Novak Djokovic ha detto di aver giocato il suo miglior match con Machac. Non ci voleva molto, perché contro i Carneadi Basavareddy e Faria aveva giocato proprio maluccio. Stavolta decisamente meglio ma da Machac mi aspettavo di più. Invece ogni volta che lo scambio si prolungava e la palla gli arriva sul rovescio… mi ricordava Berrettini. Il quale di rovescio è certo migliorato, ma non al punto che non sia rimasto il suo colpo decisamente più debole. E giustamente tutti ci insistono, venendo anche a rete più del consueto, come ha fatto Holger Rune. Noi tutti quando Matteo gioca un passante vincente di rovescio esultiamo, proprio perché non ce lo aspettiamo.
Machac aveva battuto Djokovic a Ginevra, quando Novak stava preparando il suo ritorno sulla terra rossa del Roland Garros ma era visibilmente fuori condizione. Stavolta, a differenza dei primi due turni, non ha perso un set e non è mai apparso in difficoltà salvo che un po’ nel secondo set quando una serie di palleggi prolungati e di rincorse gli hanno fatto venire il fiatone.
Secondo me è ancora lontano dal Djokovic che conquistava un Australian Open dopo l’altro. Anche se ha al fianco un Andy Murray che non finisce di sorprendermi. Novak rompe una corda e Andy prende la racchetta, come se fosse l’ultimo degli sparring partner, e corre dall’incordatore. Finisce la partita e se la riguarda tutta prendendosi appunti per poi discuterne con Nole. Una dedizione e un’umiltà impensabile per un ex n.1 del mondo di pochissimi anni fa (2016). Chapeau Andy. Per quanto riguarda nole sono adesso curioso di vederlo in ottavi contro Lehecka, altro ceco che mi sembra un po’ più solido di Machac – è n.29 ATP – anche se sembra leggerino fisicamente. Corre tanto, è rapido, ma la sua palla non è troppo pesante. Non metterà però quegli orribili pantaloncini con cui ama presentarsi Machac: sembrano quegli hot-pants che andavano di moda qualche anno fa. Però non ha perso per via di quelli.
Oggi i cechi speravano di raggiungere un traguardo mai centrato, tre negli ottavi, invece salvo Lehecka che ha battuto Bonzi, hanno perso gli altri due, Machac appunto ma anche – con un milione di rimpianti – il diciannovenne Mensik che contro quel mezzo matto di Davidovich Fokina ha vinto i primi due set, ha servito inutilmente per il match nel terzo set ma si è ritrovato al tiebreak dove ha avuto 2 matchpoint che non è riuscito a convertire.
Mancate prove del nove (avea sconfitto Ruud al turno precedente) e peccati di gioventù, verrebbe da dire accomunando la sua sorte a quella del brasiliano Fonseca molto più continuo e spettacolare contro Rublev di quanto sia poi stato con Sonego (per nostra fortuna e somma gioia).
Chissa se oggi l’altro Next Gen Tien, splendido per battere Medvedev, riuscirà a non farsi irretire dal francese Moutet che di sicuro non si lascerà scappare l’occasione di confondergli le idee anche con qualche scorrettezza e show dei suoi. Anche per lui prova del nove, per citare una delle tante “creatività lessicali” di Rino Tommasi (vi ricordo ancora di insistere perché la FITP dedichi un campo, anche il più periferico al Foro Italico se vogliono, a Clerici e Tommasi; firmate qui la petizione, bastano 10 secondi).
Alcaraz si è concesso un set di distrazione con il portoghese Borges prima di centrare gli ottavi di finale di uno Slam per l’undicesima volta. Per essere un classe 2003, con già 4 Slam in bacheca, non è poco. Comunque dopo Faria ecco Borges, pian piano il tennis portoghese, per anni nelle retrovie, si sta affacciando a discreti livelli.
Zverev, l’altro dei top-players della metà bassa del tabellone, ha dominato il “giustiziere” di Kyrgios, il britannico Fearnley che fino a un anno fa pensava di dedicarsi agli studi universitari più che al tennis. Per il tedesco testa di serie n.2, ma ancora mai vincitore in uno Slam a dispetto di un paio di finali (US Open persa con Thiem, Roland Garros persa lo scorso maggio con Alcaraz), è stata la vittoria n.29 qui a Melbourne, una sola meno delle 30 di Boris Becker che qui colse, rimontando Ivan Lendl nel ’91, il suo primo Slam australiano (l’altro nel 1996) e diventando quello stesso giorno il primo tedesco n. 1 del mondo. Lo è stato, tuttavia, soltanto per 12 settimane. Pur avendo vinto tre volte Wimbledon, 1985, 1986 e 1989. Quando le classifiche mondiali non le faceva ancora il computer e quelle più accreditate erano quelle soggettive dell’inglese Lance Tingay – che io ho conosciuto bene… gran signore di altri tempi – Becker sarebbe stato n.1 molto più a lungo anche a fine anno. Per Tingay chi vinceva Wimbledon non poteva quasi… non essere il n.1 dell’anno. Altri tempi, appunto.
Segnalato con dispiacere l’ennesimo infortunio di Naomi Osaka, ritiratasi sul 7-6 per la Bencic – la giapponese ha vinto 4 Slam, 2 Us Open e 2 Australian Open, ma in pratica (e non solo per la maternità) dal 2022 non riesce quasi a portare a termine un torneo senza farsi male qui o là – e ricordata la sorprendente sconfitta di Jessica Pegula, testa di serie n.7, con la serba Danilovic (la figlia del famoso cestista della Virtus Bologna) che già aveva dato 61 62 alla Samsonova. Contro la Badosa al prossimo turno Danilovic è chiamata a rispondere alla famosa prova del nove. Mentre hanno vinto tranquillamente le altre favorite, Sabalenka e Gauff, della metà alta del tabellone.
