La popolarità di Borg era alimentata dalle vittorie. L’imbattibilità a Wimbledon, iniziata nel 1976 e confermata edizione dopo edizione, era qualcosa senza eguali in epoca moderna e colpiva ancora di più i profani che i tecnici del tennis. I giornalisti specializzati, infatti, lo seguivano in tutti i tornei e lo vedevano anche perdere. Ma per il grande pubblico le cose erano più sommarie; gli appuntamenti erano limitati: ad esempio in Italia erano coperti televisivamente soprattutto Roma, Roland Garros e Wimbledon. E nei due Slam europei Borg non perdeva più.
La finale dei Championships 1980 (5 luglio), quella con il tiebreak da 34 punti contro McEnroe (1-6, 7-5, 6-3, 6-7(16), 8-6, con Mac capace di salvare 7 match point nel quarto set), avrebbe poi aggiunto una sorta di alone mitologico alle sue imprese, trasportandolo in una dimensione superiore. Nell’estate 1980 ero a Londra, ho visto la partita in un locale che raccoglieva inglesi e turisti stranieri: decine di persone ferme per ore a seguire il match, ipnotizzate da un evento che fino a qualche anno prima sarebbe stato riservato a pochi selezionati conoscitori.
E proprio l’avvento ai vertici del tennis di John McEnroe avrebbe completato il quadro: la presenza di un avversario del genere, di un “opposto” di quel tipo – opposto sotto tutti gli aspetti: tecnici e caratteriali – regalava il tocco definitivo alla figura di Borg. “Fire & Ice”: nemmeno fosse stata costruita a tavolino si sarebbe potuta immaginare una rivalità così assoluta, così perfetta.
Dopo quel sabato londinese del luglio 1980, dopo quello straordinario tiebreak, dopo 3 ore e 53 minuti di lotta sulle montagne russe del punteggio, i due protagonisti era ormai legati l’uno all’altro per sempre. In fondo Borg e McEnroe si sono ufficialmente affrontati solo 14 volte nell’arco di appena 4 anni. Eppure è bastato perché il binomio diventasse leggenda dello sport, un archetipo con il quale si sono dovute confrontare tutte le rivalità successive. Secondo Steve Tignor, che di recente ha rievocato quel match, il tennis non ha mai più avuto un picco di popolarità e di influenza culturale come quella raggiunta in quel periodo. Per quanto possa contare, anch’io tendo a pensare la stessa cosa.
Ma rischio di divagare. Torniamo alla Svezia e a Stenmark, agli ABBA e Borg. Un altro anno a caso, il 1978: Stenmark vince la coppa del mondo assoluta, ma anche i Campionati Mondiali in Slalom e Gigante. Borg conquista l’accoppiata Wimbledon/Roland Garros, mentre gli ABBA continuano a macinare successi, grazie a canzoni super-orecchiabili, di quelle che non ti puoi togliere dalla testa anche se magari nemmeno di piacciono.
I grandi successi significano grandi guadagni. E, dato che la Svezia aveva le aliquote fiscali più alte del mondo, anche tentativi di fuga dalle tasse: gli sportivi attraverso il trasferimento della residenza a Montecarlo; gli ABBA con escamotage contabili di vario genere, troncati però da una condanna per evasione fiscale. Effetti collaterali di una affermazione globale, realmente senza confini.
Ma con l’inizio del nuovo decennio, quasi contemporaneamente, così come avevano conquistato il mondo, comincia la parabola discendente. A Stenmark per la verità la fecero sporca: di gran lunga più longevo dei tre, avrebbe vinto ancora per molti anni gare singole, ma non più le Olimpiadi e la Coppa del Mondo generale. Le nazioni alpine (attraverso i loro dirigenti più influenti nella FIS) avevano architettato il cambio di calcolo del punteggio per fare in modo che chi stravinceva in due sole discipline – evitando la discesa libera – venisse penalizzato. E così nell’albo d’oro della Coppa del Mondo generale, invece che una lunga serie di “Stenmark”, si leggono nomi come Luescher, Wenzel, Mahre. Per carità, fior di sciatori, ma niente a che vedere con Ingemar. Non solo: dopo i due ori (speciale e gigante) alle Olimpiadi del 1980 di Lake Placid, si trovò anche il cavillo regolamentare per impedirgli di prendere parte ai Giochi del 1984 a Sarajevo.
Gli ABBA finirono la loro storia tra l’80 e l’82: le due coppie che componevano il quartetto – e che nella vita erano marito e moglie – divorziarono. E poi Agnetha Fältskog, una delle due voci-guida del complesso, non ne voleva più sapere della vita errabonda da popstar: desiderava fermarsi e dedicarsi ai figli piccoli. Il gruppo che aveva fatto delle canzoni leggere e ballabili un marchio di fabbrica, produsse una ultima grande hit, questa volta amara e riflessiva, dedicata proprio alla separazione:
Gli ABBA aprirono la strada ad altri gruppi svedesi, ma nessuno sarebbe stato in grado di raggiungere lo stesso successo. Gli Europe? I Roxette, i Cardigans? Niente di paragonabile. Però oggi esiste una radicata scuola di produttori e autori pop svedesi di notevole influenza mondiale.
Nello sci, dopo Stenmark arrivarono Strand, Nyberg, Fogdoe; nemmeno vicini al livello di Ingo. Sarebbero occorsi alcuni anni per vedere affermarsi soprattutto tra le ragazze campionesse come Wiberg e Paerson. E Borg? Björn si ritirò esattamente nello stesso periodo degli ABBA: a 26 anni, stanco di giocare, in lotta con i vertici del tennis che volevano partecipasse a un numero minimo di tornei – o che altrimenti partisse dalle qualificazioni – e con McEnroe pericolosamente in crescita.
Probabilmente in Svezia Borg era stato il fenomeno più dirompente, tanto è vero che in patria si moltiplicarono i tennisti. Due dati fra i tanti possibili: negli anni ‘80 sono entrati in Top 100 ATP ben 26 giocatori svedesi differenti, e dei 39 Slam assegnati nel decennio, 13 sono finiti in Svezia. Ma soprattutto ci fu continuità ai vertici mondiali: Borg vinse il suo ultimo Roland Garros nel 1981, ma già nel 1982 ad aggiudicarselo fu il diciassettenne Mats Wilander. E nel 1985 Stefan Edberg avrebbe conquistato in Australia (sull’erba del Kooyong Stadium di Melbourne) il suo primo Slam, battendo in finale proprio Wilander, in un confronto tutto svedese.
Borg, Wilander, Edberg: tre autentici numeri uno, prodotti nel giro di dieci anni da una nazione di pochi milioni di abitanti e senza grandi tradizioni nella disciplina. Cinquant’anni dopo, sappiamo che da allora sono accadute due cose. La prima: per la Svezia quella stagione di grandi successi tennistici si è rivelata irripetibile. La seconda: a distanza di mezzo secolo, i suoi campioni non sono stati dimenticati. Come, del resto, non sono state dimenticate le canzoni degli ABBA.