La scommessa araba
Durante il singolare inaugurale del torneo tra Sabalenka e Zheng l’affluenza aveva fatto ben sperare: uno stadio pieno per tre quarti aveva creato una bella atmosfera. Ma si trattava di un giorno festivo e c’erano parecchi sostenitori cinesi venuti per sostenere la medaglia d’oro olimpica. Quasi il 40% dei residenti in Arabia Saudita è costituita da cittadini stranieri che sono nel Paese principalmente per motivi di lavoro, e la stragrande maggioranza degli spettatori nella giornata di sabato era visibilmente non-locale, oltre ad avere una proporzione molto elevata di bambini e adolescenti.
Ma d’altra parte il concetto di uno sport femminile è davvero lontano dai canoni di intrattenimento tradizionali sauditi, e il cambiamento dovrà partire dalle nuove generazioni più aperte ai valori e alle abitudini occidentali, oltre ai marchi di fast food, moda ed elettronica che già spopolano nei centri commerciali.
Si può discutere sull’opportunità di portare l’evento principe del tour WTA in un luogo nel quale si sa in partenza che la partecipazione del pubblico sarà estremamente scarsa, creando un ambiente piuttosto freddino. Però a volte non si può avere tutto, e bisogna fare delle scelte dolorose: le WTA Finals rappresentano più del 50% del budget della WTA, ragion per cui devono “funzionare” dal punto di vista economico. I petroldollari del PIF, il fondo di investimento pubblico dell’Arabia Saudita che vale oltre 900 miliardi di dollari, assicurano una robusta copertura economica per l’associazione giocatrici, un montepremi in linea con quello maschile delle Nitto ATP Finals di Torino (in realtà era di poco superiore, prima che l’ATP correggesse immediatamente il tiro per non essere da meno) e la possibilità di essere il primo sport professionistico femminile ad aprire una frontiera inesplorata come quella saudita.
Qualcuno si è dovuto turare il naso, questo è certamente vero, ma se il tennis femminile vuole continuare a competere con il tennis maschile anche quando appare davvero chiaro che il suo appeal commerciale è nettamente inferiore, è necessario andare da chi è disposto a pagare cifre sopra mercato (o addirittura fuori mercato) perché ha secondi fini. D’altro canto non è nulla di nuovo: nel triennio 2011-13 la manifestazione si giocò a Istanbul, sicuramente in un bagno di pubblico con più di 15.000 spettatori a sessione ad affollare lo Sinan Erdem Dome, ma ciò accadde perché i biglietti vennero venduti a prezzi bassissimi (il tagliando più costoso per le finali costava circa 30 euro), e gli organizzatori turchi erano impegnati nella corsa all’assegnazione delle Olimpiadi del 2020, quindi volevano far vedere al mondo di poter organizzare un evento di alto profilo. E quando le Olimpiadi furono assegnate a Tokyo, le WTA Finals dovettero cercare una nuova casa.
Ovviamente non si può fare a meno di pensare all’offerta che era stata avanzata dagli organizzatori di Ostrava e Praga per ospitare le WTA Finals nella Repubblica Ceca. Il montepremi messo in palio sarebbe stato simile a quello di Riyadh, anche se ci sono certezze sulle altre condizioni del pacchetto. In un mercato come quello ceco, di grande tradizione tennistica a livello sia maschile sia femminile, si sarebbe sicuramente potuto riempire anche il più grande degli impianti, la O2 Arena di Praga che può contenere fino a 14.000 spettatori nella configurazione per il tennis e che sarebbe stata a disposizione a partire dal 2025 (per il 2024 era già occupata, e quindi la prima edizione sarebbe stata spostata a Ostrava).
Tuttavia la WTA potrebbe anche aver fatto un ragionamento opportunista: il mercato ceco è consolidato, e non è improbabile che ci siano occasioni di andare a giocare le Finals da quelle parti anche in futuro. I soldi arabi, invece, così come sono venuti potrebbero andarsene, se a Riyadh dovessero realizzare che il giochino tennis non fa per loro, oppure se riuscissero a mettere le mani sul tennis maschile, che è certamente un piatto più prelibato. Il tennis femminile per gli organizzatori arabi è molto probabilmente un mezzo per arrivare a un altro fine, e non necessariamente solo lo “sportwashing”, ma anche il tennis maschile. Anche per il tennis femminile le WTA Finals a Riyadh sono un mezzo per arrivare a un altro fine, ovvero la diffusione del tennis tra le ragazze in un terreno vergine e fino a poco tempo fa inaccessibile.
Un matrimonio d’interesse, come ce ne sono tanti. D’altra parte, business is business.
Da Riyadh, Vanni Gibertini