L’altro pomeriggio stavo spulciando i risultati dei tornei ITF della settimana quando mi è saltato all’occhio che Matteo Covato, 19 anni da Rosolini (Siracusa), 205 cm di altezza, aveva conquistato il suo primo punto ATP. Fin qui nulla di straordinario, ogni percorso inizia con un piccolo passo e succede ogni giorno. Però che questo sia avvenuto nel 15.000$ di Kampala è già un po’ più singolare. E’ evidente che parliamo dell’Africa, ma ho dovuto far ricorso ai miei migliori ricordi scolastici per realizzare che stavamo parlando della capitale dell’Uganda. ‘Però – mi vien da pensare – aggressivo il ragazzo’. Poi, dopo un ulteriore controllo, mi rendo conto che aggressivo è dir poco: due tornei a Kampala (capitale dell’Uganda), dopo che ne aveva giocati altrettanti a Kigali in Ruanda, cui avrebbe fatto seguito il Challenger di Brazzaville (Congo). Fanno cinque settimane lontano da casa in una trasferta quantomeno inusuale che ci spinge ad indagare un po’ più a fondo. Fame di punti ‘facili’, desiderio d’avventura, giovanile incoscienza o forse un mix di tutte queste cose? Abbiamo pensato che la cosa migliore fosse chiedere direttamente a lui.
Buongiorno Matteo, sei finalmente tornato a casa?
“Sì, in questo momento sono a Roma da mia sorella. Mi sono preso qualche giorno di assoluto riposo e poi ricomincio ad allenarmi. Dopo vedrò di organizzare un calendario fino alla fine dell’anno, cui seguiranno due mesi di clausura interamente dedicati alla preparazione invernale”.
Devo confessare che non ti conoscevo se non di nome, ma questa tua infinita trasferta nel cuore dell’Africa mi ha sinceramente incuriosito. Sono posti cui personalmente faccio fatica a pensare anche solo da turista.
“Effettivamente non è da tutti (ride, ndr)”.
Come è nata questa ‘pazza’ idea?
“In realtà avevo inizialmente programmato i due tornei in Ruanda, poi ho notato che c’era la possibilità di organizzare una trasferta relativamente semplice in Uganda (effettivamente solo poco più di 500 km, ndr), e così i tornei di fila sono diventati quattro. Poi, dopo un breve pit stop a casa, sono tornato in Congo per il Challenger”.
Attratto da un entry list per così dire amichevole?
“Sicuramente ho dato un’occhiata e ho visto che c’era la possibilità di entrare nelle qualificazioni”.
Di queste qualificazioni che hanno suscitato qualche polemica parleremo più avanti. Adesso ti volevo chiedere se quando dici casa parli di Siracusa.
“Sì, vicino Siracusa per la precisione a Rosolini (cittadina di 20.000 abitanti ad una cinquantina di km dal capoluogo, ndr)”.
Abiti quindi vicino a Salvo Caruso.
“Ad una decina di km. Ci alleniamo assieme tutti i giorni al TC Match Ball, con anche suo fratello Antonio. E qualche volta gioco anche con Antonio Massara che però non fa più attività internazionale”.
E gli altri tuoi colleghi isolani, i fratelli Tabacco e Gabriele Piraino li frequenti?
“No perché Fausto e Giorgio Tabacco adesso lavorano a Milano per cui è da un po’ che non li frequento, anche se quando avevamo 14 anni ci allenavamo spesso assieme a Catania. E Piraino fa base a Palermo, cioè dall’altra parte dell’isola”.
Quando hai iniziato a giocare?
“A sei anni quando mio padre mi portò in un circolo a Modica e mi piacque immediatamente. Pensa che facevo sia tennis che calcio, ma dopo poco gli dissi che avevo deciso che la mia strada era il tennis”.
Tuo padre giocava?
“Da amatore. Non ha mai fatto tornei professionistici ma gioca piuttosto bene e soprattutto ne capisce tanto. Così capita spesso che mi dia buoni consigli”.
Mentre il tuo allenatore chi è?
