La ITIA ha accettato le spiegazioni fornite da Swiatek, però non ha tenuto di escludere completamente dolo e negligenza perché:
- L’articolo 4.2.1.5(a) del TADP ricorda che “molte sostanze proibite possono essere contenute (sia come ingredienti elencati o come contaminanti non indicati) nei supplementi e nelle medicine disponibili con e senza ricetta”. I giocatori, in quanto strettamente passibili di pena per qualunque sostanza proibita contenuta nei campioni, sono responsabili di assicurarsi che le sostanze proibite non entrino nel loro organismo
- È risaputo che i prodotti possono contenere sostanze che non sono indicate nella lista degli ingredienti;
- Anche se non c’erano molti passi che Swiatek avrebbe potuto intraprendere per impedire la violazione, avrebbe comunque potuto selezionare la melatonina da un lotto testato a scopi anti-doping, oppure avrebbe potuto farlo testare lei stessa.
- Inoltre la melatonina non è universalmente considerata una medicina, ma è regolata diversamente in diverse giurisdizioni. Ragion per cui, la melatonina ha quindi un livello di rischio più elevato per la contaminazione rispetto alle medicine che vengono considerate tali in tutto il mondo, proprio perché esistono giurisdizioni (tra cui gli USA) nel quale la produzione di questa sostanza è meno regolata e di conseguenza più soggetta a potenziali contaminazioni. Non sarebbe giusto considerare una sostanza (in questo caso la melatonina) una medicina invece che un supplemento o altro in base a quanto accade nella giurisdizione di riferimento dell’atleta in causa, perché ciò costituirebbe una discriminazione nei confronti degli atleti di altri Paesi. In ogni caso, la definizione di una sostanza come medicina non esenta l’atleta dal suo dovere di “assoluta cautela”, di conseguenza non è possibile sostenere l’assenza di dolo o negligenza
Tuttavia la ITIA ha accettato che la colpa dell’atleta in questo caso non sia significativa, giustificando pertanto la riduzione dal punto di partenza dei 24 mesi. È stato quindi proposto, e accettato dall’atleta, un periodo di squalifica di un mese.
Gli effetti pratici
Siccome la positività è stata riscontrata in un controllo fuori dalle competizioni, nessun risultato di Iga Swiatek sarà eliminato come risultato della positività stessa.
Tuttavia, il TADP prescrive che “ogni risultato ottenuto dall’atleta nel periodo che comincia dalla data della raccolta del campione in oggetto [12 agosto] e che termina con l’inizio di una sospensione cautelativa [12 settembre] deve essere squalificato”.
Quindi verranno tolti punti e prize money per il torneo di Cincinnati (390 punti e 158.944 dollari), ma dal momento che Swiatek è stata testata allo US Open e risultata negativa, i suoi risultati a Flushing Meadows e in tutte le competizioni successive rimangono validi.
La squalifica di un mese, che inizia dalla data della decisione (27 novembre) sarà decurtata dei periodi di sospensione già osservati, ovvero quello dal 12 settembre al 4 ottobre (in base a quanto descritto nella timeline) e quindi terminerà il 4 dicembre, nel bel mezzo della off-season.
La decisione è appellabile da WADA oppure da POLADA (l’agenzia antidoping della Polonia). Entro 15 giorni dalla data della decisione (27 novembre), le due agenzie possono chiedere la copia completa del caso alla ITIA. Dal momento della ricezione dell’incartamento hanno poi altri 21 giorni per avanzare richiesta di appello al TAS di Losanna.
Swiatek vs Sinner
Naturalmente viene spontaneo fare dei paralleli (per quanto magari non del tutto calzanti) tra questo caso che ha coinvolto la campionessa polacca Iga Swiatek e quello che vede ancora impelagato in una battaglia legale il n.1 del tennis maschile Jannik Sinner. Allo scopo di questo confronto, considereremo come veritiere le ricostruzioni dei fatti fornite dai giocatori e dai loro team e comunque già considerate come credibili dai tribunali di primo grado.
Partiamo con le similitudini, che non sono tantissime.
Sono entrambi casi che riguardano un controllo anti-doping fallito, anche se nel caso di Sinner si tratta segnatamente di due controlli anti-doping risultati positivi.
In entrambe le situazioni gli atleti hanno dichiarato di non aver volontariamente assunto la sostanza in questione, fornendo spiegazioni alternative (corroborate da prove) su come la sostanza proibita sia potuta entrare nel loro organismo. Di conseguenza si sono appellati alle regole 10.5 e 10.6 del TADP per ottenere una riduzione della pena standard per la loro prima violazione, ovvero una squalifica di quattro anni.
I casi sono giunti alla conclusione della fase di primo grado: nessuno dei due atleti è stato ritenuto colpevole di aver intenzionalmente assunto sostanze proibite per migliorare le proprie prestazioni sportive, per cui non si può parlare di doping in senso stretto.
A Swiatek è stata comminata una squalifica di un mese, decurtata dei periodi di sospensione cautelativa già scontati, in base alla regola 10.6 del TADP; a Sinner invece è stata riconosciuta l’assenza di dolo o negligenza in base alla regola 10.5, eliminando totalmente la squalifica.
E qui cominciano le differenze: Sinner è stato trovato in ottemperanza dell’onere della prova più restrittivo, ovvero quello della “massima cautela”. Secondo il Tribunale Indipendente, non c’era davvero nulla che Sinner potesse fare per impedire la contaminazione avvenuta attraverso le mani ferite del fisioterapista Giacomo Naldi curate (a sua insaputa) con il Trofodermin (contenente la sostanza proibita Clostebol).
Per quel che riguarda Swiatek, invece, il Tribunale Indipendente ha ritenuto ragionevole (anche se moderatamente) aspettarsi che la polacca scegliesse le pastiglie di melatonina da un lotto pre-testato, oppure che effettuasse un test indipendente di un campione dai flaconi in suo possesso.
Cio che rende diversi i due casi, poi, è che Swiatek ha volontariamente aperto un flacone, preso una pillola e l’ha ingoiata. Nel caso di Sinner quest’azione non c’è mai stata: il tennista italiano non si è mai applicato lo spray autonomamente, e non l’ha nemmeno fatto uno dei suoi dipendenti, con o senza il suo consenso. A norma di regolamento, infatti, l’azione di un membro del team sarebbe immediatamente equiparata a quella di Sinner, anche se il giocatore non ne fosse stato a conoscenza. Nel caso di Sinner è stato il membro del team ad applicare uno spray contenente la sostanza proibita sul proprio dito, e poi tramite un contatto successivo la sostanza proibita è entrata nel corpo del tennista.
Come sappiamo, nel caso di Sinner la WADA ha presentato appello al Tribunale di Arbitrato dello Sport (TAS) di Losanna perché non trova corretta la decisione di assolvere da ogni dolo o negligenza il team di Sinner. Nel caso di Swiatek la strada del ricorso è ancora aperta, vedremo se verrà intrapresa dalle entità in causa.
Come già fatto notare in precedenti articoli, è probabile che la WADA sia in disaccordo con il fatto che Sinner e il suo team abbiano adottato la “massima cautela” per evitare la contaminazione involontaria, condizione questa necessaria per applicare la regola 10.5 del TADP. Di conseguenza, qualunque sia l’esito del ricorso è probabile che emergeranno informazioni supplementari su ciò che gli atleti devono fare per essere ritenuti privi di colpa o negligenza nel caso di “doping accidentale”, come la stessa WADA lo ha chiamato presentando la sua più recente iniziativa.