Paolo Valerio, ancor prima di essere un attore, regista e appassionato d’arte, è un grande appassionato di tennis. All’inizio della nostra lunga chiacchierata, ricorda con affetto quando gli è capitato di vedere il direttore Ubaldo Scanagatta giocare nei tornei di doppio. È uno sport che Paolo Valerio ha sempre amato e che fa parte della sua famiglia: suo prozio Vasco Valerio è stato capitano della Coppa Davis nel 1968 e 1969, prima che la FITP nominasse in suo onore la Coppa Valerio nel 1970.
Lo spettacolo che da venerdì 8 a domenica 10 novembre andrà in scena alle Fonderie Limone di Moncalieri, a pochi minuti dal centro di Torino, nasce da una passione viscerale per il tennis legata al teatro, come ci racconta Valerio: “Era da anni che volevo fare uno spettacolo sull’ossessione del tennis. Nasce come un monologo sull’amore ma in realtà, è intervallato dall’ossessione per il tennis”. Tante le citazioni dedicate ai libri che hanno accompagnato la creazione di questo spettacolo, come Open di Agassi e i numerosi pezzi di David Foster Wallace.
Paolo Valerio interpreta Max, un tennista anni ’80 che ricorda vagamente Bjon Borg: capello lungo, fascia in testa e abbigliamento bianco Lacoste. Max porta delle cuffie di quelle che servono per ascoltare la musica e palleggia contro un muro trasparente di plexiglass. Valerio ci ha spiegato da dove è nata l’idea: “Ho iniziato provando con una pallina attaccata alla racchetta da un elastico, ma non funzionava. Durante la pandemia, mi capitava spesso di giocare nel garage di casa contro il muro. Ed è lì che ho pensato al muro di plexiglass”.
Ma cosa succede esattamente durante lo spettacolo? Valerio ci spiega:“Anche gli spettatori sono in cuffia e grazie al microfono con cui parlo possono ascoltare il monologo di 50 minuti che faccio, senza mai smettere di palleggiare contro il muro. Il rumore della pallina sparisce anche se è uno spettacolo cotruito sulla drammaturgia della pallina. Osservando la pallina, si capiscono le emozioni di Max”.
Durante il monologo sull’amore, Max spiegherà come si può uscire dalla crisi della vita attraverso il tennis. Tirerà circa un migliaio di colpi e poi inizierà la seconda parte: “Chiamerò il pubblico a salire sul palco e darò a tutti una racchetta per provare a palleggiare contro il muro. Voglio che sia un momento di gioia da condividere”.
D: Parla di tennis come una vera e propria ossessione, secondo lei perché le persone sono ossessionate dal tennis?
Valerio: “In questo spettacolo un po’ si spiega. Il desiderio del tennista è talvolta cercare proprio una sorta di perfezione. Quando giochi hai una passione per la partita, per la competizione certo, ma cerchi sempre qualcosa che ti dia quella sensazione di una palla colpita alla perfezione. Quando ti entra il colpo perfetto hai un istante di pura felicità. E allora passi il tempo a ricercare quell’attimo perfetto. È irresistibile il fascino di questo sport, una ricerca della perfezione del colpo che non finisce mai. Il tennis è una metafora da tantissimi punti di vista. Se l’arte potesse essere interattiva come lo è il tennis, ovvero prendendo dei punti per crescere, sarebbe bellissimo”.
D: Nello spettacolo lei dice che Max affronta la crisi della vita giocando a tennis. Crede che grazie al tennis sia più facile affrontare una crisi, qualsiasi essa sia?
Valerio: “Assolutamente sì, ma non solo grazie al tennis, facendo qualsiasi sport. Perché ti permette di lavorare su te stesso e di darti degli obiettivi. Lo sport è salvifico per la vita, soprattutto perché impari a perdere e riconosci di avere dei limiti. Raramente nella vita ti dicono: hai perso. Mentre lo sport ti obbliga a rialzarti dopo una sconfitta. Max nello sport trova una salvezza per la sua esistenza. Inoltre, lo sport è meritocratico e al tempo stesso spietato: non si possono raccontare storie a nessuno perché o vinci o perdi”.