verissimo, i viaggi, le tante ore in aereo e in treno mi hanno spinto ad occupare in maniera proficua il mio tempo. Ma questa passione mi rimarrà anche una volta appesa la racchetta al chiodo. Ho letto molto biografie, non solo di sportivi, tra le quali quelle di Will Smith e Matthew McConaughey.
A proposito di attori ti piace il cinema?
Sì abbastanza, soprattutto negli anni passati. Mi facevano compagnia in viaggio. Ma poi ha prevalso il fascino della lettura.
Bene Riccardo, grazie per il tuo tempo e tantissimi auguri per la tua nuova carriera. Intanto goditi il mare della Croazia.
Lo farò (ride, ndr). Grazie a te e a tutti i lettori di Ubitennis.