Se prendeste il mio editoriale di ieri e sostituiste al nome di Jannik Sinner quello di Sasha Zverev vi accorgereste che nel gruppo Newcombe (Zverev, Ruud, Alcaraz, Rublev) la situazione dopo due giornate di gara (per gruppo) è identica a quella del gruppo Nastase (Sinner, Fritz, Medvedev e de Minaur).
Ammaestrato dall’esperienza “matematica” di ieri, stavolta forse si soffre di meno mal di testa per fare i calcoli da ragioniere. Il fatto che tutti gli 8 incontri si siano conclusi in 2 set, senza cioè far mai ricorso al terzo, semplifica un po’ i conti.
Così come a Sinner basta vincere un solo set stasera contro Medvedev per qualificarsi per le semifinali, anche a Zverev – vittorioso come Sinner nelle prime due partite, sia con Rublev sia con Ruud – basterà vincere un set contro Alcaraz venerdì per qualificarsi per le semifinali.
Se Sinner e Zverev vincono un solo set non sono però automaticamente n.1 del loro gruppo. Un conto è qualificarsi, un altro è finire primi.
Allo stato attuale delle cose nessuno degli otto giocatori è matematicamente eliminato. Neppure de Minaur e Rublev che pure hanno perso due incontri su due e soprattutto il primo pareva un po’ il vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. E secondo me lo è. Può vincere solo se trova gli altri in giornata no.
Anche se non credo proprio che accadrà, i due chiamati in questione, l’australiano e il russo, potrebbero teoricamente vincere il terzo match che li aspetta e ritrovarsi con una vittoria e due sconfitte insieme ad altri due giocatori del loro gruppo dominato dal quarto giocatore che avrebbe invece vinto tutti e tre i suoi match. Per intendersi quel quarto tennista sarebbe Sinner e Zverev (vale a dire, sullla base di quanto visto fino ad oggi, i netti favoriti per chiudere al primo posto i rispettivi gironi).
Insomma fra i 3 tennisti improbabilmente appaiati da una sola vittoria in ciascuno dei due gironi, il passaggio alle semifinali come secondo nel proprio girone spetterebbe a chi avesse vinto più set e, secondariamente, più game.
Il piccolo scrivano fiorentino – le mie sono qui reminiscenze… di “Cuore”, il libro strappalacrime di Edmondo de Amicis – ci si è trovato due volte in una simile intricata situazione. E le ricordo qui.
Nel 2006 a Shanghai quando Nalbandian, Ljubicic e Roddick avevano appunto vinto un match ciascuno e Roger Federer tre. Passò in semifinale Nalbandian – ma non perché aveva vinto il Masters l’anno prima – perché aveva vinto 4 set e persi altrettanti. Non contò il fatto che avesse fatto meno game degli altri. Quel Masters cinese fu poi vinto da Federer su Blake.
Ma il caso ancora più clamoroso fu quello delle finali WTA di Singapore 2015, l’anno della memorabile finale tutta italiana all’US Open, Pennetta-Vinci.
Infatti in entrambi i gironi di quel Masters si verificò il caso di una giocatrice che aveva vinto tutti i 3 incontri del suo girone, furono Sharapova e Muguruza, e tutte le altre sei avevano invece vinto un solo match perdendone due.
Alla fine il torneo lo vinse proprio una di quelle sei ragazze già battute e ribattute, la polacca Radwanska che, appunto, aveva perso due volte nel round robin (una da Flavia Pennetta, 76 64). Un caso più unico che raro, quello di un campione che vince un torneo di grandissimo prestigio come un Masters di fine anno, pur avendo perso due partite nel corso di una settimana. Roba che faceva inorridire il vecchio maestro Rino Tommasi.
Ma la formula del Masters piace alla gente, e agli organizzatori, perché consente di vedere i migliori giocatori un minimo di tre volte (ma anche cinque) in una settimana. Ha però anche i suoi inconvenienti. Il tennis più…”giusto” è quello tradizionale, quello dell’eliminazione diretta. Chi perde torna a casa.
Se Sinner e Zverev perdessero rispettivamente da Medvedev stasera e da Alcaraz domani pomeriggio, ma Fritz battesse de Minaur e Ruud battesse Rublev, ci sarebbero in ciascun gruppo tre tennisti con due vittorie e una sconfitta, più un giocatore (de Minaur e Rublev con tre sconfitte e quindi eliminati).
