(In collaborazione con Cipriano Colonna)
Il presidente dell’ATP Andrea Gaudenzi parla a Torino e affronta diverse questioni del nostro sport: l’ex tennista faentino pone l’attenzione sul progetto One Vision per creare una guida unica del movimento, sui rapporti con il Vicino Oriente e sui materiali. Con un occhio verso quanto richiede il mercato anche oltre il mero prodotto sportivo.
Il prodotto tennis
Gaudenzi vede come necessario lo sforzo per trovare una sinergia all’interno del mondo del tennis che si misuri con un mercato televisivo su più livelli. “Come incassi e come sponsorizzazioni” – dice – “stiamo andando benissimo e la cosa non era scontata se pensiamo ai dubbi che avevamo durante il Covid. Dove siamo ancora indietro è sul lato media; l’obbiettivo è un pacchetto che permetta all’appassionato di seguire il tennis tutto l’anno. Il nostro progetto One Vision vuole che ci sia una governance unica che tenga tutto il prodotto sotto un solo cappello: una sola entità commerciale, che passa dall’unione di ATP, WTA e Slam per rendere il prodotto finale più chiaro e leggibile per tutti.
Da un anno lavoriamo per unire i diritti commerciali e per la fine dell’anno prossimo potremmo riuscire nell’intento. Il nostro prodotto è combined sia nei quattro Slam che in sei 1000 su nove; è un vantaggio che abbiamo su tutti gli altri sport e così dobbiamo arrivare ai fan. Dovremmo riuscire a coinvolgere anche i tornei major ma quella è una questione più difficile”.
I materiali di gioco, la lunghezza della stagione e Netflix
Sui materiali, argomento che torna periodicamente in discussione e di cui i tennisti stanno parlando a Torino, Gaudenzi cerca un giusto equilibrio: “ci vuole una pallina per swing, mentre non è possibile pensare a una sola per circuito. Ma da Montecarlo a Roma non deve cambiare”.
“Oggi la decisione” – prosegue il dirigente italiano – “non è più dei tornei ma nostra, certo i tempi di esecuzione variano in funzione di contratti preesistenti che devono andare in scadenza. Inoltre, c’è un discorso di caratteristiche specifiche: noi possiamo certo dare indicazioni su determinati standard da soddisfare, poi però sappiamo bene che la funzionalità delle palline è impattata anche da fattori come l’umidità, l’altitudine e altro”.
Il supposto grande interesse sul prodotto tennis si è scontrato con l’interruzione da parte di Netflix della serie “Break Point”. Questo è il pensiero del dirigente italiano: “l’esperimento di Netflix è finito; la decisione è stata loro e certo avranno avuto i loro parametri per prendere la decisione. Non sempre queste piattaforme sono trasparenti nello spiegare le motivazioni; numeri erano buoni… In ogni caso c’è grande richiesta per contenuti non live, al di fuori del tennis giocato e altri player sono interessati”.
Si gioca troppo? Per il presidente non ci sono dubbi. “Sicuramente non c’è abbastanza tempo per l’off-season e una delle ragioni è nel nuovo format della Coppa Davis. Ai miei tempi si finiva con Bercy e l’impegno a squadre riguardava solo i team finalisti; oggi tanti giocatori devono prolungare la stagione fino alle finali di coppa e finiscono a novembre inoltrato.
Non c’è tempo sufficiente per rigenerarsi dal punto di vista fisico e mentale ed è un problema. Certo, la scelta di creare eventi 1000 più forti, opzione in cui credo, va nella direzione di rafforzare l’offerta di qualità con i migliori dieci tennisti sempre più protagonisti. Sono loro i giocatori che veicolano il nostro sport e che propongono delle storie che davvero interessano gli appassionati. Questo può far scivolare qualche evento in altri momenti della stagione e rendere la stessa più lunga”.