“Mi alleno con due maestri che si chiamano Ivan Caracciolo e Toni Troia”.
Qualcuno di loro ti ha seguito in questa tua trasferta africana?
“Magari avessi potuto permettermelo! (ride, ndr)”.
Sempre il solito problema. Economicamente in questa trasferta ci avrai rimesso dei soldi, immagino.
“Ovviamente sì, il problema sono i voli che fanno la differenza. Tanto per capirci solo l’andata mi è costata più di 600 euro. E poi considera che il volo di andata è il più semplice da organizzare, mentre per il ritorno non sai mai quando finisci e così, non riuscendo a prenotarlo in anticipo, ti tocca pagarlo a prezzo pieno”.
In questi posti dove alloggiavi? C’era un resort o che?
“No no, in Ruanda sono stato in un appartamento assieme ad un altro ragazzo italiano Denis Spiridon (ha superato un turno nel primo torneo di Kigali e si è ritirato nelle qualificazioni del secondo, ndr). In Uganda siamo stati in Hotel, ma la camera era abbastanza grande per cui potevamo anche cucinare e non era lontano dal circolo”.
Con chi eri?
“Con due ragazzi che pure giocavano il torneo. Uno di loro era l’altoatesino Manuel Plunger (due quarti di finale a Kigali e uno a Kampala, ndr).
Invece a Brazzaville c’era Simone Agostini (finalista nel tabellone di doppio, ndr).
“Sì, anche se non eravamo assieme perché lui stava nell’Hotel principale mentre io ero da solo da un’altra parte”.
A parte giocare e allenarti cosa facevi in posti che potremmo come minimo definire esotici? Sei riuscito a concederti un po’ di turismo?
“Purtroppo no, perché tra partite, allenamenti e un po’ di ca**eggio con gli altri ragazzi non è che rimanga molto tempo. Giusto una volta a Kampala abbiamo provato ad andare al mercato, che definirei piuttosto caratteristico. Il problema era però che quando camminavi per strada ti notavano subito (sarebbe stato strano il contrario, un bianco di 205 cm che passeggia per strada, ndr), addirittura ti toccavano e si radunava subito un capannello di persone che ti seguiva. L’unica volta poi che abbiamo provato ad uscire di sera non è stata proprio una bella esperienza, infatti abbiamo provato sempre un certo senso di insicurezza. Un po’ per la criminalità che è molto diffusa, un po’ perché ti senti troppo al centro dell’attenzione. E non riesci mai a capire se questa attenzione sia benevola”.
E i circoli come sono organizzati?
“In Ruanda molto bene, al contrario dell’Uganda dove i campi erano pieni di buche e le righe addirittura erano tracciate col gesso”.
C’era pubblico?
“Al Challenger in Congo sì, nei tornei ITF invece non c’era nessuno, un po’ come da noi”.
Quindi in totale quanti punti hai fatto?
“In totale otto, di cui sette al Challenger. E grazie a questi punti sono arrivato alla posizione n.1160 ATP che è ovviamente la mia miglior classifica”.
In termini di ranking che obiettivi ti sei dato?
“Sai, tutti abbiamo sempre degli obiettivi, ma non puoi mai sapere in anticipo cosa ti capita. Il mio sarebbe di arrivare verso la posizione n.900 entro la fine dell’anno, o all’inizio della prossima stagione. Ma il vero obiettivo è esprimere un gioco di buon livello e il ranking si adeguerà di conseguenza”.
Come ti definiresti come giocatore?
“Vista la mia altezza non posso che essere un giocatore d’attacco (ride, ndr), che dipende molto dai colpi d’inizio gioco, servizio e diritto. Comunque devo dire che mi muovo bene anche da fondo”.
Tua superfice preferita?
“Ti risponderei cemento…però meglio essere cauti visto che in fin dei conti i miei primi punti li ho fatti sulla terra”.
Fammi capire, con la tua altezza dovevi risollevare le sorti del basket siciliano.
“Effettivamente (ride, ndr), poi il basket mi piace anche parecchio. Solo che fino ai 16 anni ero di un’altezza normale e solo dopo ho avuto uno sviluppo importante e velocissimo, ma ormai avevo scelto il tennis”.