Se non vi siete addormentati fino ad adesso, ora si può parlare di tennis, ma non prima di avervi ammannito un altro dato: il 2014 fu l’ultimo anno in cui tutti i primi 8 incontri dei due round robin si conclusero senza far mai ricorso al terzo set. Rispetto ai giorni scorsi, però, almeno sono rispuntati i tiebreak. Non ce n’era stato neppure uno nei primi sei incontri. Ieri ce ne sono stati due, nel 63 76 vinto dal risorto Alcaraz con Rublev – poteva qui esserci anche il primo terzo set …il russo ha avuto un paio di setpoint – e nel 76 63 vinto da Zverev su Ruud. Due belle partite, fra le migliori – con Sinner-Fritz – di quelle giocate fin qui. Tre su 8, dai può andare.
Quel 2014 a Londra (nel quale dopo il secondo incontro si ritiro l’infortunato perenne Milos Raonic, sostituito dalla riserva David Ferrer) – ecco finalmente un aneddoto!- lo ricordo bene perché lì accadde il famoso episodio che rischiò di rovinare sia una grande amicizia sia l’unica coppa Davis vinta dalla Svizzera una settimana più tardi.
Federer e Wawrinka, l’un contro l’altro armati da n.2 e n.4 d mondo, ingaggiarono in semifinale una furibonda e spettacolare battaglia. Che fu vinta da Roger su Stan The Man, 46 75 76 (8-6), ma dopo che Wawrinka – scrisse benissimo su Ubitennis Luca De Gaspari – non riuscì a trasformare ben quattro matchpoint. In particolare uno di quelli sbagliando una volee assai facile come si può leggere…https://www.ubitennis.com/blog/2014/11/15/atp-finals-commenta-live-roger-federer-vs-stan-wawrinka/
Chi non riuscì proprio a controllarsi, nel clima rovente che si era creato in quel match che durà 2 ore e 42 minuti, fu Mirka Federer che a un certo punto, vedendo Wawrinka disperarsi per le tante occasioni mancate e semitravolto dal susseguirsi delle forti emozioni, dimenticò l’amicizia fra i due compagni di Davis, partner e campioni olimpici in doppio a Pechino 6 anni prima, e gridò all’indirizzo di Wawrinka una frase davvero antipatica: “Cry baby cry!”come riferirono i vicini di posto ma pare che fu udita anche in tv. Davvero a Stan sarebbe venuta voglia di piangere. E forse lo fece, lì e negli spogliatoi. Mirka gli aveva detto del bamboccione.
Wawrinka uscì dal campo furibondo. Con Federer non aveva più voglia di parlare. E ancora meno fu contento quando all’indomani, domenica, Federer che doveva affrontare in finale Nole Djokovic trovandosi allora ancora in vantaggio nei confronti diretti 19 a 17, ancora prima di scendere in campo si ritrovò costretto a ritirarsi in preda a una lombalgia furiosa.
I due svizzeri dovevano ritrovarsi già 24 ore dopo la finale mancata fra Roger e Nole, a Lilla, per la finale di Coppa Davis contro la Francia in uno stadio, il Pierre de Mauroy, in cui i cugini d’oltralpe avevano preparato una vera trappola in lenta terra battuta. C’era tensione fra i due compagni di squadra. Federer aveva mal di schiena e fino a due giorni prima del match giocato nel weekend 21-23 novembre, non era riuscito ad allenarsi seriamente nonostante gli antidolorifici. La sua partecipazione fu così incerta fino all’ultimo. Infatti, dopo che Wawrinka aveva battuto Tsonga, Roger giocò e perse in tre netti set (61 64 63) da un sovreccitato Gael Monfils. Il capitano svizzero Luthi ebbe il suo bel daffare per ricreare un buon clima fra Roger e Stan che però fecero buon viso al cattivo momento e vinsero il doppio. Poi Roger procurò il punto del 3-1 (battendo Gasquet che aveva sostituito l’infortunato Tsonga) per la prima e ultima Coppa Davis vinta dalla Svizzera.