L’Arabia Saudita
Il dirigente ATP viene sollecitato in merito ai rapporti dell’associazione con l’Arabia Saudita. “Con il Vicino Oriente le relazioni sono ottime e basate sull’ascolto; abbiamo adottato un approccio aperto, mostrando la volontà di accogliere i loro desideri. I nostri interlocutori sono determinati ad aiutarci nello sviluppo dei nostri progetti di crescita del tennis, che incontrano il loro gradimento. Vogliono investire nel nostro sport e noi a nostra volta li riconosciamo come possibili agenti del cambiamento. Siamo aperti e vogliamo costruire ponti e non muri. Certo la loro società è perfettibile, ma quale non lo è? Inoltre, le storie e i tempi sono diversi: dai primi anni Novanta, quando giocai io a Dubai e Doha, ci sono stati tanti cambiamenti.
Loro sono pronti e vogliono essere un supporto attivo; vogliono aprire e cambiare; in questo deve esserci collaborazione da parte di entrambe le parti. Niente muri, altrimenti arrivano le guerre. Per quanto riguarda” – prosegue sull’argomento Arabia Saudita– “un torneo 1000 da quelle parti, stiamo discutendone ma non sarà prima del 2028, considerando anche la questione degli impianti da costruire”.
La protezione dei Masters 1000 e la riorganizzazione del calendario
“Sicuramente il calendario è un processo estremamente complesso perché è come un puzzle. Ovviamente se metti da una parte devi spostare dall’altra. No assolutamente alla potenziale sofferenza di altri Masters 1000. Il piano One Vision, che fra l’altro gli ha garantito una protezione di categoria per 30 anni, non è in discussione. Se mai dovesse aggiungersene uno, rimarrebbero 10. Hanno anche loro l’idea di ingrandire, di ampliare. Bercy l’anno prossimo andrà in una nuova struttura, che sarà molto più grande. Sì, ci sono potenzialmente dei limiti attuali di infrastruttura ma questo non è detto che non migliori nel tempo e tutti i tornei stanno investendo nelle infrastrutture.
Da Roma a Shanghai a Cincinnati. Vedrete l’anno prossimo un piano fantastico nel site: Canada, Miami tutti i tornei ovviamente sulla base di questo nuovo piano, di maggiore stabilità perché per investire hai bisogno di una visione a medio-lungo termine. Non puoi sempre essere nell’ansia ‘ok, cosa succede fra 10 anni se mi tolgono il torneo ‘. Se vi ricordate, 10-15 anni fa ci fu la discussione del downgrade di Amburgo e Montecarlo. Amburgo venne degradato, Montecarlo si salvò ma l’idea è che tu non puoi lasciare un torneo in quella condizione altrimenti è impossibilitato ad investire per il futuro. Quindi, quei 9 tornei con l’accordo che abbiamo fatto non sono minimamente in discussione.
Il calendario verrà riorganizzato ed è una buona opportunità magari per avere una discussione di più alto livello e ampia con la WTA e i Grandi Slam, che è quello che stiamo facendo e che sta progredendo bene. Perché è il punto dove tutti ci sediamo al tavolo e diciamo ‘ma non è il momento di iniziare a gestire il calendario, il ranking, le regole con tutti allo stesso tavolo ‘ perché gestirlo su 7 tavoli diversi è praticamente impossibile“.
Il tema doping
“Sul doping, noi siamo esterni e indipendenti. Rispetto a quando giocavo io, che non lo eravamo perché all’epoca negli anni ’90 l’ATP avviava un processo interno che giustamente ai giocatori non piaceva. Fortunatamente è stato esternalizzato ed è il caso in cui si sono trovati i giocatori negli ultimi anni. Si può migliorare? Assolutamente sì, tutto si può migliorare in maniera generale. Io non sono esperto in merito, non è una cosa che ho seguito da vicino perché è una cosa esterna e non siamo gli unici. Perché l’ITIA è ATP, WTA, 4 Slam e ITF. Però se devo essere onesto è vero che c’è stata tanta critica ma probabilmente è una di quelle cose in cui i 7 organi si sono avvicinati in primis. E’ l’unico argomento dove veramente collaboriamo e stiamo insieme, poi ovviamente come succede nel mondo arrivare alla giustizia vorremo che fosse più chiaro, trasparente e veloce? Sì, però ci sono anche delle difficoltà in un processo di evidenza, attesa, avvocati, avanti e indietro. Il processo è abbastanza chiaro ma è complesso il tema, quindi inevitabilmente come tutti i temi complessi può apparire perché chi legge un po’ opaco però in realtà se guardi tutto e leggi tutto in chiarezza, il processo è stato gestito come andava gestito“.