Che tipo di carriera giovanile hai fatto?
“Da under 14 arrivai al n.25, poi mi sono infortunato al gomito e praticamente ho perso più di un anno. Così in under 18 sono partito ad handicap chiudendo la mia carriera giovanile attorno al n.350”.
E a metà 2023 hai cominciato a giocare coi grandi. Per la precisione a Monastir dove in sei tornei da 15.000$ sei riuscito a vincere una sola partita.
“Effettivamente non giocai molto bene, per la semplice ragione che evidentemente non avevo ancora il livello. Quest’anno è andata decisamente meglio fino a che in marzo mi sono infortunato alla caviglia e sono stato costretto ad uno stop di 4 mesi. Un brutto colpo che però mi ha dato l’opportunità di lavorare fisicamente sulla parte superiore. E i risultati si sono visti in campo, nei vari tornei ITF in Francia, Inghilterra e Svizzera, dove, pur non prendendo punti ATP, mi sono sempre sentito competitivo. I punti per fortuna me li sono andati a prendere in Africa”.
Tornando allora all’Africa dicevamo che al Challenger di Brazzaville ci sono state delle polemiche sul livello delle qualificazioni (solo nove giocatori), mentre in realtà il tabellone principale ha avuto un livello più che degno.
“Sì, e non ho capito cosa sia successo perché si prospettavano le solite qualificazioni a doppio turno, senonché negli ultimi due giorni si cancellavano tutti e siamo rimasti in quattro gatti. Io sono stato uno dei pochi che è stato costretto a scendere in campo (ride, ndr) contro tal Ekoume, ragazzo di casa. Poi ho vinto una bella partita contro John Courtney Lock (il fratello più giovane di Banjamin) e ho perso al secondo turno contro il francese Calvin Hemery (n.227, ma alla posizione 116 nel 2018), un giocatore al momento fuori dalla mia portata.
Secondo te cosa ti manca per quel livello?
“Innanzitutto l’abitudine a giocare quel tipo di partite. E poi devo lavorare sul fisico perché, essendo impossibile ottenere sempre in fretta il punto, devi rassegnarti a sostenere degli scambi anche piuttosto lunghi”.
Dall’Africa cosa ti porti a casa, oltre ai punti?
“Mi porto a casa tanta esperienza, non solo tennistica. Infatti passando tanto tempo da solo capisci molte cose di te. Diventi più professionale e consolidi una certa routine tennistica”.
Nel tanto tempo da solo cosa ti piace fare?
“Leggo moltissimo. Molti gialli tra cui quelli di Donato Carrisi, Carlos Ruiz Zafon e Stephen King”.
Il tuo percorso scolastico?
“Mi sono diplomato due anni fa con il massimo dei voti e adesso sto frequentando online la facoltà di economia”.
Come due anni fa? Non mi tornano i conti.
“Beh sì (ride, ndr), ho fatto la primina e un altro anno l’ho recuperato al liceo finendo in 4 anni invece che 5”.
A casa c’era una fidanzata ad aspettarti?
“No (ride, ndr), nessuna fidanzata. Solo i genitori e mia sorella. Che tra l’altro gioca anche lei a tennis e piuttosto bene. Ma adesso studia e solo qualche volta fa degli Open”.
Chi sono i tuoi migliori amici nel circuito? C’è qualcuno con cui hai legato particolarmente?
Matteo ci pensa un attimo e poi “No, amici non ne ho. Solo conoscenti e compagni d’avventura. Anzi, mi correggo e faccio un’eccezione per Gabriele Vulpitta (suo coetaneo che l’anno prossimo giocherà al College alla University of Georgia, ndr).
Ti piace qualche altro sport?
“Tifo Juve, ma in maniera molto blanda e seguo il basket NBA, con una chiara preferenza per i Golden State Warriors”.
Matteo, grazie per il tuo tempo e in bocca al lupo per il proseguimento della tua carriera.
“Figurati, anzi grazie a te e ai lettori di Ubitennis”.