Torno a…Torino. Dove Zverev ha continuato a giocare, e soprattutto a servire, in modo impressionante. Aveva perso 10 punti in 10 game di servizio con Rublev, ne ha perso 11 in 11 turni di servizio con Ruud, “il miglior Ruud per come ha servito anche lui e per come non lo avevo mai visto giocare a questi livelli su campi indoor” ha detto Zverev che, se avete fatto il facile conto dopo quelli ben più complessi sugli scenari delle qualificazioni alle semifinali, perde di media un solo punto a turno di servizio. Ha servito 21 game, ha perso 21 punti. Pazzesco (come ormai si usa dire in tv con l’aggettivo più inflazionato degli ultimi anni)!
Fatto questo conticino l’ho voluto far presente a Sasha, aggiungendo: “E poi non fai più nemmeno tutti quei doppi falli di una volta!”. Ieri sera uno solo, al termine di un match nel quale – lo scrivo ma l’avevo dato per scontato – non ha concesso neppure una pallabreak.
E lui, sorridente e simpatico – non so se in quel frangente abbia toccato legno sopra o sotto il tavolo, o magari altro – mi ha risposto così: “Se mi fanno il break nel prossimo match è colpa tua! – e ridendo- Se faccio un doppio fallo sulla pallabreak, penserò soltanto a te. E… sarà la sola ragione!”
Con me Sasha, carattere che non piace a tutti, è invece sempre stato cordiale e simpatico. Forse dai tempi in cui a Madrid si era lamentato del fatto che pur essendo arrivato alle fasi finali del torneo non c’era quasi nessuno tedesco, né fan né giornalista, a sostenerlo e io allora avevo cercato di consolarlo scherzandoci su: “Dai su, se hai per caso un nonno italiano vieni da noi e ti si fa subito il passaporto! Noi ti sosterremmo di più di sicuro”.
Erano tempi in cui di un Sinner number one non c’era neppure l’ombra!
Detto che zitti zitti i tedeschi hanno intanto già qualificato (battendo ahinoi i nostri Vavassori e Bolelli) per le semifinali del doppio i loro Krawietz e Puetz – cognomi che potrebbero esser da cartoni animati, tipo i giapponesi Holly e Benji – e curiosamente sono anche i primi ad esserci mai riusciti nella storia del tennis tedesco ai Masters(Becker e Stich hanno vinto l’oro olimpico di doppio a Barcellona 1992, e io c’ero, ma è un’altra storia) e ricordato che il Bole e Vava possono ancora farcela se venerdì batteranno Arevalo e Pavic (bestie nere sul tritato rosso, ma forse meno sul cemento azzurro), a me pare che questo Zverev se continua a servire così, a muoversi così, a giocare bene anche di dritto come adesso, sarà un osso davvero duro anche per il nostro stupefacente Sinner.
Ma poi il tennis è imprevedibile e magari Zverev non indovina la giornata e perde già domani nel pomeriggio dal semi resuscitato Alcaraz complicandosi la vita. Se Sasha dovesse perdere mi auguro che non accada facendo doppi falli sulle pallebreak! In quel caso mi troverei fortemente imbarazzato a frequentare il post match nella sala delle conferenze stampa.
Che bello, oggi ho scritto tante righe, ma pochissime di Jannik Sinner…un po’ per non procurarvi indigestione e riflusso, ma forse anche perché Medvedev stasera, pur nella sua imprevedibilità, dopo aver perso da Jannik sette volte delle ultime otto, non mi sembra più temibile come fino a un anno e mezzo fa. Non l’ha detto lui al mio collega russo che in questi giorni si sente vuoto dentro, senza energie per lottare? Dai, Sinneriani, scusatemi, mi riscatterò trovando al vostro idolo nuovamente spazio sull’editoriale di domani. Mica posso scrivere sempre di Jannik, mattina e sera, giorno e notte, settimana dopo settimana. Sono già 23 quelle in cui è n.1 del mondo. Anche noi giornalisti abbiamo bisogno di un po’ di break, di sano riposo. Ma secondo quanto ha anticipato Zverev ieri sera “So già che cosa accadrà dal 2026 in poi, ma non ve lo dico…”, dovremmo presto aver la conferma ufficiale di quel che lui sa già riguardo al prolungamento delle ATP Finals a Torino. Il contratto avrebbe dovuto scadere con l’edizione del 2025, ma oggi, forse già stamani, Andrea Gaudenzi, presidente dell’ATP, potrebbe annunciare qualcosa di più e…di bello che, peraltro, è nell’aria da tempo. Ad maiora. Seguiteci e saprete.