Il target di riferimento e il ritorno al passato
“La mia teoria in merito che è chiaramente un’opinione soggettiva, dunque non pretendo che tutti siano d’accordo. Ho tre figli, dai 17 anni 13 anni, quindi vivo questo problema che gli metti una televisione davanti e neanche l’accendono. Guardano sul telefonino una serie televisiva, cosa che io non comprendo. Hai una 55 pollici davanti ma perché hai questo telefonino, perché fanno 38 cose alla volta come i nostri genitori non comprendevano cosa facevano noi perché alla loro epoca c’era qualcos’altro. Però secondo me quello non è il target e non lo sarà mai e non lo è mai stato. Noi ci dobbiamo preoccupare, i giovani di oggi, mio figlio di 17 anni quando arriva a 25-30-40 potranno essere appassionati di un prodotto tennis. Questa è la nostra preoccupazione perché non c’è nessuno sport che può piacere a quel target, quel target ora è videogiochi, esperienza con la PS4 e quindi capisci che è impossibile che possano vedere sport. Perché sono arrivati ad un livello di intrattenimento quelle cose che non c’è verso che si possano appassionare.
Poi c’è il lato live di giocare a tennis, di venire qui a guardare però quando hai quell’alternativa che è fortissima che non sono come i giochi che avevamo noi, come il tetris, fanno paura. Facciamo fatica, poi hai la musica, Netflix. La competizione oggi è pazzesca, TikTok, tutto veloce, video, YouTube che ti dà adrenalina immediata che per quello tipo di mentalità è difficile da battere. Il problema è un po’ quello che succede dopo, per la lunghezza del nostro sport io non credo accorciandolo e cambiando il formato risolvi il problema. Anzi le partite più belle del nostro sport sono 3 su 5 lunghe. Quello che noi dobbiamo fare meglio tagliare, distribuire, highlights. Creare contenuti, se tu puoi prendere quel prodotto e spezzettarlo per darlo in forme diverse su canali diversi in funzione dell’audience.
Magari ad una persona più giovane lì do 60 secondi di azioni salienti, non live perché oggi la gente guarda anche un po’ meno il live. Lo può guardare uno al giorno, poi incomincia a guardare il telefonino, guarda su un IPad, arriva a casa e guardo sulla tv. Oggi è tutto multipiattaforma, è cambiato il modo di consumare contenuti. Chi riesce a fare quello, quindi a spezzettare in funzione di quello che il consumatore vuole, secondo me vince. Non andrei però a stravolgere il cuore del nostro prodotto, che onestamente parlando è l’unica cosa che funziona. Chiunque ha inventato questo gioco alla fine del’800 la ha inventato con certe caratteristiche per un motivo, noi abbiamo solo il dovere di presentarlo perbene e potremmo fare meglio. Ma non andrei a toccare il tennis, poi potete dirmi che io lo dica perché sono un ex tennista. Però i dati dicono che oggi il tennis ha un miliardo di spettatori, ma sui media monetizza 1,3%. Quindi è la capacità di venderlo che manca. Come prodotto intendo il calendario, il formato quello sì che dobbiamo migliorare.
Ma il gioco del tennis sul campo come durata no, anzi io sono uno che vorrebbe andare sulle finali dei Masters 100 tornando al 3 su 5. Questa è una decisione nostra, non è una decisione che vogliamo prendere adesso perché siamo in discussione per altre tematiche con gli Slam però ne parlavo anche con Roger alla Laver Cup. Le partite più belle del tennis che ricordo sono 3 su 5 e noi non possiamo avere un prodotto dove fra 30 anni non ricordi nessuna partita. Ma anche qui alle Finals, per me Masters 1000 e Finals perlomeno la finale 3/5. Non sono un gran fan dei primi turni 3 su 5, però le partite più importanti sono un altro discorso perché verso la fine del torneo dove tu hai meno partite e dunque meno contenuto. Poi, puoi guardare un primo set poi andare a mangiare e tornare a guardare il match, ne guardi un pezzo dal telefonino quello che vuoi però non andrei a dire facciamo 2-2 tie-break e via. Quello che secondo me va a distruggere lo sport.