Ma più che la giornata appena trascorsa immagino che in Italia ci sia grande attesa per le due partite di stanotte fra Sonego e Marozsan, fra Musetti e Shelton. Mentre scenderanno in campo alle 9 del mattino italiano sui due campi principali (e purtroppo mi sarà impossibile seguirli contemporaneamente), Sinner contro Giron e Paolini contro Svitolina. Credo che opterò per guardare il singolare femminile, perché mi pare sulla carta molto più equilibrato. Poi, trattandosi di un match due set su tre potrebbe finire quando il match di Sinner – che mi aspetto dominante contro l’americano battuto nell’unico confronto diretto (a Shanghai 2023, 76 63) quando ancora Jannik non era Jannik – potrebbe essere ancora in corso e potrei quindi seguirne il finale.
Sinner non è stato fenomenale fin qui, ma contro Giron non credo che possa perdere neppure se giocasse al 70% del suo potenziale.
La Svitolina a me fa paura. Jasmine gioca quest’anno con l’ansia di confermare gli straordinari risultati dell’anno scorso. Non è semplice. Sembra che tutti aspettino di vedere se ce la fa o se non ce la fa. Per questo mi pare, sul campo almeno, un pochino più tesa e meno sorridente di come la vedevo lo scorso anno. Bene che giochi, e vinca, il doppio accanto alla sua mentore Sara Errani, perché mentre giocano le due ragazze sorridono, fanno il loro mestiere con allegria. In singolare contro la Zarazua, invece, quando la messicana che giocava tirando tutte pallate a “o la va o la spacca” Jasmine mi è parsa più predisposta ad innervosirsi se le cose non andavano subito come avrebbe voluto. Alla Svitolina non manca certo l’esperienza per approfittare di questo suo stato d’animo. Quel che è certo è che anche in Australia Jasmine è adorata dal pubblico. Il suo sorriso contagioso è popolarissimo anche qui Down Under.
La partita di Sonego con Marozsan comincia circa 2 ore prima di quella fra Musetti e Shelton. Tutti e due i Lorenzo sono inclini a disputare maratone. Non vincono quasi mai facile e alla svelta.
L’importante – avrebbe detto il filosofo di Renzo Arbore Catalano – è che alla fine vincano. Meglio se entrambi, avrebbe precisato Catalano… cui mi accodo senza alcun imbarazzo. E poi vincano anche gli altri due, Sinner e Paolini. Un poker azzurro insomma.
Dopo di che, in caso di quattro esiti positivi con la lente azzurra, verificherò se in Australia abbiamo mai avuto 4 italiani in ottavi. Io penso di no. Intanto però arriviamoci, anche se voglio spendere un ultimo aneddoto che di riflesso mi concerne: lo sapevate che ho vissuto un giorno da leone? Volevo dire… un giorno da coach! Accadde all’Australian Open: una “mia” giocatrice disputò i quarti di finale? Ebbene sì, è proprio successo. Anche se quella mia giocatrice non era… proprio mia. Correva l’anno 2002, 23 anni fa. Adriana Serra Zanetti aveva battuto Silvia Farina negli ottavi e si era qualificata per i quarti contro Martina Hingis. Prima italiana della storia a spingersi così avanti a Melbourne.
Il coach di Adriana era solitamente l’argentino Pato Remondegui che allenava anche la sorella Antonella. Ma non era venuto a Melbourne. Forse perché costava troppo. Antonella aveva già fissato di disputare un torneo successivo con l’assistenza di Remondegui. Quindi Adriana a Melbourne era sola. Non era il caso di far precipitare Remondegui dall’Italia per un solo incontro, per di più così difficile. Non è proprio come oggi che ogni giocatore/giocatrice ha un team di 3 o 4 persone che lo/la seguono. E c’è pure la FITP che dà sostegno ulteriore, tecnico e medico. Nel caso delle sorelle Serra Zanetti le giocatrici erano due, eppure non avevano nessuno a seguirle. Insomma la malcapitata Adriana non riuscì a trovare altra persona del sottoscritto che potesse quantomeno incoraggiarla un po’ da vicino sulla Rod Laver Arena. Sedetti quindi nella prima fila accanto al campo per improvvisarmi coach provvisorio. Purtroppo l’impegno era dei più terribili. E io ero anche un tantino intimidito all’idea di dare dei consigli in un’occasione così importante. Martina Hingis aveva vinto per tre anni anni di fila l’Australian Open, 1997-1998-1999, e anche se non era più la n.1 del mondo perché erano comparse sulla ribalta a rovesciare tutte le gerarchie le sorellone Williams (con Venus che perdeva sul campo le perline azzurre con cui intrecciava i capelli e rimediò pure dei warning per questo), per battere la Hingis, tennista di un talento più unico che raro perché non aveva certo un servizio all’altezza delle migliori dell’epoca, ci volevano appunto donnone tipo Serena e Venus. Non Adriana che misurava un metro e 60 e che aveva tutti i colpi, un po’ come la Paolini, ma più su di n.38 Wta non è stata. Insomma lì cominciò e finì, dopo un’ora e mezzo scarsa e un 6-2, 6-3 comunque assai dignitoso (nel secondo set Adriana ebbe qualche opportunità per fare qualche game in più), la mia fantasmagorica carriera di coach. Ma quanti possono raccontare una storia del genere?
Tranquilli cari affezionati lettori di Ubitennis, stanotte per Sonego, Musetti, e domattina per Paolini e Sinner non ci sarò io a bordo campo. Anche se con Cahill che sta per mollare Jannik, chissà… non si sa mai. Ma non vorrei far ombra a Vagnozzi. Insomma, ci penserei prima di accettare.