Quando vengono organizzate manifestazioni sportive particolari, fuori dai parametri tradizionali delle singole discipline e che sbandierano premi spudoratamente fuori dalle logiche di mercato, è inevitabile che questi eventi facciano discutere, che sollevino polemiche e che si formino fazioni tra favorevoli e contrari.
La Six Kings Slam in corso di svolgimento a Riyadh è sicuramente un evento controverso, perché garantisce ai suoi sei partecipanti un minimo di 1,5 milioni di dollari (circa 1,4 milioni di euro), con un primo premio per il vincitore che sarà pari a 6 milioni di dollari (più di 5,5 milioni di euro), ovvero l’assegno più cospicuo mai corrisposto al vincitore di una competizione tennistica nella storia del gioco. Il campo di partecipazione di primissimo livello ha sicuramente contribuito a elevare il livello di notorietà della manifestazione: i due “Big 3” rimasti (Djokovic e Nadal), i due protagonisti della nuova rivalità del tennis maschile (Alcaraz e Sinner), più due top-10 o quasi (Rune era top 10 all’inizio dell’anno quando l’idea fu partorita, Medvedev lo è tutt’ora).
Difficile rimanere indifferenti a tali quantità di denaro, soprattutto quando provengono da un Paese attivamente impegnato nel cosiddetto “sportwashing”, ovvero nell’investimento di sostanziose quantità di denaro in attività sportive per migliorare la propria immagine internazionale. Prima il golf, poi il calcio, la Formula 1, la boxe, l’assegnazione dei Giochi Asiatici invernali del 2029 a una località turistica ancora in costruzione (Trojena, all’interno del megaprogetto NEOM).
L’Arabia Saudita è costantemente tra gli ultimi posti al mondo nelle classifiche sul rispetto della libertà personale e dei diritti umani: l’omosessualità è ancora considerato un reato, la condizione della donna solamente negli ultimi anni ha fatto qualche faticoso passo avanti, e la libertà di espressione è fortemente limitata. Per questi motivi c’è chi sostiene che sarebbe opportuno non farsi tentare dalle sirene dei “megadollari” e rifiutarsi di andare a giocare in Arabia Saudita fino a quando quel Paese non avrà dimostrato di voler affrontare questi problemi.
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