Quanto non sia facile essere uno sportivo, lo sappiamo. O meglio: quella dello sportivo resta, e sempre resterà, una categoria privilegiata. Ma nella vita, esser privilegiati, non significa esser felici. Non significa possedere, o sviluppare, quelle capacità emotive che permetterebbero a ognuno di noi, di fare delle critiche, carta straccia. In quanto esseri umani, siamo animali emotivi: è l’emozione a guidarci, spesso irrazionalmente. Possiamo aver vinto tutto, ma le parole sembrano azzerare qualsiasi titolo conquistato, qualsiasi traguardo raggiunto, ogni emozione positiva.
Naomi Osaka ha vinto quattro titolo del grande slam, è diventata madre, ed è tornata a giocare ispirando migliaia di donne, e non solo. Naomi è un esempio di essere umano dedito allo sport, ma senza che questo diventi motivo di sacrificio nei confronti del benessere. Tutto questo, ad appena 26 anni. Età a cui, potenzialmente, si è ancora lontani dalla propria miglior versione. Eppure, non è abbastanza. Non lo sarà mai. È possibile esserlo? Probabilmente no.
Ogni risultato sarà soltanto regalo della divina provvidenza, sarà miracolo di qualcuno che, ontologicamente superiore, avrà così deciso. Mai e poi mai, obiettivo guadagnato dopo sacrifici, sudore, infinito impegno e completa dedizione. E, nonostante la razionale consapevolezza, le parole di un qualsiasi sconosciuto, non scivoleranno semplicemente via. Bisogna accettarlo: fare sport significa aspettarsi il peggio, almeno dal tribunale dei social. Sta però allo sportivo imparare a gestire quella pressione: è compreso nel pacchetto, è una responsabilità. Ahinoi, non sempre si è in grado.
“Ho appena letto che qualcuno mi ha dato della miracolata. – Ha scritto sul proprio profilo Threads – Com’è possibile essere una miracolata con 4 titoli Slam vinti, avendo acceso la torcia olimpica, avendo battuto tante giocatrici in top 20 ed essendo vicina alla top 50 l’anno dopo aver partorito? Non potreste toccare neppure uno dei miei successi neanche con un’unghia“
Ecco, è probabile che questa non sia la migliore delle risposte. Impossibile negare la totale ragione della tennista giapponese, ma la ragione non è tutto, soprattutto quando si è personaggi pubblici. Essere visti, scegliere di essere in mostra, comporta intrinseche responsabilità inevitabili, che le si voglia o meno. Essere idoli, significa dover ispirare. Perché fuggire da questo? Non significa certo rinnegare la propria natura, ma imparare a gestire le proprie difficoltà, per diventare una persona migliore nei confronti di se stessi, e nei confronti di per chi si è idoli.
Con questo, non si può condannare lo sfogo di Naomi. Impossibile non comprenderla, impossibile non guardare a lei con empatia. Ma Naomi Osaka, significa forse più di quanto crede. Il privilegio, è anche responsabilità, in ogni ambito.