Record di audience ma il tennis internazionale può crescere ancora
“Io sono sempre stato il primo fan del tennis e sono stato sempre un po‘, non dico invidioso ma ovviamente il calcio ci sovrastava. Adesso Jannik sta tirando su il tennis, quindi se stasera il tennis batte il calcio io sono il più contento del mondo. Sarebbe la prima volta non lo so, se il tennis batte la nazionale ditemelo perché sarei il primo ad essere contento. Sarebbe stupendo, un sogno, io che sono cresciuto nell’epoca dove aprivamo i giornali e dovevi andare a trovare il tennis alla trentottesima pagina nel trafiletto, io mi arrabbiavo. Ovviamente non avevamo Jannik però se questo movimento aiuta a farlo crescere siamo tutti contenti noi che siamo del settore. A livello internazionale non ha avuto la crescita che ha avuto in Italia. Devo dire che a livello generale in realtà stiamo crescendo. Quest’anno record di audience, sia televisiva che di biglietteria. Gli Slam se guardi anche loro, numeri da record. Però e questo è il mio stimolo a tutti di cercare quella frase ‘stiamo andando bene però dobbiamo ambire ad andare sempre meglio’. Perché se guardi le altre leghe, soprattutto la Formula Uno, la Champions League, NBA, NFL; lo sport sta andando in una direzione dove c’è sicuramente più attenzione, più business ma per meno consumatori. Perché oggi l’appassionato ha un’infinita opzione di alternative, dai videogiochi alla musica, Apple, contenuti, social media. Quindi lo sport sta sì aumentando ma sta andando verso una tendenza di premium. E a mio parere, il tennis ha la possibilità di entrare in quel tirone premium però dobbiamo assolutamente unirci perché possiamo arrivarci soltanto se siamo tutti insieme“.
Sulle lamentele di Bolelli/Vavassori in merito al killer point e al super tie-break
“Ovviamente quella è stata una decisione preso tempo fa più per tempistiche. Hai il programma che oggi inizia alle 14, Jannik gioca alle 20.30 se prima hai un doppio con quelle regole hai più certezze. E’ stato guidato da un problema di organizzazione dettata dalle televisioni che posso capire che da un certo punto di vista se sei lì e la partita è stupenda, sarebbe meglio un altro set. Se però deve ritardare e il pubblico non riesce a guardare Jannik alle 20.30 e deve aspettare le 21.15, quello è stato un po’ un compromesso che è stato fatto a livello organizzativo dando priorità al singolo“.
Il bilancio del quadriennio di Finals torinesi
“Sulle Finals devo dire che siamo contentissimi, abbiamo superato le aspettative. Un po’ di tensione devo dire c’era, arrivando da Londra. Era un evento stupendo in una città stupenda, arrivati qui si è iniziato col COVID. Quindi ansia, problematiche, fuori, dentro, gli spettatori. Adesso è diventato un evento stupendo, se devo dire la sorpresa al di là del calore del pubblico e della fortuna di avere Jannik perché i successi dei giocatori italiani inevitabilmente aiutano a migliorare l’atmosfera, però il prodotto anche a livello di show sul campo, luci, illuminazioni, lo stadio, le infrastrutture, è stato tutto meraviglioso. Ma la cosa che più di tutte ho apprezzato e che poi è ciò che dicono tutti quelli che vengono qua è l’integrazione con la città perché arrivi, noi oggi abbiamo avuto le riunioni con tutti i tornei. Tutti arrivano, escono, vanno a camminare in città e sembra proprio di vivere il tennis in tutta la città e quindi l’integrazione di abbracciare l’evento in città è una cosa che mi è piaciuta tantissimo. Sicuramente Torino ha dato quello che doveva dare se non di più. Ovviamente poi ci sono da fare i complimenti alla FITP perché l’organizzazione era in mano loro, sotto la nostra supervisione ma gestita unicamente da loro. Siamo stracontenti, non c’è nessuno che si è lamentato di questo evento“.