“Sono piuttosto maniacale in questo: se a colazione mangio le uova e poi vinco il match, allora il giorno dopo non cambio menù. Lo so, su questo sono rigido”. È scaramantico questo ragazzone (193 centimetri) della California, la cui storia non richiama in nulla le vicende giovanili di un predestinato.
Nato il 25 agosto del 2004 in California, inizia l’attività agonistica nel circuito cadetto nel marzo del 2022. Nella sala dei trofei entrano così quattro titoli: il primo a East Lansing, Michigan, in novembre. Nel 2023 a gennaio fa centro a Edmond in Oklahoma, più avanti ancora è il migliore a Chicago e a Knoxville; quest’ultimo successo gli apre la strada per la top 100. Siamo a novembre.
Nel frattempo, Alex esordisce nel perimetro maggiore nel giugno del 2023 sull’erba di Maiorca, rimediando una sconfitta da Eubanks. A luglio è già in finale a Newport ma perde da Mannarino. Gli riesce come detto l’ingresso nella top cento e a fine anno disputa le Next Gen Finals, perdendo però tutti e tre gli incontri del Round Robin.
È autore di una crescita costante, senza particolari strattoni: a Newport torna in finale e impegna a fondo il connazionale Marcos Giron, che prevale solo 7-5 nel set decisivo; a Cincinnati incrocia Sinner, che lo batte 6-4 7-5 e a Winston-Salem raggiunge l’atto conclusivo ma un altro italiano lo ridimensiona, lasciandogli appena tre game: Lorenzo Sonego. A Shanghai perde da Djokovic dopo due tie-break mancando due setpoint per prolungare la sfida alla terza frazione e a Metz si arrende a Bonzi, futuro vincitore del torneo, in semifinale.
Una progressione lenta ma tenace che lo porta alla posizione numero 41 nel ranking, suo approdo a più alta quota in carriera, con speranze concrete di entrare presto nei migliori 20. Il suo gioco è il più classico di questi tempi, con big serve e fondamentali potenti e ben costruiti; il salto di qualità lo spiegano in tandem Alex e Robby Ginepri, già numero 15 del ranking nel 2005 e coach dello statunitense. “Alex” – dice Robby – “è un giocatore dall’alto quoziente d’intelligenza. Ha intuito e sa leggere la situazione contingente sul campo.
La preparazione atletica
Il suo limite” – continua Michelsen stesso – “è l’aspetto atletico. Fino allo scorso anno non ci occupavamo nemmeno di fitness. Si può dire che solo da marzo di quest’anno abbiamo un piano in questo senso. Io, come tutti gli atleti alti, devo lavorare per crescere in coordinazione e negli spostamenti. I risultati di questo impegno si vedono già perché migliorando la qualità degli appoggi nell’esecuzione dei colpi la resa degli stessi è superiore e la mia fiducia in loro cresce di pari passo”.
I miglioramenti evidenti non lo portano a montarsi la testa; Alex lavora per spingere in alto i propri limiti, dimostrando di conoscersi bene come atleta: “Fino a due anni fa circa ero bravino, ma non certo un grande. Non ero sicuro di continuare a giocare ed ero incerto se studiare per conseguire il mio Business Degree o provare con il tennis. Alla fine, ho scelto e ora sono davvero felice. Viaggiare, giocare a tennis e divertirmi: più di così…”.
Bravino; in effetti c’è molto da lavorare, soprattutto quando bisogna ribaltare lo scambio per non soccombere al ritmo dell’avversario che spinge. Alex se ne accorge quando ritrova Jannik quindici giorni dopo la sfida di Cincinnati, a New york: dopo essere riuscito a dividere equamente i primi otto game con il campione altoatesino, Michelsen ha cominciato a perdere efficacia con il servizio e a subire le sferzate del rivale sin dalla risposta, giocando in rincorsa per tutto il resto dell’incontro e raggranellando solo due altri game mentre il campo sembrava essere via via troppo grande per le sue possibilità.
Tutto fa parte della crescita, anche le batoste più urticanti; lui lo sa bene e va avanti, forte delle sue certezze. Dopo il suo vittorioso primo turno contro Ramos-Vinolas allo US Open 2023 anche il New York Times si occupa di lui come di uno dei prospetti più interessanti della new wave statunitense, segnalandone la crescita impetuosa. “I miei genitori” – dice Alex – “erano entrambi tennisti e io ho cominciato a tre anni. Mia madre gradiva scambiare dal fondocampo mentre mio padre preferiva il quick tennis, servizio e volée; io ho preso da entrambi e mi muovo a tutto campo”.
Onora il padre e la madre; il match di secondo turno però lo vede cedere con un periodico 6-3 al cileno Nicolas Jarry, dopo aver vinto il primo per 6-4. Poco male, oggi Michelsen è a Jeddah, dove forse non parte favorito ma è pronto a mettere a frutto la sua esperienza dell’anno passato per imprimere il segno del suo tennis. Con la stessa naturalezza con cui, lui mancino, è passato alla mano destra perché l’impugnatura del lefty baseball swing, la sua passione antecedente lo sport di Federer, somiglia moltissimo alla presa del rovescio destrorso a due mani. Sembra facile…